Abstract
Negli ultimi anni la disciplina tributaria delle imprese insolventi e di quelle in crisi è stata oggetto di ripetuti interventi legislativi nel Testo Unico delle imposte sui redditi e nella legge fallimentare. Essi hanno contribuito a delineare un sistema di diritto positivo privo di un impianto sistematico compiuto in quanto non è agevole cogliere il giudizio di valore tra i diversi interessi meritevoli di tutela. Più razionale è la disciplina riservata ai creditori che ugualmente subiscono rilevanti conseguenze per effetto dell’apertura di una procedura concorsuale o dell’accesso ad un istituto volto ad agevolare la composizione della crisi dell’impresa.
Secondo un’impostazione consolidata, i profili fiscali delle procedure concorsuali impongono una distinzione preliminare dalla quale discendono aspetti teorici ed applicativi diversi:
a) il rilievo del debito tributario nell’ambito del passivo concorsuale rispetto ai diritti del restante ceto creditorio;
b) l’applicazione dei tributi nel corso della procedura.
La prima prospettiva presenta una dimensione statica ed una dinamica: la dimensione statica attiene al titolo di preferenza del credito fiscale, con l’esigenza di individuare una giustificazione razionale alle indicazioni normative che divergono da tributo a tributo; quella dinamica riguarda gli atti e le attività che la legge pone a carico dell’ente impositore ai fini dell’ammissione al passivo del debito tributario (cfr. Paparella, F., Gli effetti della soppressione del ruolo e del nuovo accertamento esecutivo ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali, in Ghia, L.-Piccinini, C.,-Severini, F., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, VI, Torino, 2012, 643; sui tratti caratteristici dovuti alla natura del credito, cfr. Del Federico, L., Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella verifica fallimentare dei crediti tributari, in Fallimento, 2009, 1369) e comprende la questione, di dubbia razionalità, dell’ammissibilità al passivo del debito per sanzioni dal momento che la misura afflittiva colpisce gli altri creditori ovvero soggetti diversi dall’autore dell’illecito (sul tema cfr. Selicato, G., L’applicazione delle sanzioni tributarie nelle procedure concorsuali di tipo liquidatorio, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, 445).
Il secondo filone di indagine riguarda l’attuazione dei tributi nel corso della procedura concorsuale dal momento che solo per una parte di essi continua ad applicarsi la disciplina ordinaria (in primis l’IVA e l’IRAP). Negli altri casi, invece, e soprattutto per le imposte sui redditi, si pone il problema di verificare fino a quale momento il presupposto si realizza secondo le regole ordinarie oppure se mutano i criteri di determinazione della base imponibile ed a questi fini è decisivo il provvedimento che dispone l’avvio della procedura essendo l’atto che determina il regime giuridico della pretesa fiscale e, più in generale, che segna la differenza rispetto alla debitoria concorsuale (sul tema cfr. Risoluzione min., 16.6.2009, n. 161/E, in Corr. trib., 2009, 2543).
In aggiunta agli obblighi di versamento dei tributi nella qualità di soggetto passivo, sempre in questa prospettiva un cenno merita il tema delle situazioni soggettive attive di titolarità della procedura concorsuale, dei rimborsi, della compensazione (cfr. Messina, S.M., La compensazione tributaria in sede fallimentare, in Corr. trib., 2010, 2383) e del relativo rapporto tra il principio generale di cui all’art. 56 della l. fall. (R.d. 16.3.1942, n. 267) e la pluralità di vincoli previsti dalle leggi d’imposta (cfr. Circ. Ag. Entrate, 11.3.2011, n. 13, in Fisco, 2011, 1, 2063). A questi fini, con la riforma recata dal D.lgs. 9.1.2006, n. 5, il legislatore è intervenuto nel corpus della legge fallimentare con la previsione:
a) dell’art. 117, che consente al giudice delegato di assegnare al creditore consenziente i «crediti d’imposta del fallito non ancora rimborsati» in sede di riparto finale nel rispetto delle cause di prelazione;
b) dell’art. 106, ove è riconosciuta al curatore la facoltà (non controversa nel passato) di cedere «i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se oggetto di contestazione» (al riguardo cfr. Tesauro, F., Chiusura delle procedure concorsuali e cessione di crediti d’imposta futuri, in Corr. trib., 2010, 2391; Mauro, M., La cessione dei crediti d’imposta nei fallimenti, in Giustizia tributaria, 2010, 67).
Rispetto a tale bipartizione, consolidata nell’esperienza giuridica, le recenti evoluzioni legislative favoriscono altre distinzioni che impongono di precisare il quadro sistematico della materia. Anzitutto esse consentono di individuare una distinta categoria giuridica, comprensiva degli istituti volti a prevenire una crisi irreversibile e lo stato di insolvenza, in quanto è possibile riconoscere un’autonoma collocazione sistematica al complesso di norme che producono effetti fiscali di varia natura nelle situazioni di conclamata difficoltà finanziaria dell’impresa in una logica di prevenzione della procedura concorsuale.
Infine, in queste fattispecie l’esame delle questioni fiscali deve estendersi alle prerogative riconosciute ai creditori essendo una categoria particolarmente esposta agli effetti patrimoniali dovuti alle vicende dell’impresa insolvente o in crisi. Anche sotto questo versante, dunque, occorre precisare gli effetti fiscali conseguenti all’adozione (volontaria o per iniziativa dei creditori) di uno degli istituti che conclamano e rendono palese la crisi o l’insolvenza.
Evidentemente l’ampiezza del quadro sistematico e le inevitabili esigenze di spazio impongono una selezione dei temi per cui le considerazioni successive saranno riferite alle sole imposte sui redditi, distinguendo i profili tributari delle procedure concorsuali, con esclusivo riferimento alla disciplina sostanziale, dalle prerogative riservate ai creditori. Prima di procedere in questo senso, tuttavia, è necessario esaminare una questione, di ampia portata teorica e di origine risalente, che nell’ultimo periodo è tornata di attualità proprio a causa dei numerosi interventi legislativi: quella, cioè, che impone di verificare se l’attuale sistema di diritto positivo è contraddistinto da un impianto teorico tendenzialmente coerente oppure se è caratterizzato da irrazionalità di difficile giustificazione a causa dell’assenza di un progetto chiaro e compiuto a monte.
La possibilità di prospettare un coordinamento razionale tra le norme fiscali e la disciplina fallimentare risente di un problema autorevolmente evidenziato prima della riforma tributaria del 1971-73 e, cioè, che «la difficoltà del tema “fallimento e Fisco” sta proprio qui: nel coordinare due “corpi” di norme eterogenee dei quali l’uno (quello tributario) è privo di qualsiasi struttura sistematica» (cfr. Micheli, G.A., Recensione a Pajardi, Fallimento e Fisco, in Riv. dir. fin., 1971, I, 169).
Tale difficoltà ha assunto una dimensione più significativa nell’ultimo decennio a causa di diversi fattori riassumibili con il carattere frammentario ed episodico degli interventi legislativi, al punto che talune norme tributarie sono state anche discutibilmente collocate nella legge fallimentare con la riforma recata dal d.lgs. 9.1.2006, n. 5 (in primis la transazione fiscale prevista all’art. 182-ter – infra al par. 3.4 – oppure la disciplina sui crediti fiscali di cui agli artt. 106 e 117 richiamata in precedenza). Inoltre, indirizzando l’attenzione alle imposte sui redditi, è agevole verificare che l’art. 183 del Testo Unico delle imposte sui redditi di cui al d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (d’ora innanzi TUIR) si riferisce solo al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa mentre le norme in tema di riscossione di cui al d.P.R. 29.9.1973, n. 602, sono più complete (anche se non esaustive) in quanto nel capo IV, dedicato alle “Procedure concorsuali” (artt. 87 ss.), la sezione I è riservata al fallimento ed alla liquidazione coatta amministrativa mentre quella successiva è dedicata al concordato preventivo ed all’ormai soppressa amministrazione controllata, con inevitabili incertezze soprattutto per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (sul tema cfr. Paparella, F., Luci ed ombre dovute all’assenza di una disciplina compiuta in tema di amministrazione straordinaria nel sistema delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 2010, I, 299).
La frammentarietà del sistema di diritto positivo, le lacune ed i problemi di coordinamento costituiscono, quindi, un primo limite alla possibilità di individuare un progetto teorico chiaro e compiuto. Inoltre, l’intervento dei nuovi istituti volti a prevenire o risolvere la crisi dell’impresa ha reso inadeguato l’impianto risalente alla riforma del 1971-73 e ciò impone di rimeditare il rapporto tra gli interessi privatistici dei creditori e quelli pubblici dell’Erario. Per questa ragione anche il rapporto tra le norme fiscali e le norme fallimentari assume nel sistema attuale una dimensione più complessa ed impone la selezione, la ponderazione di valori e la definizione razionale della gerarchia tra interessi privatistici dei creditori, interesse fiscale ed interessi pubblici di altra natura (cfr. Fantozzi, A., Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in Ghia, L.-Piccininni, C.-Severini, F., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, VI, Torino, 2012, 1).
A questi fini, per evitare che l’interesse fiscale sia pregiudicato in confronto ad altri valori non meritevoli della stessa tutela costituzionale, i criteri giuridicamente rilevanti possono essere diversi; ad esempio, è ragionevole distinguere le procedure di tipo liquidatorio da quelle di ristrutturazione oppure le situazioni di crisi temporanea dalle situazioni di dissesto irreversibile oppure ancora le procedure che assicurano la prosecuzione dell’impresa, la salvaguardia dei livelli occupazionali e la continuità nell’erogazione di servizi pubblici essenziali da quelle che non perseguono dette finalità e si può persino individuare una combinazione tra più criteri purché non siano sacrificati gli interessi diffusi a vantaggio di quelli privati in assenza di un obiettivo apprezzabile per la collettività.
In assenza di una chiara impostazione di ordine sistematico il tentativo di risolvere i numerosi profili controversi ricorrendo ad assimilazioni analogiche o interpretazioni estensive è destinato a produrre ulteriori instabilità ed in questo senso un contributo apprezzabile non può individuarsi nei precedenti disegni di legge di riforma o nella legge delega 11.3.2014, n. 23, in quanto la lett. a) del comma 1 dell’art. 11 detta per le procedure concorsuali un principio evanescente e inidoneo a conferire alla materia un impianto razionale (in sede comunitaria, invece, si veda la Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014).
La procedura concorsuale più ricorrente e di maggiore tradizione legislativa è il fallimento ed a questo istituto si riferisce l’art. 183 del TUIR. La norma richiama anche la liquidazione coatta amministrativa (cfr. Uricchio, A., I profili fiscali della liquidazione coatta amministrativa, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali,cit., 835) ma la dottrina è dell’avviso che trovi applicazione anche per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, sia pure in particolari fattispecie (cfr. Paparella, F., Il regime fiscale dell’amministrazione straordinaria: la necessità di distinguere le fattispecie sulla base della natura e della finalità della procedura, in Ghia, L.-Piccininni, C.-Severini, F., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, V, Torino, 2011, 511).
L’art. 183 presenta una struttura analoga alla disciplina della liquidazione ordinaria (di cui all’art. 182) dal punto di vista della proiezione del patrimonio in una logica di realizzo, della interruzione del regime ordinario dei beni dell’impresa e della distinzione del reddito della gestione ordinaria da quello prodotto nel corso della procedura concorsuale. Infatti, il comma 1 dispone che il reddito del periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data della dichiarazione di fallimento è determinato sulla base delle regole ordinarie in funzione del bilancio redatto dal curatore (o dal commissario liquidatore) ovvero del bilancio che egli è tenuto a redigere (se non è stato redatto dal fallito) o a correggere (se è stato redatto dal fallito in maniera incompleta), il quale assolve ad una duplice funzione: consente la presentazione della dichiarazione dei redditi per il periodo preconcorsuale e determina la consistenza del patrimonio netto iniziale della procedura.
Il comma 2 dell’art. 183 disciplina la determinazione del reddito nel corso della procedura concorsuale secondo un’impostazione fondata sulla quantificazione unitaria e complessiva del risultato economico a prescindere dalla durata. L’aspetto più significativo è dovuto all’obbligo di adottare diversi criteri di determinazione della base imponibile rispetto alle regole ordinarie in quanto il risultato economico compreso tra l’inizio e la chiusura della procedura concorsuale (anche se interviene l’esercizio provvisorio) è dato dalla “differenza tra il residuo attivo della procedura ed il patrimonio netto iniziale dell’impresa o della società determinato sulla base dei valori fiscalmente riconosciuti”. Il valore iniziale è considerato pari a zero se le passività sono uguali o superiori alle attività ed, inoltre, per le imprese individuali e le società di persone, la base imponibile deve essere diminuita dei corrispettivi delle cessioni dei beni personali dell’imprenditore o dei soci confluiti nella massa fallimentare (ma aumentata dei debiti personali dell’imprenditore e dei soci pagati dal curatore) i quali sono restituiti con moneta fallimentare ai sensi del comma 3 dell’art. 183.
La base imponibile è pertanto determinata in ragione di un criterio patrimoniale; tale modello costituisce una semplificazione per il curatore ma solleva rilevanti perplessità in quanto la ricchezza tassabile può concretamente sussistere nelle ipotesi, del tutto eccezionali, in cui si realizzano due circostanze (limitate ai rari casi in cui l’impresa torna in bonis; in senso analogo cfr. Falsitta, G., Problematiche fiscali nelle procedure concorsuali,in AA.VV., Società commerciali e procedure concorsuali, Milano, 1995, 58; Miccinesi, M., Il fallimento delle società: alcuni aspetti fiscali, in Fallimento, 2000, 33): l’esistenza di un residuo attivo, in denaro o in natura, e che il suo valore sia superiore al patrimonio netto iniziale.
Nel sistema delle imposte sui redditi è dunque possibile cogliere un’incongruenza in quanto, mentre per il periodo precedente all’avvio della procedura concorsuale la pretesa fiscale gode di una particolare tutela, per quanto attiene al suo svolgimento, il legislatore tributario ha ritenuto che la composizione più razionale tra i diversi interessi possa essere assicurata dalla commisurazione della base imponibile all’eventuale residuo attivo – ovvero ciò che residua al curatore dopo aver soddisfatto tutti i debiti – privilegiando i diritti dei creditori alle ragioni del Fisco. Conseguentemente, l’avvio della procedura fallimentare determina un pregiudizio per la pretesa erariale dal momento che l’art. 183 è espressione di un favor per i creditori comuni nel presupposto che i relativi interessi siano meritevoli di maggior tutela rispetto all’interesse fiscale (un’impostazione analoga è adottata dalla sentenza in tema di revocatoria delle Sezioni Unite, 30.3.1994, n. 3131 in Riv. dir. trib., 1995, II, 653, con nota di Cipolla, G.).
Solo in particolari fattispecie il criterio patrimoniale di cui all’art. 183 del TUIR può essere considerato razionale e, precisamente, nei casi in cui il sacrificio erariale è a vantaggio di altri interessi pubblici o diffusi come accade per le procedure di amministrazione straordinaria con finalità liquidatoria posto che la conservazione dell’attività dell’impresa, la salvaguardia del patrimonio produttivo ed il mantenimento dei livelli occupazionali «non sono esigenze pacificamente sacrificabili rispetto al principio del concorso alle spese pubbliche di cui all’art. 53 della Cost.» (così Paparella, F., Il regime fiscale dell’amministrazione straordinaria,cit., 511, ma sul perseguimento di interessi pubblicistici si veda altresì la sentenza della C. cost., 23.6.2010, n. 270).
In questo contesto l’applicazione dell’art. 183 non determina particolari problemi anche perché i recenti indirizzi della prassi sembrano aver conferito alla materia maggiore stabilità sebbene talune soluzioni non siano condivise dalla dottrina (si veda Circ. Ag. Entrate, 22.3.2002, n. 26, in Fisco, 2002, 2, 1851; Circ. Ag. Entrate, 4.10.2004, n. 42, in Riv. dir. trib., 2005, II, 49, con commento critico di Falsitta, G., L’eterno ritorno della “questione fiscale” delle procedure concorsuali).
Ad esempio, quanto al residuo attivo, è condivisa la soluzione favorevole all’apprezzamento dei beni al valore fiscalmente riconosciuto piuttosto che al valore reale analogamente alla regola applicabile per la determinazione del patrimonio netto iniziale (cfr. Ragucci, G., Il residuo attivo nel calcolo dell’imponibile fiscale del fallimento, in Corr. trib., 2010, 2324). Invece, qualche perplessità solleva la conclusione dell’Amm. Fin. in tema di debiti concorsuali per i quali non è stata richiesta l’insinuazione al passivo o è intervenuta una rinuncia (oggetto di una diversa soluzione con la Circ. n. 42/2004 rispetto a quella indicata con la Circ. n. 26/2002) dal momento che si richiede di distinguere le passività di cui il curatore non ha tenuto conto ai fini del patrimonio netto iniziale da quelle che, pur non essendo oggetto di insinuazione, sono state considerate nella determinazione del patrimonio netto iniziale: nella prima ipotesi i debiti sarebbero irrilevanti mentre nel secondo caso il curatore deve detrarre dal residuo attivo le passività non insinuate per cui sarebbe riconosciuto il rilievo delle passività rimaste estranee alla procedura e che non hanno inciso sull’an e sul quantum del residuo (sul punto si veda Miccinesi, M., L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, cit., 187, mentre Falsitta, G., L’eterno ritorno della “questione fiscale”delle procedure concorsuali, cit., 70, propende per la “sterilizzazione” delle poste dalla determinazione del residuo attivo).
Invece, in merito alla determinazione del patrimonio netto iniziale, può considerarsi ormai pacifico l’obbligo per il curatore di includere le eventuali attività o passività rinvenute successivamente e non presenti nelle scritture contabili nonché, per converso, l’obbligo di espungere le attività e le passività inesistenti anche se risultanti dalla contabilità (cfr. Tinelli, G., La determinazione del reddito d’impresa nelle procedure concorsuali, in Rass. trib., 1989, 263; Zizzo, G., Aspetti problematici della determinazione del reddito d’impresa in sede di chiusura della procedura fallimentare, in Riv. dir. trib., 1992, I, 688) mentre non produce effetti concreti la questione se il “bilancio” menzionato dall’art. 183 del TUIR (idoneo a determinare il patrimonio netto iniziale) costituisca un autonomo documento da redigere ai fini fiscali (cfr. Stevanato, D., La determinazione del patrimonio netto iniziale nel periodo fallimentare, in Corr. trib., 2010, 2319) oppure coincida con l’inventario di cui all’art. 87 della l. fall. (cfr. Tinelli, G., La determinazione del reddito d’impresa, cit., 263; Zizzo, G., Aspetti problematici della determinazione del reddito d’impresa in sede di chiusura della procedura fallimentare, cit., 689).
Oltre che per le fattispecie contemplate dall’art. 118 della l. fall., il fallimento può essere definito con il decreto di omologazione del concordato fallimentare di cui agli artt. 124 ss. Per tale ragione questa procedura non richiede una disciplina specifica in quanto trova applicazione quella del fallimento in aggiunta alle norme particolari riferite all’impresa oppure ai creditori (cfr. Boria, P., I profili fiscali del concordato fallimentare, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., 625). In particolare:
a) per l’impresa fallita, il comma 4 dell’art. 88 del TUIR che esclude la qualificazione come sopravvenienza attiva della «riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato preventivo o fallimentare»;
b) in merito ai creditori, invece, si pone il problema della deducibilità delle perdite su crediti di cui al comma 5 dell’art. 101 (infra al par. 4.1).
Oltre al concordato preventivo di cui all’art. 160 ss. della l. fall., come visto, negli ultimi anni il diritto fallimentare si è arricchito di nuovi istituti che tendono a risolvere le situazioni di crisi ed a salvaguardare la prosecuzione dell’impresa. In queste fattispecie, le esigenze sistematiche sono radicalmente diverse dalle procedure con finalità liquidatoria in quanto l’attività prosegue senza soluzione di continuità, i beni restano sottoposti al regime dell’impresa e non vi sono particolari ragioni per interrompere l’esercizio d’imposta o per applicare criteri di determinazione della ricchezza imponibile diversi da quelli ordinari. Le questioni principali attengono (cfr. Contrino, A., Procedure concordatarie (vecchie e nuove), riduzioni di debiti e sopravvenienze attive, in Rass. trib., 2011, 36):
a) alla cessione e/o al trasferimento dei beni e/o dei diritti che consentono di estinguere, in tutto o in parte, le passività;
b) ed agli effetti conseguenti all’eventuale riduzione delle passività a seguito della definizione della procedura (se non si tratta di mero consolidamento).
Per questa ragione i procedimenti che tendono a risolvere le situazioni di crisi non richiedono una disciplina ad hoc in quanto perdura l’applicazione dello statuto fiscale dell’impresa secondo le regole generali, con l’aggiunta delle norme specifiche riservate ai due aspetti evidenziati. Ad esempio, al concordato preventivo (che può essere contraddistinto dalla prosecuzione dell’attività oppure da una finalità liquidatoria e che può assumere la configurazione comunemente definita “in bianco” ovvero con riserva di presentazione dei documenti richiesti dalla legge fallimentare) sono coerentemente riservate due disposizioni e cioè (cfr. Tinelli, G., Il regime fiscale del concordato preventivo, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., 855):
a) il comma 5 dell’art. 86 del TUIR, ove è previsto «la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell’avviamento»;
b) il comma 4 dell’art. 88, che esclude la qualificazione come sopravvenienza attiva della «riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato preventivo o fallimentare».
A seguito delle ultime novità legislative, una disciplina quasi analoga è riservata agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis della l. fall. (cfr. Ficari, V., Problematiche fiscali degli accordi di ristrutturazione e relative evoluzioni normative, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali,cit., 907) in quanto anche a tale fattispecie è applicabile il comma 4 dell’art. 88 con la precisazione che «la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse o di periodo, di cui all’art. 84».
Residuano i piani attestati di risanamento di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., ai quali si applica il comma 4 dell’art. 88 con il limite per il riporto delle perdite previsto per gli accordi di ristrutturazione (cfr. Carpentieri, L., I profili fiscali dei piani attestati di risanamento, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., 917).
Tra gli istituti che agevolano la soluzione della crisi dell’impresa un rilievo particolare assume la transazione fiscale di cui all’art. 182 ter della l. fall. anche per i complessi profili teorici sollevati dalla dottrina e per i dubbi di conformità all’art. 53 della Cost. (si veda principalmente Falsitta, G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, I, 1064; Beghin, M., Giustizia tributaria e indisponibilità dell’imposta nei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, in Riv dir. trib., 2010, II, 698; Marini, G., La transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, 1211). Tale norma riconosce la facoltà di presentare una proposta transattiva nell’ambito del piano a supporto del concordato preventivo (sulla natura facoltativa della proposta di transazione fiscale rispetto alla richiesta di concordato preventivo si veda Cass., 4.11.2011, nn. 22931 e 22932) o degli accordi di ristrutturazione, avente ad oggetto il pagamento parziale o dilazionato dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori a fronte della soddisfazione integrale dei debiti che costituiscono risorse proprie dell’Unione europea e della (sola) dilazione dei debiti per IVA (cfr. C. cost., 15.7.2014, n. 225, in Fallimento, 2015, 33) e delle ritenute fiscali operate ma non versate (tra i tanti, cfr. Tosi, L., La transazione fiscale: profili sostanziali, e Marini, G., La transazione fiscale: profili procedimentali e processuali, entrambi in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali,cit., 647 e 661).
All’Amministrazione finanziaria è riservata solo la facoltà di aderire alla proposta o di esprimere il proprio dissenso senza avere il potere di veto in quanto, a differenza della transazione civilistica, il perfezionamento della procedura è rimesso alla volontà (non delle parti ma) della maggioranza dei creditori al punto che il debito d’imposta può subire una falcidia nonostante il parere contrario dell’Erario (cfr. Cass., 22.3.2010, n. 6901; Cass., 4.11.2011, nn. 22931 e 22932; in senso contrario si veda Circ. Ag. Entrate, 18.4.2008, n. 40, in Fisco, 2008, 1, 3299). La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha precisato che la pretesa fiscale può subire un pregiudizio in ragione delle regole e degli esiti del voto previsti per la generalità dei creditori (anche se una parte della dottrina tende a sottolineare l’effetto del consolidamento; cfr. Del Federico, L., La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, I, 229; Randazzo, F., Il consolidamento del debito tributario nella transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, 837) in quanto sono collocati sullo stesso piano i diritti patrimoniali dei privati ed il debito tributario in forza di un’applicazione rigorosa del principio della par condicio creditorum. In ogni caso, agli uffici spettano delicate valutazioni di convenienza, strettamente riferibili ai casi concreti, che non si prestano ad essere inquadrate in un sistema di principi normativi idonei a garantire l’uniformità di trattamento ed una equilibrata composizione degli interessi (tale criticità è evidenziata dalla Circ. Ag. Entrate, 18.5.2011, n. 21, in Fisco, 2011, 1, 3535).
Come rilevato, la sfera dei creditori è interessata sostanzialmente dalla deducibilità della perdita dovuta alla riduzione (volontaria o concorsuale) ed al mancato realizzo dei crediti. Tale aspetto è storicamente oggetto di una specifica considerazione normativa limitatamente ai crediti vantati nei confronti delle “procedure concorsuali” – intendendosi per tali, ai sensi dell’attuale comma 5 dell’art. 101 del TUIR, il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi – in quanto da tempo è riconosciuta la loro deducibilità immediata in deroga alla regola generale fondata sulla sussistenza degli «elementi certi e precisi».
Per questa ragione è sorto il problema dell’applicazione della regola della deducibilità immediata per gli istituti di recente previsione diversi da quelli menzionati dalla norma fiscale e di incerta classificazione nell’ambito delle “procedure concorsuali” anche a causa dei dubbi originati da qualche sentenza di legittimità e dalla prassi ministeriale (si veda Circ. Ag. Entrate, 13.3.2009, n. 8, in Fisco, 2009, 2082, con riferimento agli accordi di ristrutturazione; sul contrasto tra la posizione dell’Amministrazione finanziaria, per molti versi irragionevole, e quella della Suprema Corte, cfr. Procopio, M., La deducibilità delle perdite su crediti: continua il contrasto tra la Cassazione e l’Amministrazione finanziaria, nota a Cass., 22.7.2009, n. 17087) ma può considerarsi una questione sopravvalutata in quanto non sempre è stata adeguatamente approfondita la possibilità di pervenire al medesimo risultato sulla base della regola generale fondata sugli «elementi certi e precisi». In particolare, era difficile dubitare che entrambi i requisiti potessero considerarsi realizzati in presenza della riduzione definitiva del credito, della causa giuridica che determinava la riduzione del diritto, della certezza e della oggettiva determinazione della perdita nonché della particolare qualificazione del procedimento – dovuti all’intervento dell’autorità giurisdizionale – che determinava la misura del credito effettivamente realizzabile e che escludeva apprezzamenti discrezionali o atti dispositivi rimessi alla volontà del creditore (in senso conforme si veda Zizzo, G., Le perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, in Corr. trib., 2010, 2344; Paparella, F., La disciplina delle perdite sui crediti nei casi di debitori in crisi o sottoposti a procedure concorsuali, in AA. VV., Dal diritto finanziario al diritto tributario. Studi in onore di A. Amatucci, V, Napoli, 2011, 564).
In ogni caso il legislatore è intervenuto ripetutamente nell’ultimo periodo per eliminare le incertezze legate anche all’imputazione al periodo d’imposta. Una prima modifica si è avuta con il d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito con la l. 7.8.2012, n. 134 (si veda la Circ. Ag. Entrate, 1.8.2013, n. 26, in Fisco, 2013, 1, 5138), ma un ulteriore intervento è sopraggiunto con la l. 27.12.2013, n. 147, che ha conferito alla materia il seguente assetto (cfr. Beghin, M., Perdite e svalutazione dei crediti a seguito di rinunce, transazioni o insufficienza dell’attivo, in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., 1009):
a) vige una presunzione di inesigibilità per i crediti vantati nei confronti dei debitori sottoposti a procedure concorsuali inclusi gli accordi di ristrutturazione;
b) è prevista una disciplina agevolata per i crediti “di modesta entità” – intendendo per tali i crediti di importo non superiore ad euro 5.000 per le imprese di rilevante dimensione e non superiore ad euro 2.500 per gli altri soggetti – in quanto gli elementi certi e precisi «sussistono in ogni caso» se decorrono almeno sei mesi dalla scadenza del pagamento;
c) in ogni caso «gli elementi certi e precisi sussistono … in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili».
Allo stato, dunque, residua, al più, la questione dell’individuazione dell’esercizio di competenza della perdita. Infatti, come pure riconosciuto da qualche sentenza della Suprema Corte (cfr. Cass., 4.9.2002, n. 12381; Cass., 29.10.2010, n. 22135), la deducibilità immediata non esclude il rinvio della perdita se l’apertura della procedura non consente di considerarla certa ma impone di rinviare al futuro la determinazione della percentuale realizzabile (ad esempio, a causa della rilevante consistenza dell’attivo fallimentare) nonostante la prassi ministeriale ipotizzi una sorta di automatismo tra l’apertura della procedura e la deducibilità della perdita, qualificando quella che può considerarsi una facoltà in termini di obbligo (per conferma si veda Circ. Ag. Entrate, 1.8.2013, n. 26, cit., 5138).
Sempre sul versante delle prerogative dei creditori, infine, merita di essere segnalato l’art. 113 del TUIR ove è previsto un regime di favore volto ad agevolare il superamento della crisi della grande impresa. La conversione dei debiti in partecipazioni, infatti, ha i tratti tipici della misura promozionale riservata al settore bancario che si risolve nella disapplicazione delle regole generali sulle plusvalenze su partecipazioni e per effetto dell’assimilazione ai crediti (cfr. Paparella, F., Enti creditizi ed imprese in crisi: la “trasformazione” dei crediti in partecipazioni nel sistema delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 2012, I, 1053).
Artt. 86, 88, 101 e 182 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi); artt. 182-bis e 182-ter del R.d. 16.3.1942, n. 267 (l. fall.).
Tra i lavori più completi si segnalano Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013; Fantozzi, A., Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in Ghia,L.-Piccininni, C.-Severini, F., diretto da, Trattato delle procedure concorsuali, VI, Torino, 2012, 1; Falsitta, G., Problematiche fiscali delle procedure concorsuali, in AA. VV., Società commerciali e procedure concorsuali, Milano, 1995, 57; Miccinesi, M., L’imposizione sui redditi nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Milano, 1990; Mauro, M., Imposizione fiscale e fallimento, Torino, 2011.
In particolare, sulla transazione fiscale cfr. La Rosa, S., Accordi e transazioni nella fase della riscossione dei tributi, in Riv. dir. trib., 2008, I, 313; Russo, P., Indisponibilità del tributo e definizioni consensuali delle controversie, in Rass. trib., 2008, 595; Gaffuri, G., Aspetti problematici della transazione fiscale, in Rass. trib., 2011, 1116; Ficari, V., Riflessioni su “transazione” fiscale e “ristrutturazione” dei debiti, in Rass. trib., 2009, 70; Tosi, L., La transazione fiscale: profili sostanziali, e Marini, G., La transazione fiscale: profili procedimentali e processuali, entrambi pubblicati in Paparella, F., a cura di, Il diritto tributario delle procedure concorsuali, cit., 647 e 661; De Federico, L., La nuova transazione fiscale nel sistema delle procedure concorsuali, in Riv. dir. trib., 2008, I, 215.