Abstract
Viene esaminata la struttura e la funzione del nuovo procedimento sommario di cognizione, introdotto negli artt. 702 bis-702 quater del codice di procedura civile dalla l. 18 giugno 2009 n. 69 e destinato ad essere utilizzato, in alternativa all’ordinario processo di cognizione, per le cause civili di competenza del tribunale in composizione monocratica che, per la loro natura, il giudice ritenga possano essere decise sulla base di un’istruzione sommaria. Si tiene conto anche delle modifiche introdotte dal d.l. 22.6.2012, n. 83 (convertito in l. 7.8.2012, n. 134).
1. Premessa
Il procedimento sommario di cognizione, disciplinato dagli artt. 702 bis-702 quater c.p.c. ed introdotto dalla l. 18.06.2009, n. 69, si articola in due distinte fasi: a) una prima (necessaria) a cognizione sommaria, destinata ad esaurire il primo grado di giudizio ed a chiudersi con la pronuncia di un’ordinanza di accoglimento o di rigetto della domanda nel merito; salva, tuttavia, la possibilità della conversione nel rito ordinario a cognizione piena ove il giudice ritenga che la causa non possa essere decisa sulla base dell’«istruzione sommaria»; b) una seconda (eventuale) a cognizione piena, che si apre solo a seguito dell’eventuale proposizione dell’appello, nell’ambito del quale, tuttavia, sono ammessi solo nuovi mezzi di prova e documenti quando il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione o quando la parte dimostri di non averli potuti proporre nel corso della fase sommaria per cause a lei non imputabili. Con la conseguenza che, l’ordinanza emessa all’esito della prima fase «produce gli effetti di cui all’art. 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione». Si tratta, dunque, di un procedimento semplificato e sommario con funzione decisoria, o meglio di un procedimento a cognizione sommaria perché ad istruzione e trattazione deformalizzate (su queste nozioni rinviamo a Carratta, A., Processo sommario (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Annali, II, 1, Milano, 2008, 877 ss.).
Per espressa previsione normativa, è destinato ad essere utilizzato, in alternativa all’ordinario processo di cognizione piena, per tutte le cause di competenza del tribunale in composizione monocratica, che siano ritenute dal giudice idonee ad essere decise sulla base di un’«istruzione sommaria». Peraltro, il procedimento è destinato ad allargare ulteriormente il suo ambito di applicazione per effetto del d.lgs. 1.09.2011, n. 150, sulla c.d. semplificazione e riduzione dei riti civili, emesso in attuazione della legge delega di cui all’art. 54 della stessa l. n. 69/2009. Stabiliscono, infatti, gli artt. 14-30 del richiamato d.lgs. che «sono regolate dal rito sommario di cognizione» (con le modifiche di volta in volta espressamente stabilite) le controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore (6.10.2011) in tutta una serie di materie, che vanno dalla liquidazione degli onorari degli avvocati, all’opposizione al decreto di pagamento delle spese di giustizia, al trattamento degli stranieri, alla materia elettorale, alla repressione delle condotte discriminazione, al riconoscimento delle sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria (in proposito rinviamo a Carratta, A., La «semplificazione» dei riti civili e le nuove modifiche del processo civile, Torino, 2012, 45 ss.).
2. Le «condizioni di ammissibilità»
Se la funzione del nuovo procedimento è quella propria dei procedimenti decisori sommari, e cioè di offrire alle parti la possibilità di ottenere una rapida formazione del giudicato sostanziale sull’oggetto della lite, sarebbe stato ovvio attendersi da parte del legislatore una puntuale indicazione delle «condizioni di ammissibilità» del nuovo procedimento speciale, alla luce delle quali consentire al giudice di valutare la praticabilità o meno dello stesso (Carratta, A., Processo sommario, cit., 877 ss.).
Sennonché, al fine di delimitare genericamente l’ambito applicativo del nuovo rito speciale si limita ad indicare nel comma 1 dell’art. 702 bis le controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica, aggiungendo soltanto – nel successivo comma 3 dell’art. 702 ter – che l’adozione del nuovo procedimento presuppone la valutazione del giudice investito della controversia che essa possa essere decisa mediante «istruzione sommaria». Ma di fatto – a parte il richiamo delle controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica (Cass., 11.11.2011, n. 23691 ha puntualizzato che il rito in questione può essere «utilizzato per qualsiasi tipo di diritto ma rispetto alla domanda per ottenere una condanna») – il legislatore rimette all’aleatoria (e discrezionale) valutazione del giudice, davanti al quale l’azione viene esercitata con l’adozione del rito speciale, l’effettiva sua applicabilità. Con la conseguenza che, da un lato, nel momento in cui si orienta per l’utilizzazione di questo nuovo rito speciale, l’attore non è in grado di sapere se nel caso di specie sussistano o meno le «condizioni» per poter procedere con le forme del nuovo rito speciale e, dall’altro lato, una volta che il giudice abbia assunto le sue determinazioni in proposito, alle parti è preclusa qualsiasi possibilità di verificare ex post se egli abbia o meno correttamente operato. Con rilevanti ripercussioni sul piano dell’incisione della garanzia di difesa delle parti, meritevole di essere assicurata in qualsiasi «stato e grado del giudizio» (art. 24, co. 2, Cost.) ed in forme «regolat[e] dalla legge» (art. 111, co. 1, Cost.), proprio in relazione alla valutazione di sussistenza o meno delle «condizioni di ammissibilità» del nuovo rito speciale.
Il tenore letterale della disposizione lascia intendere che il nuovo procedimento sommario: a) non possa essere applicato alle controversie di competenza del tribunale in composizione collegiale (art. 50 bis c.p.c.); b) non possa essere applicato alle controversie d’appello di competenza del tribunale o della corte d’appello, né a quelle di competenza della corte d’appello in funzione di giudice di primo grado; c) neppure possa essere applicato alle controversie di competenza del giudice di pace; d) né per le controversie di competenza del tribunale in composizione monocratica, per le quali sia previsto un rito speciale a cognizione piena (ad es., il processo del lavoro o quello locatizio o quello di opposizione alle sanzioni amministrative, ecc.) (Trib. Modena, 18.1.2010, in Foro it., 2010, I, 1015; App. Lecce, 16.3.2011, ivi, 2012, I, 912; per una diversa conclusione, con riferimento al rito del lavoro, Trib. Napoli, 25.5.2010 e Trib. Lamezia Terme, 12.3.2010, in Giur. it., 2011, 393) o che, pur non essendo speciale, presenta specifiche modalità di introduzione (ad es., le opposizioni esecutive) o per le quali venga espressamente prevista l’applicabilità del processo a cognizione piena (come fa il comma 2 dell’art. 645 c.p.c. per il rito da applicare all’opposizione al decreto ingiuntivo).
3. La disciplina processuale del primo grado di giudizio
3.1 La fase introduttiva
Con riferimento, poi, alla forma dell’atto introduttivo (trascrivibile ai sensi degli artt. 2652 e 2653 c.c.) ed al suo contenuto, viene richiamata la stessa disciplina del ricorso introduttivo di un normale processo a cognizione piena e la ragione della scelta è da individuarsi nel fatto che – come si vedrà – nel corso della fase sommaria il giudice, rilevando l’inutilizzabilità del procedimento sommario, possa disporre la prosecuzione con le forme dell’ordinario processo a cognizione piena ed esauriente, fissando all’uopo l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. Il richiamo del contenuto di cui all’art. 163 c.p.c. impone che la valutazione dei profili di nullità del ricorso e delle conseguenze degli stessi vada effettuata ai sensi dell’art. 164 c.p.c. Una volta iscritto a ruolo il ricorso, si avrà la fissazione dell’udienza di comparizione da parte del giudice designato (dal Presidente del tribunale o – è da ritenere – nei casi dei tribunali articolati in più sezioni, dal Presidente della sezione), senza che, tuttavia, il legislatore si preoccupi – come probabilmente sarebbe stato opportuno – di fissare i termini sia per l’emanazione del decreto, sia per la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti. Tanto il ricorso introduttivo, che il decreto di fissazione dell’udienza davanti al giudice adito vanno notificati a cura del ricorrente al convenuto «almeno 30 giorni prima dalla data fissata per la sua costituzione». Se ne deduce che, nel caso in cui l’attore scelga di seguire la strada del procedimento sommario, il convenuto disporrà di termini minimi a difesa, i quali possono risultare notevolmente inferiori a quelli stabiliti dall’art. 163 bis c.p.c. (dove sono previsti termini liberi tra la notificazione e l’udienza di comparizione non minori di 90 giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di 150 giorni se si trova all’estero).
Quanto, poi, alla costituzione in giudizio del convenuto – ai sensi del comma 4 dell’art. 702 bis – valgono anche per il procedimento sommario le medesime regole fissate per il rito ordinario dall’art. 167 c.p.c.
Una disciplina speciale emerge, invece, dal comma 5 dell’art. 702 bis per quanto riguarda la chiamata in causa di terzo. Esso, infatti, prevede espressamente che «se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza».
Non è chiara la ragione che ha indotto il legislatore a limitare alla sola «chiamata in garanzia» la possibilità di chiamata in causa di terzo su iniziativa del convenuto. Tanto più se si considera che, nel momento in cui il convenuto si costituisce in giudizio e deposita in cancelleria la comparsa di risposta, non è possibile prevedere quale sarà la valutazione che compirà il giudice in sede di prima udienza ai fini della prosecuzione del procedimento con le forme sommarie o con quelle ordinarie.
Di conseguenza, l’esigenza – costituzionalmente rilevante – di salvaguardare il principio di «ragionevolezza» e l’effettività del diritto di difesa del convenuto impongono di ritenere che, con riferimento proprio alla possibilità per il convenuto di chiamare terzi in causa, nonostante il tenore letterale del comma 5 dell’art. 702 bis, il legislatore minus dixit quam voluit, e dunque che, in realtà, il convenuto possa chiamare terzi in causa per tutte le ipotesi di cui all’art. 106 c.p.c. (sia perché ritiene la causa comune al terzo, sia perché pretende di essere garantito dal terzo) (in senso contrario Trib. Genova, 16.1.2010, in Foro it., 2010, I, 1648 ss.).
3.2 La conclusione della fase sommaria
Nonostante il non chiaro testo normativo dei primi 4 commi dell’art. 702 ter, sembra ragionevole ritenere che solo all’esito dell’udienza di comparizione si avrà la definizione del quod decidendum et probandum e, di conseguenza, potranno essere assunte le determinazioni del giudice circa la sussistenza o meno dei presupposti per procedere alla decisione «sommaria» della controversia. È indubbio, in ogni caso, che le determinazioni del giudice debbano assumere la forma dell’ordinanza. Parimenti indubbio è che la fase sommaria possa concludersi in quattro diversi modi (in caso di diserzione di entrambe le parti, invece, non dovrebbero applicarsi gli artt. 181 e 309 c.p.c., disposizioni, queste, previste per il giudizio a cognizione piena: così Trib. Verona, 11.1.2012, in IlCaso.it).
Stando a quel che prevede l’art. 702 ter, un primo esito del procedimento può essere di rigetto della domanda proposta per ragioni di rito. In realtà, il comma 1 dell’art. 702 ter prende in considerazione espressamente la sola ipotesi in cui il giudice adito si ritenga incompetente. E prevede che, in tal caso, debba pronunciarsi con ordinanza. Evidentemente, però, non può escludersi che la domanda proposta venga rigettata per ragioni di rito diverse dal profilo dell’incompetenza (ad es., per difetto di giurisdizione o per carenza di legittimazione ad agire o dell’interesse ad agire o per impossibilità giuridica della pretesa, ecc.).
In secondo luogo, il giudice attivato con il procedimento sommario potrebbe pervenire a dichiarare inammissibile, sempre con ordinanza, la domanda principale e/o quella riconvenzionale ad essere sottoposte al procedimento sommario (ad es., perché di competenza del tribunale in composizione collegiale o del giudice di pace). In questo caso l’ordinanza viene dichiarata espressamente non impugnabile dal comma 2 dell’art. 702 ter.
In terzo luogo, la conclusione del procedimento sommario può essere la decisione in via sommaria nel merito della domanda proposta. In questo caso, il giudice – ritenendo che la domanda principale (e l’eventuale domanda riconvenzionale) possa essere decisa all’esito di un’«istruzione sommaria» – pronuncia ordinanza di decisione nel merito ed avverso questa sarà esperibile l’appello di cui all’art. 702 quater.
Infine, la decisione del giudice del procedimento sommario potrebbe essere di esclusione della domanda principale ad essere decisa con «istruzione sommaria» e conseguente fissazione dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. Anche in questo caso, l’ordinanza del giudice attivato con il procedimento sommario viene espressamente dichiarata non impugnabile, e dunque non sottoponibile né all’appello di cui all’art. 702 ter, né a regolamento di competenza (non integrando profili di questa natura), né al ricorso straordinario per cassazione ex comma 7 dell’art. 111 Cost. (non rivestendo natura decisoria). Ove, invece, la valutazione di esclusione di decisione con «istruzione sommaria» dovesse riguardare la domanda riconvenzionale, lo stesso giudice dovrebbe disporre la separazione della stessa dalla domanda principale, a meno che la riconvenzionale non abbia carattere pregiudiziale, nel qual caso l’intero giudizio è destinato a svolgersi con la forma del rito ordinario, non trovando applicazione nel procedimento sommario la sospensione necessaria per pregiudizialità di cui all’art. 295 c.p.c. (Cass., 3.1.2012, n. 3).
3.3 L’«istruzione sommaria» come presupposto per la decisione sommaria della controversia
Senza dubbio, tuttavia, il «cuore» del nuovo procedimento sommario di cognizione si rinviene nella valutazione che il giudice farà circa la possibilità di decidere la domanda avanzata con «istruzione sommaria» (e dunque, non vi sia la necessità di disporre la prosecuzione del procedimento con le forme del rito ordinario a cognizione piena e «con istruzione non sommaria»). Da questo punto di vista il legislatore si limita a poche scarne indicazioni, rimettendo sostanzialmente alla valutazione discrezionale del giudice l’opportunità o meno di pervenire alla decisione di merito all’esito dell’«istruzione sommaria» (Carratta, A., Le «condizioni di ammissibilità» del nuovo procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2010, 726 ss.). Quando ci si sofferma a riflettere sui connotati della cognizione piena e di quella sommaria, è opportuno cercare di non cadere nell’equivoco di confondere la «cognizione» intesa come modus procedendi dalla «cognizione» intesa come risultato o accertamento.
Nell’utilizzare la categoria dei processi a cognizione sommaria, tradizionalmente, si è fatto riferimento al fatto che l’accertamento acquisito dal giudice è il frutto di un modus procedendi non conforme a quello dei processi a cognizione piena. Il carattere della sommarietà, in altri termini, è stato riferito alle modalità con cui vengono acquisiti gli elementi utili per accertare il fatto, ma non riguarda affatto il risultato di questo accertamento. Ed infatti, è convinzione comune che non possa affatto escludersi a priori che anche un procedimento sommario nel modus procedendi possa dar vita, in concreto, ad un accertamento completo ed esauriente dei fatti di causa. Ma questo non significa affatto che il procedimento perda la natura sommaria e diventi a cognizione piena, perché in questo modo si confondono due piani (quello del risultato dell’accertamento e quello del modus procedendi) che è necessario tenere distinti. Di conseguenza, con riferimento al nuovo procedimento sommario, parlare di processo deformalizzato, ma a cognizione piena è una contraddizione in termini, in quanto ciò è, sul piano delle categorie processuali, l’equivalente di un ossimoro sul piano retorico. In realtà, si vuol intendere molto più semplicemente che, in questo caso, nonostante l’utilizzazione di un procedimento a cognizione sommaria (ovvero deformalizzato), l’accertamento (ovvero il risultato della cognizione o meglio del procedimento cognitivo sommario) non ha da essere esso stesso sommario o superficiale, ma pieno (alla luce dell’art. 116 c.p.c.).
3.4 La trattazione prima della pronuncia dell’ordinanza
Per quanto riguarda, poi, la trattazione alla base della pronuncia di merito, l’art. 702 ter richiama da vicino il modello processuale delineato dal comma 1 dell’art. 669 sexies c.p.c. Ed infatti, a norma del comma 5 dell’art. 702 ter «il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande».
L’unica variante rispetto all’art. 669 sexies che si registra riguarda la valutazione di ammissibilità degli atti di istruzione: «indispensabili» in relazione ai fini ed ai presupposti del provvedimento nel caso del procedimento cautelare; «rilevanti» nel caso dell’art. 702 ter. Ma si tratta di una variante che, nella sostanza, non sembra possa influire in modo determinante sulla valutazione del giudice. Tanto più se si considera che anche con riferimento al comma 1 dell’art. 669 sexies c.p.c. si è ammessa la sostanziale equivalenza fra «indispensabilità» e «rilevanza».
Inoltre, occorre aggiungere che il giudice – stando sempre alla formulazione dell’art. 702 ter – potrà procedere «nel modo che ritiene più opportuno» al compimento di tali «atti di istruzione». L’impressione è che, nel caso dell’art. 702 ter ci troviamo in presenza di una chiara volontà del legislatore di alleggerire il procedimento delle formalità – qui, evidentemente, superflue, stante la natura sommaria del provvedimento da pronunciare – previste per il rito ordinario, arrivando a riconoscere allo stesso giudice del procedimento ampia discrezionalità sia nella valutazione di quali formalità omettere e nella determinazione del modus procedendi più opportuno, sia nella individuazione degli strumenti probatori da assumere come «atti di istruzione». Con il solo limite della necessità di assicurare, comunque, il pieno («essenziale») rispetto del contraddittorio fra le parti. Ne consegue che non solo, accanto alle prove tipiche, ben potrà ammettersi – salvo sempre il rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova a favore della controparte – il ricorso a prove c.d. atipiche (come, ad es., l’assunzione di prove testimoniali con forme diverse da quelle tipiche, l’introduzione di prove assunte in altri processi, accertamenti tecnici stragiudiziali, prodotti in forma documentale, ecc.), ma le stesse prove tipiche potranno essere assunte con modalità deformalizzate (Carratta, A., Processo sommario, cit., 885 ss.; Carratta, A., Le «condizioni di ammissibilità», cit., 726 ss.; nello stesso senso anche le prime applicazioni dei giudici di merito: v. Trib. Prato, 10.11.2009 e Trib. Mondovì, 11.11.2009, in Giur. it., 2010, 900; Trib. Varese, 18.11.2009, in Guida dir., 2009, fasc. 50, 46; Trib. Cagliari 6.11.2009, in Giur. mer., 2010, 409; Trib. Taranto, 2.3.2010, in Foro it., 2010, I, 1648). Restando inteso, in ogni caso, quanto detto in precedenza circa il grado di accertamento richiesto per la pronuncia dell’ordinanza sul merito.
In questo, peraltro, si intravede la volontà del legislatore di riservare l’utilizzazione del nuovo procedimento sommario sia alle cause a trattazione semplice (come, ad es., quelle basate esclusivamente su prove documentali o quelle di puro diritto), sia a quelle pur complesse, ma rispetto alle quali il giudice investito della causa ritenga di poter pervenire alla pronuncia della decisione (e dunque alla formazione del suo convincimento) sulla base di un’istruzione sommaria (v. anche Trib. Bologna, 29.10.2009 e Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 20.11.2009, in Foro it., 2010, I, 1648 ss.; Trib. Brescia, 10.2.2010, in IlCaso.it; Trib. Torino, 11.2.2010, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, p. 929 ss., nel commento di M. Pacilli; Trib. Lamezia Terme, 12.3.2010, cit.).
E dunque, delle due l’una: o alla prima udienza dalle difese svolte dalle parti e dopo aver sentito i difensori, il giudice ritiene che sia manifestamente fondata la domanda proposta e/o manifestamente infondate le contestazioni della controparte oppure manifestamente infondata la domanda e/o manifestamente fondate le contestazioni, ed allora pronuncia, rispettivamente ordinanza di accoglimento o di rigetto della domanda proposta; oppure, non ritiene sussistente la manifesta fondatezza/infondatezza della domanda o delle contestazioni, ed allora, potrà pervenire alla pronuncia dell’ordinanza di accoglimento o di rigetto all’esito di un’istruzione deformalizzata e quindi sommaria condotta nel modo che ritenga più opportuno. Soltanto, ove non vi sia spazio per l’una o per l’altra soluzione, al giudice non rimane che disporre la conversione del procedimento da sommario in processo a cognizione piena, secondo il disposto del comma 3 dell’art. 702 ter.
In conclusione, l’intenzione del legislatore sembra essere quella di riconoscere al giudice il potere di valutare se – sulla base della natura della controversia, della sua complessità in fatto e/o in diritto, delle difese svolte dalle parti e delle prove portate a sostegno di tali difese – sia possibile pervenire alla formazione di un convincimento, che comunque ha da essere pieno (arg. ex art. 116 c.p.c.), ma che è frutto non di una cognizione piena (nel senso del modus procedendi) sulla fondatezza o meno della domanda proposta. Per questa ragione (e solo per questa) il procedimento in questione è da considerare sommario.
4. L’efficacia dell’ordinanza sommaria
L’ordinanza pronunciata a conclusione del primo grado del procedimento sarà destinata a produrre effetti diversi a seconda del suo contenuto.
Se di accoglimento (anche parziale) della domanda essa – stando al comma 6 dell’art. 702 ter – «è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione». Da questa formulazione traspare l’obiettivo principale perseguito dal legislatore: mettere a disposizione del creditore un procedimento sommario che consenta, ove la domanda sia di condanna, la formazione accelerata di un titolo esecutivo.
Quanto stabilito dal comma 6 dell’art. 702 ter non vale, invece, – oltre che nelle ipotesi indicate dai primi quattro commi dell’art. 702 ter (e cioè, incompetenza, inammissibilità o prosecuzione con le forme del rito ordinario) – in tutti i casi in cui il giudice abbia pronunciato o ordinanza di rigetto (integrale) nel merito o di chiusura del giudizio di primo grado per ragioni di rito (ad es., carenza di legittimazione ad agire o difetto di giurisdizione, ecc.).
Ciò detto con riferimento all’efficacia esecutiva, va anche aggiunto che: a) l’ordinanza pronunciata ai sensi del comma 5 dell’art. 702 ter – che sia di merito o di rito – è sottoponibile comunque al rimedio dell’appello «speciale» disciplinato dall’art. 702 quater; b) la stessa ordinanza, con la quale è stato deciso il merito della controversia (accogliendo o rigettando la domanda o le domande, anche riconvenzionali: in senso diverso Caponi, R., Sub art. 702 quater, in AA.VV., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 206; App. Roma, 11.05.2011, in Giur. mer., 2011, 2672), ove non appellata entro 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione, acquista l’efficacia del giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c.; c) le altre ordinanze pronunciate a norma dell’art. 702 ter non sono appellabili, ma: c1) ove si tratti di ordinanza dichiarativa dell’incompetenza, sarà sottoponibile a regolamento necessario di competenza; c2) ove dichiarativa dell’inammissibilità della domanda principale e/o di quella riconvenzionale, non sarà in alcun modo impugnabile (e, in quanto non decisoria, neanche ricorribile per cassazione a norma del comma 7 dell’art. 111 Cost.), ma consentirà la riproposizione della medesima domanda; c3) ove si tratti di ordinanza dichiarativa dell’esigenza di istruzione «non sommaria», non vi sarà spazio per la proposizione di alcuna impugnazione per espressa previsione legislativa (e neanche per il ricorso a norma del comma 7 dell’art. 111 Cost., sia perché non si tratta d ordinanza decisoria, sia perché non si tratta di ordinanza definitiva, limitandosi a disporre la prosecuzione con il rito ordinario).
Quale che sia il contenuto dell’ordinanza, l’ultimo comma dell’art. 702 ter impone al giudice di deliberare «in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti». Ciò che consente al giudice anche di fare applicazione dell’art. 96, co. 3, c.p.c. (v. anche Trib. Piacenza, 22.11.2010, in Guida dir., 2011, fasc. 3, 46).
Non sembra però che questa disposizione possa operare anche nei casi in cui venga disposta la continuazione del giudizio secondo il rito ordinario, perché in tal caso la decisione sulle spese dovrebbe essere rinviata alla pronuncia della sentenza.
5. L’appello avverso l’ordinanza
Una disciplina speciale si rinviene nell’art. 702 quater a proposito dell’appello esperibile avverso l’ordinanza sommaria; specialità della disciplina accresciuta dall’introduzione – ad opera del d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7.8.2012, n. 134 –, per l’appello ordinario e del rito lavoro ma non per quello del procedimento sommario, di un «filtro» di ammissibilità, ovvero della necessità che l’appello proposto venga dichiarato inammissibile con ordinanza «quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolto» (nuovi artt. 348 bis e ter e art. 436 bis c.p.c.) (v., su questo, Costantino, G., Le riforme dell’appello civile e l’introduzione del «filtro», in www.treccani.it/magazine/diritto/approfondimenti).
Ciò si giustifica in considerazione del fatto che nel caso dell'art. 702 quater viene prevista l’esperibilità dell’appello avverso un provvedimento definitivo del giudizio di primo grado che non ha la forma della sentenza ed è stato emesso all’esito di un procedimento sommario.
Anzitutto, quanto detto vale con riferimento ai termini per appellare l’ordinanza di cui all’art. 702 ter. Essa – dispone l’art. 702 quater – può essere appellata «entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione». A differenza dell’appello ordinario, dunque, per far decorrere i termini brevi per appellare sarà sufficiente la comunicazione dell’ordinanza da parte della cancelleria del giudice (se avvenuta prima della notificazione). Il che non esclude che se, tuttavia, dovesse mancare sia la comunicazione che la notificazione dell’ordinanza, si verifichi l’applicabilità del termine lungo, di cui all’art. 326 c.p.c. Come già anticipato, l'appello proposto avverso l'ordinanza del procedimento sommario non è sottoposto – a differenza dell'appello avverso la sentenza – al preventivo vaglio di ammissibilità circa la «ragionevole probabilità» di essere accolto nel merito (art. 348 bis e ter c.p.c.). Ne deriva che in questo caso il giudice dovrà sempre procedere alla trattazione dell'appello proposto (salvo che non sia da dichiarare inammissibile o improcedibile con sentenza a norma dell'art. 348), anche quando, sulla base di una valutazione prima facie e prognostica, dovesse apparirgli infondato. La scelta si giustifica sia con la volontà del legislatore di favorire il più possibile il ricorso facoltativo all'utilizzo del procedimento sommario, in quanto ritenuto in grado di determinare l'accelerazione nella trattazione della controversia, sia con la consapevolezza dello stesso legislatore che, siccome nel caso di specie il procedimento di primo grado si è svolto in maniera deformalizzata e quindi sommaria e siccome – come detto – qui l'appello è funzionale alla sua trasformazione in processo a cognizione piena, occorre assicurare alle parti il massimo accesso al giudizio di appello a salvaguardia degli artt. 3, 24 e 11 Cost.
Aggiunge, inoltre, lo stesso art. 702 quater che l’ordinanza «pronunciata ai sensi del comma 6 dell’art. 702 ter produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione». Vale a dire che, laddove non appellata tempestivamente, l’ordinanza sommaria è destinata ad acquistare l’efficacia propria del giudicato sostanziale (puntualizzazione, questa, che vale anche per quel che riguarda la determinazione dei limiti oggettivi e soggettivi dell’accertamento contenuto nell’ordinanza e che esclude l’utilizzabilità in altre occasioni avanzata di categorie «quantitativimente» diverse dal giudicato vero e proprio, come quella di preclusione pro iudicato). L’efficacia del giudicato, tuttavia, non può che riferirsi alla sola ordinanza non appellata con la quale il giudice di primo grado abbia deciso nel merito. Ed il medesimo effetto è da ritenere si produca per l’ordinanza di merito in caso di inammissibilità, improcedibilità o estinzione dell’appello. Infine, il passaggio in giudicato dell’ordinanza, che conclude nel merito il giudizio di primo grado, apre la strada all’esperibilità della revocazione straordinaria e dell’opposizione di terzo.
Disposizioni particolari valgono anche per quanto riguarda l’oggetto di quest’appello «speciale». In proposito, tuttavia, occorre tener conto che l'originaria formulazione dell'art. 702 quater ha subito un'ulteriore modifica per effetto del già citato art. 54 d.l. n. 83/2012. E così, mentre nella sua originaria formulazione l’art. 702 quater prevedeva che in appello «sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile», il nuovo intervento legislativo si è limitato a sostituire l'aggettivo «rilevanti» con «indispensabili». La modifica è collegata al fatto che lo stesso art. 54 d.l. n. 83/2012 ha riformato anche la disciplina dell'appello ordinario, nel senso di limitare l'introduzione in tale sede di nuovi mezzi di prova e nuovi documenti. Ed infatti, è stata eliminata dal co. 3 dell'art. 345 la possibilità, in precedenza ammessa, di proporre nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti dal giudice d'appello ritenuti «indispensabili ai fini delle decisione della causa». Avendo eliminato tale possibilità per l'appello ordinario, lo stesso legislatore ha sentito l'esigenza di continuare a rimarcare le differenze fra questo e l'appello di cui all'art. 702 quater, col prevedere che nell'appello avverso l'ordinanza del processo sommario di cognizione sono comunque ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti «quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione».
Si tratta di innovazione di particolare rilievo, una volta che si consideri che la valutazione di «rilevanza» dei mezzi di prova riguarda molto semplicemente l’attinenza del mezzo di prova proposto o del documento prodotto alla controversia, mentre quella di «indispensabilità» sposta l'attenzione del giudice sull'opportunità (discrezionalmente esercitata) di ammettere il nuovo mezzo di prova o il nuovo documento per poter ribaltare (o meno) la decisione appellata (tuttavia, prima della modifica, nel senso che «rilevanti» in questo caso sia sinonimo di «indispensabili» App. Roma, 11.5.2011, cit.). Occorre anche considerare che tale valutazione di «indispensabilità», avendo anche a che fare con nuove istanze istruttorie avanzate nell'appello di una decisione assunta all'esito di un procedimento sommario (com'è l'ordinanza appellata), necessariamente assumerà connotati diversi da quelli che essa potrebbe assumere ove le stesse istanze riguardino una sentenza (art. 437, co. 2, c.p.c.), ovvero un provvedimento che chiude un giudizio a cognizione piena (in proposito, sulle diverse soluzioni interpretative offerte circa la nozione di «indispensabilità», Mandrioli, C., Diritto processuale civile, XXI ed., a cura di A. Carratta, II, Torino, 2011, 495 ss.). Il riferimento, di conseguenza, dovrà essere a quei mezzi di prova o documenti, non proposti nel giudizio di primo grado anche se le parti avrebbero potuto farlo, ma che al collegio appaiono prima facie «indispnsabili ai fini della decisione» ovvero necessari per poter riformare o confermare l'ordinanza appellata.
D'altro canto, alla luce della nuova formulazione acquista significato anche la previsione dell’art. 702 quater secondo cui, oltre che i mezzi di prova e i documenti ritenuti «rilevanti» dal collegio, potranno essere proposti per la prima volta in appello anche i mezzi di prova e i documenti che «la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile». Questa disposizione, che non evidenziava alcuna ragionevolezza in relazione alla precedente formulazione dell'art. 702 quater, essendo evidente che la constatazione della rilevanza esclude la necessità della dimostrazione della «non imputabilità» della mancata proposizione in primo grado (per un tentativo di giustificare comunque la formulazione dell’art. 702 quater v. Balena, G., Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 324 ss.), assume, invece, un significato ben preciso. Essa, infatti, consente alla parte – in alternativa alla valutazione di «indispensabilità» della nuova istanza istruttoria da parte del giudice d'appello – di ottenere comunque l'ammissione di nuovi mezzi di prova o di nuovi documenti, ove dimostri dimostri di non averlo potuto fare nel corso del procedimento di primo grado per cause a lei non imputabili.
Va anche osservato che questa regola speciale concernente i mezzi di prova costituisce la sola deroga alla disciplina dell’oggetto dell’appello nel giudizio ordinario, sicché per il resto sono anche qui operanti le limitazioni concernenti l’inammissibilità delle domande nuove con le relative deroghe, nonché delle nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, di cui all’art. 345 c.p.c.
Infine, in deroga alla trattazione collegiale stabilita dall’art. 350, co. 1, c.p.c., l’art. 702 quater prevede che, per l’appello proposto alla corte d’appello avverso l’ordinanza, «il presidente del collegio può delegare l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio». Deroga che, peraltro, la l. 12.11.2011, n. 183 ha esteso anche all’appello «ordinario» modificando proprio il comma 1 dell’art. 350.
In applicazione dei principi generali in materia di appello, è da ritenere che anche l’appello avverso l’ordinanza di cui al comma 5 dell’art. 702 ter sia destinato a chiudersi con sentenza ricorribile per cassazione, salva la possibile rimessione al giudice di primo grado nei casi indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c. Sempre in applicazione dei principi generali, non può escludersi l’assoggettabilità dell’ordinanza che conclude il giudizio di primo grado, una volta che abbia acquisito l’efficacia di giudicato, alla revocazione straordinaria e all’opposizione di terzo.
Fonti normative
Artt.702 bis-702 quater c.p.c.
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