PRIONE
Acronimo sostantivato (dall'inglese Proteinaceus Infective One, unità o particella) coniato da S.B. Prusiner, nel 1982 circa, con riferimento alla particella che egli stesso aveva individuato nel corso delle sue ricerche sulla eziopatogenesi delle encefalopatie subacute spongiformi, nell'ambito di quel settore della virologia, in corso di sistemazione, comprendente, accanto ai virus lenti, i simil-virus (o virus non convenzionali) e i viroidi.
Nella prima descrizione questa particella è stata riconosciuta di natura proteica, di p.m. tra 27.000 e 30.000 (onde la sigla Pr. P 27-30), e dotata d'intensa attività moltiplicativa, pur non possedendo acidi nucleici, nemmeno in minima traccia. Studi ulteriori hanno dimostrato che tramite successive varianti essa deriva da un precursore di p.m. di poco maggiore (tra 33.000 e 35.000: sigla Pr. P 33-35). Tutte le forme considerate hanno la stessa sequenza aminoacidica, mentre tra le loro proprietà alcune sono uguali, altre di segno nettamente opposto.
La prima variante, la Pr. Pc, si dispone sulla superficie dei neuroni, dei linfociti e di alcune altre cellule, è soggetta all'azione della proteasi K, che la digerisce completamente, non ha azione tossica, non tende a polimerizzarsi e, pur non conoscendosene il significato funzionale, si tende a considerarla un normale costituente del tessuto nervoso, ciò che spiegherebbe la sua mancata tendenza a produrre anticorpi. Nettamente diverso è il comportamento della seconda variante, la Pr. PSc, che può convertirsi nella Pr. P 27-30: è relativamente resistente alla proteasi K, ha un'azione tossica (v. oltre) e i suoi elementi tendono ad autoaggregarsi, dando luogo, con questa polimerizzazione, alla formazione di filamenti, fibrille extracellulari e placche, che ricordano quelle del morbo di Alzheimer, con le quali, però, non sono identificabili; soprattuto tende a collocarsi all'interno dei neuroni, nelle cavità cito-plasmatiche, autorizzando l'ipotesi che con la loro azione tossica queste particelle ne ledano le pareti, facendo confluire i vacuoli in cavità di maggiore ampiezza, imprimendo ai tratti della sostanza grigia coinvolta il caratteristico aspetto spongiforme.
I progressi della bioingegneria hanno permesso a un gruppo di ricercatori italiani coordinati da G. Forloni d'individuare il frammento di p. responsabile della sua neurotossicità. Questi ricercatori hanno riprodotto ''per sintesi'' e collocato nella loro abituale sequenza i peptidi della regione Pr. P, purificando e ''copiando'' quelli appartenenti alla corteccia cerebrale di pazienti membri di una famiglia indiana portatrice della sindrome Gerstmann-Sträussler-Scheinker. Dei vari segmenti della sequenza così ottenuta, e facendo ricorso a una metodologia quanto mai ingegnosa e rigorosa, è stato cimentato l'effetto sulla vitalità di una coltura di neuroni primari dell'ippocampo di topo, modulando opportunamente i differenti momenti tecnici, per avere un panorama completo delle parziali risposte sperimentali. In questa sede ci si limiterà a citare esclusivamente il risultato complessivo più importante, che è consistito nella costante provocazione − dose dipendente − di una significativa perdita dei neuroni che venivano cimentati con i peptidi del tratto della sequenza Pr. P 106-125, purché di essi fosse conservata la normale reciproca disposizione; sono stati altresì dimostrati i vari momenti delle alterazioni necrotizzanti (condensazione della cromatina, frammentazione dei nuclei dei neuroni, ecc.). Non è escluso che dall'opportuna elaborazione e dallo sviluppo dei risultati parziali e collaterali possano sgorgare elementi utili alla soluzione dei problemi più o meno affini a quelli esposti in questa sede.
Bibl.: S.B. Prusiner, Novel. Proteinaceus particles cause scrapie, in Science, 216 (1982), p. 136; P.A. Merz, C.D. Gajdusek e altri, Infection specific particle from the unconventional slow virus diseases, ibid., 225 (1984), p. 437; S.B. Prusiner, I prioni, in Le Scienze, 196 (1984), p. 36; G. Collinge, Prion Dementia without characteristic pathology, in The Lancet, 336 (1990), p. 7; C. Weissman, A ''unified'' theory of prion propagation, in Nature, 352 (1991), p. 679; C.D. Gajdusek e altri, Prion Dementia without clinicopathological limits of ''prion dementia'', in The Lancet, 341 (1993), p. 127; J.T. Hughes, Prion diseases, in Brit. Med. Jour., 306 (1993), p. 278; G. Forloni e altri, Neurotoxicity of a prion protein fragment, in Nature, 362 (1993), p. 543; S. Gagliano, Prione, in Enc. Med. It., Aggiornamento, col. 6069.