principio
Il termine designa in D. tutto ciò che a qualsiasi titolo è ‛ primo ' in un certo ambito, nell'ordine dell'essere come in quello del conoscere; spesso ha connotazioni o designazioni locative (in senso proprio e traslato) o temporali.
La nozione di p. (greco ἀρχή) ha una sufficiente articolazione nella Metafisica di Aristotele (cfr. V 1): p. è ciò da cui si parte, nello spazio e nel tempo; o l'inizio di un processo (nell'istruzione si comincia spesso da ciò che è più accessibile al discente, non da ciò che è fondamentale in una certa scienza); designa inoltre ciò da cui una certa realtà ha inizio e che è intrinseco alla realtà stessa (le fondamenta in rapporto alla casa, il cuore o il cervello per rapporto all'animale), ma anche un qualcosa di estrinseco, da cui una certa realtà viene generata (il figlio è generato dai genitori). Ancora, secondo Aristotele, p. è la libertà di scelta (e quindi la ragione) da cui prende origine un mutamento o un moto qualsiasi (sono perciò p. i governi, o le attività tecniche, in particolare quelle direttive), oppure ciò da cui si ricava la conoscenza di una cosa (come le premesse della dimostrazione); infine, sono p. le cause, giacché tutte hanno ragione di p.; in definitiva, p. è ‛ il primo ' (τὸ πρῶτον), intrinseco o estrinseco, nell'ordine dell'esistenza, nella generazione e nella conoscenza; tali sono la natura, l'elemento, la ragione e il libero arbitrio, la sostanza e il fine (quest'ultimo lo è soprattutto negli esseri dotati di conoscenza, che sono mossi dal bene e dal bello).
Il termine va precisato, nell'uso tecnico che ne fa lo Stagirita, sia in rapporto a ‛ causa ' (v. CAGIONE), sia in rapporto a ‛ elemento ' (v.): ogni causa è p. (materia e forma sono cause, e quindi p., intrinseche di una cosa; agente e fine sono cause, e quindi p., estrinseche), ma non ogni p. è causa; allo stesso modo, l'elemento è p., ma non ogni p. è elemento. E poiché conoscere è " scire per causas ", è necessario pervenire alle cause e ai p. (τὰ πρῶτα) delle cose per avere piena conoscenza di esse (Metaph. I 2, 982a 29-b 4). Nell'ambito della scienza, tutte le dimostrazioni muovono da p.; ma i p. delle dimostrazioni non sono a loro volta dimostrabili, perché se lo fossero non sarebbero p. (IV 6, 1011a 11-13; ma sono da vedere per intero i libri II e IV, nonché VI 1, i cui temi sono ripresi nel libro XI). Infine, secondo Aristotele, ragione di p. ha il motore immobile rispetto a ciò che si muove (XII 4, 1070b 22-27; ma cfr. i capp. 1-6).
Nel Medioevo la dottrina aristotelica fu esaminata nei commenti ai testi qui ricordati, e utilizzata ampiamente. Tommaso d'Aquino precisa così il termine nella sua accezione più ampia (Sum. theol. I 33 1c): " hoc nomen ‛ principium ' nihil aliud significat quam id a quo aliud procedit: omne enim a quo aliquid procedit quocumque modo, dicimus esse principium, et e converso ", e aggiunge (ad 3): " licet hoc nomen ‛ principium ', quantum ad id a quo imponitur ad significandum, videatur a prioritate sumptum; non tamen significat prioritatem, sed ‛ originem ' ", e ancora (ad 1): " nomine principii utimur etiam in his quae... differentiam habent... solum secundum quendam ordinem: sicut cum dicimus punctum esse principium lineae, vel etiam cum dicimus primam partem lineae esse principium lineae ".
In D. il termine è usato in tutta la gamma dei suoi valori. In particolare, nel senso di " inizio ", esso è talora contrapposto a ‛ fine ' (inteso come " conclusione ", " termine ", " punto d'arrivo "): If XXIII 9 se ben s'accoppia / principio e fine con la mente fissa, se si considerano insieme l'inizio e la conclusione della rissa tra i diavoli e quelli della favola della rana e del topo di cui si ricorda il poeta; Vn XXIII 15 cominciandomi dal principio in fino a la fine, e XIX 20 li occhi, li quali sono principio d'amore... la bocca, la quale è fine d'amore, perché amore comincia con la vista della persona che diviene oggetto d'amore; Cv II XIII 27 tra 'l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria: il punto, infatti, sì come dice Euclide... è principio di quella, e, secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine (§ 26; cfr. a questo riguardo un testo, composto nel sec. XI e attribuito a Boezio, e in seguito molto diffuso: Boethii quae dicitur geometria altera [ediz. M. Folkerts, Wiesbaden 1970, 113]: " Quia vero, mi Patrici... Euclidis de artis geometricae figuris obscure prolata te adhortante exponenda et lucidiore aditu expolienda suscepi, imprimis quid sit mensura diffiniendum opinor. Mensura vero est, quicquid pondere capacitate longitudine latitudine altitudine animoque finitur. Principium autem mensurae punctum vocatur. Punctum est, cuius pars nulla est "); ma si vedano anche Pd XXVII 59 o buon principio, / a che vil fine convien che tu caschi (nell'invettiva di s. Pietro, la santità della Chiesa delle origini è contrapposta alla corruzione cui si era giunti al tempo di D.), cui è da accostare XXII 91 se guardi 'l principio di ciascuno [degli ordini monastici], / poscia riguardi là dov'è trascorso, / tu vederai del bianco fatto bruno; ancora, Ep XIII 29 (in principio... in fine, e principium... finem; per il § 90 vedi oltre).
Da rilevare, inoltre, l'uso del termine col significato di " ciò da cui qualcosa procede " o " trae origine ", quando occorre in endiadi con ‛ fonte ' (Mn I II 6 Cum... materia praesens politica sit, ymo fons atque principium rectarum politiarum) oppure nella locuzione ‛ fontale principio ' (Cv III XIV 5 l'usanza de' filosofi è di chiamare ‛ luce ' lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio; di chiamare ‛ raggio ', in quanto esso è per lo mezzo, dal principio al primo corpo dove si termina [cfr. II VI 9; Pd XXIII 84 principio di folgóri], e IX 9 Di questa pupilla lo spirito visivo, che si continua da essa a la parte del cerebro dinanzi - dov'è la visibile virtude come in principio fontale - subitamente santa tempo la ripresenta, per cui v. PERCEZIONE; Spirito). L'endiadi è già in Orazio Ars poet. 309, ma l'espressione " fontale principium " è spesso usata da Bonaventura a designare Dio in un contesto platonico-agostiniano: cfr. Itinerarium mentis in Deum II 7 " ut per illam unionem nos reduceret ad Patrem sicut ad fontale principium et obiectum " (ma cfr. § 5 " Sed quoniam species tenet rationem formae, virtutis et operationis, secundum quod habet respectum ad principium, a quo manat, ad medium, per quod transit, et ad terminum, in quem agit ", e § 8 " in solo Deo est fontalis et vera delectatio "); De Reductione artium ad theologiam pr. 1 " In hoc verbo tangitur origo omnis illuminationis, et simul cum hoc insinuatur multiplicis luminis ab illa fontali luce liberalis emanatio "; De Verbo incarnato sermo V 1 " In verbo isto declaratur, quod est fontale principium illuminationis cognoscitivae, Christus videlicet " (e si cita Eccli. 1,5 " Fons sapientiae verbum Dei in excelsis ").
Ma è da notare l'uso del termine in senso più propriamente dottrinale, quando è in endiadi con ‛ causa ': Mn I II 7 cum in operabilibus principium et causa omnium sit ultimus finis: - movet enim primo agentem -; If I 78 perché non sali il dilettoso monte / ch'è principio e cagion di tutta gioia? Cfr. anche Cv IV XVIII 5.
All'interno di queste accezioni fondamentali, il termine è impiegato in modo molto preciso in tutta una serie di occorrenze.
I. P. designa innanzi tutto e per eccellenza Dio, che solo ha l'essere necessariamente (Ep XIII 54 [due volte], e 90 invento principio seu primo, videlicet Deo), mentre tutte le cose hanno l'essere da lui: VE I V 1 faber ille atque perfectionis principium et amator; Cv IV XII 14 Dio è principio de le nostre anime e fattore di quelle simili a sé (cfr. Pd XIX 56 [la vista umana] non pò da sua natura esser possente / tanto, che suo principio non discerna / molto di là da quel che l'è parvente).
La sapienza divina, e quindi il Verbo, è di tutto madre [e di moto] qualunque principio (Cv III XV 15), perché tutto ciò che ha ragione di p. nell'ordine dell'essere (e in primo luogo i cieli) ha origine da Dio; l'influenza divina discende alle cose da simplicissimo principio (III VII 2; cfr. § 12 uno pensiero d'amore, lo quale io chiamo spirito celestiale, però che là su è lo principio e di là su viene la sua sentenza); ancora, Dio nell'ordine dell'universo dispone e indirizza tutte natire, per diverse sorti, / più al principio loro e men vicine (Pd I III); dispone anche gli eventi umani (Cv IV IV 12 ragione, [e] ancora divina, [conviene] essere stata principio del romano imperio); infine, egli è la fonte di ogni verità (Quaestio 1 in Eo... qui est principium veritatis et lumen). A Dio anelano naturalmente tutte le cose (Cv IV XII 14 lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato, è lo ritornare a lo suo principio), giacché in lui trovano la pace cui aspirano (nel sogno di Vn XXIII 8 sembrava a D. che il viso di Beatrice morta avesse tanto aspetto d'umiltade, che parea che dicesse: " Io sono a vedere lo principio de la pace "; Ep XIII 89 vera illa beatitudo in sentiendo veritatis principium consistit). Per tutto questo, Dio è insieme p. e fine di tutte le cose: Ep XIII 90 cum [Dio] sit alfa et O, idest principium et finis.
2. Seguendo Aristotele (Metaph. XII 2, 1069b 32-34), D, ritiene che li principii de le cose naturali.., sono tre, cioè materia, privazione e forma, che sono oggetto della scienza naturale (Cv II XIII 17; v. § 18 Pittagora... poneva li principii de le cose naturali lo pari e lo dispari; IV XIII 2 [due volte], 3 e 4; cfr. Mn II IV 2). Di essi, la forma (v.) è il p. che dà al sinolo l'essenza specifica: Cv IV XV 6 [Aristotele] vuole una sola essenza essere in tutti li uomini, la quale diversi principii avere non puote; e Plato vuole che tutti li uomini da una sola Idea dependano, e non da più, che è dare loro uno solo principio. Dalla forma deriva ogni disposizione dell'ente; così, la forma nobilissima del cielo... ha in sé principio di questa natura passiva, dispone il cielo a essere mosso dalla vertù motrice (Cv II V 18), cioè dalle Intelligenze motrici; le diverse Intelligenze, poi, diversificano l'influenza divina e hanno ragione di p. formale della diversità dei cieli (che sono ‛ organi ' di esse), quindi anche del turbo e del chiaro del cielo della Luna (Pd II 147; v. FORMALE). Più generalmente, secondo D., Virtù diverse esser convegnon frutti / di princìpi formali (II 71), cioè, ancora, la forma ha in sé la ragione della diversità delle essenze e quindi delle conseguenti operazioni.
Nell'uomo, dalla natura razionale dell'anima, che è sua forma, consegue tra l'altro la capacità di parlare: infatti non è vero che [gli animali] parlino né che abbiano reggimenti, però che non hanno ragione, da la quale queste cose convengono procedere; né è in loro lo principio di queste operazioni (Cv III VII 9); da essa procede il libero arbitrio, o p. della libertà e della responsabilità dell'uomo: cfr. Mn I XI 1, 2, 6 e 7; Pg XVIII 64 Quest'è 'l principio là onde si piglia / ragion di meritare in voi. Ma l'uomo fa buon uso della propria libertà nelle sue scelte quando è virtuoso. Poiché tutte le virtù morali hanno il loro p. (la radice di Cv IV Le dolci rime 82) nella capacità ‛ abituale ' di scegliere tra due estremi (IV XVII 2 e 7, XVIII 1 ogni vertù morale viene da uno principio, cioè buona e abituale elezione), la ‛ radice ' di tutte le virtù è da ricondurre alla nobiltà, poiché da essa ha origine: §§ 4-5 se in noi sono più cose laudabili, [e] in noi è lo principio de le nostre lodi, ragionevole è queste a questo principio riducere: e quello che comprende più cose, più ragionevolemente si dee dire principio di quelle, che quelle principio di lui. Ché lo piè dell'albero, che tutti li rami comprende, si dee principio dire e cagione di quelli, e non quelli di lui; e così nobilitade, [che] comprende ogni vertude, sì come cagione effetto comprende, [e] molte altre nostre operazioni laudabili, si dee avere per tale, che la vertude sia da ridurre ad essa prima che ad altro terzo che in noi sia (si noti l'uso del termine in rapporto ai diversi ambiti di volta in volta considerati; in questo caso, quello delle virtù etiche e quello, più generale, della disposizione umana al bene, nel quale il primo va incluso: infatti la umana bontade, secondo che in noi è principio di tutto bene... nobilitade si chiama, IV XXI 1). La nobiltà non trae origini dalle ricchezze (Le dolci rime 17) né dall'oblio (XIV 11), ma è donata da Dio all'anima perfettamente attuata (XX 6-8; cfr. Rime XC 49); a sua volta, è perfettamente realizzata l'anima-forma il cui corpo è d'ogni parte disposto perfettamente (Cv IV XX 9).
Se la forma è p. di perfezione, la materia (v.), in cui la forma si realizza, può essere causa o p. d'imperfezione: Cv III IV 7 la mala disposizione de la materia ... fu principio del peccato de la natura; IV XV 17 secondo malizia, o vero difetto di corpo, può essere la mente non sana: quando per difetto d'alcuno principio da la nativitade, si come [ne'] mentecatti (infatti il mentecatto è tale in rapporto alla ‛ complessione ' del cervello; si tratta perciò di un'imperfezione non sopravvenuta, ma presente nell'uomo fin dalla nascita; v. MENTE); alla complessione fisica di ciascuno sono da ricondurre le passioni connaturali, lo principio de le quali è la natura del passionato (e più oltre: la natura, na le quale è lo principio di quelle passioni connaturali), mentre delle passioni consuetudinarie il principio è la mala consuetudine (III VIII 18). Delle cause o p. di male, sul piano morale, è ricordata la superbia di Lucifero (Pd XXIX 55); ma cfr. Cv IV II 10 tutte le nostre brighe, se ben veniamo a cercare li loro principii, procedono quasi dal non conoscere l'uso del tempo.
Nell'organizzazione della società umana, ‛ forma ' o ‛ norma ' e p. di ordine è colui che governa e regge la società stessa: le società particolari trovano il loro p. di unità nel re (cfr. Mn I V 8), e ciò le dispone e ordina a quel tutto che è la ‛ humana universitas ' (cfr. VI 2-5); a sua volta, l'umanità s'inserisce adeguatamente nell'ordine generale dell'universo voluto da Dio quando è governata e unificata da un solo monarca, che è il p. che regola e ordine al fine l'umanità: VII 2 Sicut... inferiora humanae universitatis, bene respondent ad ipsam, sic ipsa ‛ bene ' dicitur respondere ad suum totum [l'universo]; partes enim bene respondent ad ipsam per unum principium tantum... ergo et ipsa ad ipsum universum sive ad eius principem, qui Deus est et Monarcha, simpliciter bene respondet per unum principium tantum, scilicet unicum principem. Per converso, la molteplicità delle stirpi (‛ materia ' della società) è causa della rovina delle città: Pd XVI 68 Sempre la confusion de le persone / principio fu del mal de la cittade (per il contesto, cfr. Arist. Pol. III 3, 1276a 33 ss.).
3. Sul piano della conoscenza, bisogna distinguere verità che sono p. e verità che non lo sono; i p., come si è detto, non hanno bisogno di dimostrazione, mentre le altre verità si ottengono per deduzione dai p.; perciò in ogni discorso scientifico bisogna disporre di p. per poter dimostrare la verità delle conclusioni: Mn I II 4 quia omnis veritas quae non est principium ex veritate alicuius principii fit manifesta, necesse est in qualibet inquisitione habere notitiam de principio, in quod analetice recurratur pro certitudine omniut propositionum quae inferius assummuntur (cfr. § 7 e 8; II II 1 [due volte], III II 1 [tre volte]).
Non c'è deduzione, e quindi non c'è sillogismo, se non si procede da p. (Cv IV XV 15 pare loro sottilissimamente argomentare, e non si muovono da neuno principio), né si può sillogizzare muovendo da falsi p., cioè da premesse false (IX 6 perché noi volessimo che'l silogismo con falsi principii conchiudesse veritade dimostrando; cfr. Ep V 26 per la ‛ sufficienza ' dei p. in ordine alla conclusione che se ne trae); ancora, in traduzione da Arist. Phys. I 2, 185a 5-6 (cfr. Metaph. XI 6, 1063b 10-12) contra quelli che piega li principii disputare non si conviene (Cv IV XV 16; cfr. Quaestio 21, due volte: v. anche Mn III III 8). Poiché non c'è niente che sia primo e più noto dei p., il poeta può affermare (Cv IV X 6): la diffinizione de la nobilitade più degnamente si farebbe da li effetti che da' principii, con ciò sia cosa che essa paia avere ragione di principio; che non si può notificare per cose prime, ma per posteriori; e ancora (XVI 9): in quelle cose che sono d'una spezie... non si può per li principii essenziali la loro ottima perfezione diffinire, convieni quella e diffinire e conoscere per li loro effetti; in entrambi i testi, D. dice che si può avere conoscenza a posteriori, non a priori, della nobiltà e della specie, giacché ciò che ha valore di p., come nobiltà ed essenza di una cosa, si conosce solo dai suoi effetti. Allo stesso ordine d'idee è da ricondurre ciò che si legge in Quaestio 21 sunt... haec principia inventa sensu et inductione, quorum est talia invenire, ut palet ex primo Ad Nicomacum (cfr. Arist. Eth. Nic. I 7, 1098b 2), e cioè i p. relativi alla natura delle cose sono conosciuti induttivamente, partendo dalla conoscenza sensibile. In generale, se di un p. non si dà dimostrazione in senso proprio, se ne può però dare una ‛ ex absurdo ', cioè mostrando le falsità che conseguono all'accettazione del suo contraddittorio: Mn III II 7 Verissimum... est illud principium ex cuius contradictorio tam absurda secuntur.
Il termine designa gli assiomi su cui si costruisce ciascuna scienza (cfr. Cv II III 5 Tolomeo... costretto da li principii di filosofia; XIII 30 [l'Astrologia] alta e nobile per la sua certezza, la quale è santa ogni difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolatissimo principio viene; cfr. §§ 26-27, dove si dice che il punto è il p. della geometria), i quali offrono il criterio per la soluzione di un problema (Pd XXXIII 135 Qual è 'l geomètra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond'elli indige); ma designa anche i postulati assunti per argomentare in una disputa (Mn I II 4 [terza occorrenza], III 2, IV 5 pax universalis, quae pro principio rationum subsequentium supponatur), un enunciato generale (cfr. i ‛ principia universalia ' di Mn I XIV 8) che vale come mezzo di argomentazione (III XI 1 Summunt... sibi principium de decimo Primae phylosophiae dicentes: omnia quae sunt unius generis reducuntur ad unum; cfr. Arist. Metaph. X 1, 1052b 18, e Cv I I 1, III XI 17); oppure ciò da cui si prendono le mosse in una ricerca (Quaestio 5); o, più semplicemente, una dottrina (Pd IV 61 Questo principio è la dottrina degl'influssi astrali); in Mn I XI 4 Magister sex Principiorum (v.), il termine vale " categoria ".
Accanto ai p. di ragione (che l'uomo può anche non cogliere se è impedito dalla cupidigia: Mn III III 17; cfr. II IX 20), D. pone quelli della fede; dagli uni e dagli altri procedono argomentati razionali, o filosofici, e teologici: Mn II X 1 Usque adhuc patet propositum per rationes quae plurimum rationalibus principiis innituntur; sed ex nunc ex principiis fidei cristianae iterum patefaciendum est. Secondo Pd XXIV 145, il primo p. di fede, da cui s'irradiano tutti gli altri, è quello dell'unità-trinità di Dio (Quest'è 'l principio, quest'è la favilla / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla).
4. Col valore di " origine ", " radice ", e quindi di " sorgente ", " fondamento ", e " parte iniziale " in senso spaziale o temporale, il termine ha varie occorrenze.
Secondo Avicenna e Algazel, le anime umane sono per loro principio... nobili e vili (Cv IV XXI 2), e cioè sarebbero differenti per l'influenza celeste da cui traggono origine (cfr. B. Nardi, Raffronti fra alcuni luoghi di Alberto Magno e di D., in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 67-68); in IV XV 5 i diversi principii da cui il genere umano sarebbe disceso indicano invece diversi progenitori, uno nobile e uno vile, oppure diverse essenze, o p. specifici diversi. In Quaestio 14 si ricorda Aristotele (Metereol. II 2, 354b 3 ss.), secondo il quale il mare è principium omnium aquarum; i principia fluminum del § 16, invece, sono le sorgenti; così in Pg XIV 31 p. è la sorgente dell'Arno, e in XXXIII 117 indica l'unica origine dei due fiumi del Paradiso terrestre, Lete ed Eunoè.
In If XX 12 principio del casso è l'inizio del busto, dov'è l'attaccatura del collo; cfr. XXVIII 141 partito porto il mio cervello, lasso! / dal suo principio ch'è in questo troncone, dal midollo spinale; in Ep VII 20 vitae principium è la radice della vita dell'idra, che consentiva a essa di rigermogliare in molte teste. Le espressioni nel principio de l'Ariete e nel principio de la Libra di Cv III V 13, principio del Cancro e principio del Capricorno del § 14 designano luoghi astronomici.
In VE I VIII 4 il termine designa l'unico idioma da cui hanno avuto origine le lingue volgari; in Cv IV VI 3 e 5 indica le due possibili ‛ radici ' del vocabolo ‛ autore '; in If II 30 la fede è detta principio a la via di salvazione, cioè " fondamento " o " conditio sine qua non ", perché senza fede non c'è salvezza, ma anche " punto iniziale ", perché la fede da sola non basta a dare la salvezza, dovendo a essa seguire le opere.
Ancora, in Rime LVII 8 Amore è principio ch'ha possanza; in Cv III I 5 lo proprio amore di me medesimo... è principio di tutti gli altri [amori], si come vede ciascuno; IV VIII 3 sé medesimo non conoscere... è principio ed è la misura d'ogni reverenza, cioè è p. e " criterio " o " norma ". In Vn III 14 D. accenna al principio de l'amistà tra lui e Guido Cavalcanti: cioè all' ‛ occasione ', costituita dal sonetto di D. e dalla risposta di Guido, e all' ‛ inizio ' vero e proprio (quando elli [Guido] seppe che io era quelli che li avea ciò mandato). In Cv II VI 6 si afferma che il persuadere l'ascoltatore ad ascoltare è principio di tutte l'altre persuasioni, condizione e premessa indispensabile. In Ep XI 22 si dice che gl'Italiani devono amare Roma come comune suae civilitatis principium, ma i cardinali romani (N. Orsini e I. Stefaneschi) devono amarla perché vi sono nati, vi hanno preso l'essere (cum sit vobis principium ipsius quoque esse).
Spesso il termine designa il " cominciamento " (v.), la " parte iniziale " di un discorso (cfr. Pd XV 38 e 90), o l'avvio del discorso di D. (VIII 10 da costei ond'io principio piglio; ma cfr. A. Pézard, Il c. VIII del Paradiso, Roma 1953, secondo cui D. si richiamerebbe al ‛ principio filosofico ' o all'idea insita nel mito di Venere); oppure l'inizio in senso temporale (Pg XV 2 tra l'ultimar de l'ora terza / e 'l principio del di; cfr. Cv IV XXIII 16).
Notevole frequenza hanno le locuzioni ‛ dal p. ' e ‛ nel p. ', usate in assoluto o costruite con un complemento. ‛ Dal p. '. occorre nel senso di " dapprima " in Vn XXV 6, XXX 2; Cv II XV 5 (dal principio... poi), III XI 1, XV 19, IV V 18, XXII 5 [due volte], 6 (questi umani appetiti per diversi calli dal principio se ne vanno, e uno solo calle è quello che noi mena a la nostra pace), 7 e 12; If XXVII 14 per non avere via né forame / dal principio nel foco, in suo linguaggio / si convertïan le parole grame); cfr. l'equivalente latino a principio di VE I IX 1, Mn I V 1, III XII 1, Ep XIII 31; l'occorrenza di If XI 107 e se tu ti rechi a mente / lo Genesì dal principio (cfr. Gen. 2, 15; 3, 17 e 19) è glossata da Pietro " in Genesi in principio ": designerebbe quindi la parte iniziale del Genesi; in Cv III XIV 7 (prima occorrenza) è traduzione da Eccli. 24, 14 (" Ab initio "). La stessa locuzione, seguita da un complemento, vale ‛ dall'inizio di ', oppure ‛ fin da ': Vn II 2 (quasi dal principio del suo anno nono); Cv IV XXIV 5 (dal principio de la vita; è anche in. I XI 62, XIII 8); III XI 3 (quasi dal principio de la costituzione di Roma); IV XXII 4 (dal principio de la nostra generazione: è il nostro principio di XXVI 5); XXVIII 15 (dal principio del suo vedovaggio... dal principio del senio); If I 37 (Temp'era dal principio del mattina); cfr. VE I IX 2; si noti la costruzione di Cv IV Le dolci rime 123 L'anima... dal principio ch'al corpo si sposa / la mostra infin la morte.
L'altra locuzione ‛ nel p. ' occorre in assoluto con valore temporale in Vn XXVI 3 (né alcuno era lo quale potesse mirare lei, che nel principio nol convenisse sospirare) e Cv IV XII 5; seguito da complemento, ha valore temporale solo in tre luoghi (Cv II XIII 22 in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione; III V 14 nel principio de l'Ariete, e IV II 7 nel principio de la primavera); negli altri casi designa la parte iniziale di un libro: del Genesi (VE I IV 2), del Vangelo di Giovanni (Cv III XIV 7, seconda occorrenza), della Prima Filosofia (I I 1) o Metafisica di Aristotele (II XV 11), o della Fisica (III XI 1, seconda occorrenza; VE II X 1) o dell'Etica a Nicomaco dello Stagirita (Cv IV VII 15); del De Finibus di Cicerone (I XI 14), dei Remedia amoris (Vn XXV 9) e delle Metamorfosi di Ovidio (Cv II XIV 5), dell'Ars poetica di Orazio (II XIII 10; VE II IV 4); del Vecchio Digesto (Cv IV IX 8; v. DIGESTO); delle Derivationes di Uguccione da Pisa (VI 5, seconda occorrenza); della Monarchia dello stesso D. (Mn III I 1); o, generalmente, di molte scritture (Cv I XI 10 sì come ne' loro principii si può vedere apertamente in molte); designa anche la parte iniziale di un capitolo (I VII 16, Mn I VIII 5; VE II XII 2), o del prologo di un'opera poetica (Ep XIII 50 in principio exordii rive prologi, per cui cfr. § 44 proemium est principium in oratione rhetorica sicut prologus in poetica et praeludium in fistulatione, da Arist. Rhet. III 14, 1414b 19-20), o di una canzone (Cv IV I 9); cfr. ancora: III XIII 1 nel principio de le laudi di costei; IV II 1 Nel principio de la impresa esposizione, che si ritrova in forma più generale, con riferimento alla tradizione dell'" accessus ad auctores ", in Ep XIII 18 Sex... sunt quae in principio cuiusque doctrinalis operis inquirenda sunt.