SICONOLFO, principe di Salerno
SICONOLFO, principe di Salerno. – Figlio cadetto del principe beneventano Sicone, non ne conosciamo madre e data di nascita; quest’ultima è però collocabile negli ultimi anni dell’VIII secolo: Siconolfo e il fratello maggiore Sicardo sono infatti definiti giovani («floridam etatem gestantes»: Chronicon Salernitanum, a cura di U. Westerbergh, 1956, p. 44) nel contesto di un episodio databile agli anni precedenti l’817.
Poco dopo l’inizio del suo principato (832), il fratello Sicardo (v. la voce in questo Dizionario) lo allontanò, temendone le ambizioni; lo tonsurò e lo mandò in esilio a Taranto. Da lì Siconolfo fuggì nell’839, dopo la morte di Sicardo e l’ascesa al trono del tesoriere Radelchi; Orso, suo cognato e conte di Conza, lo protesse, tenendolo in segreto presso di sé. La candidatura di Siconolfo al principato divenne concreta grazie all’appoggio del potente Dauferio, detto il Muto, che aveva intanto abbandonato Benevento per rifugiarsi a Salerno. Con Dauferio e con i suoi sostenitori si schierò anche Adelmario, inviato da Radelchi per mediare un accordo, sicché il principe fu attirato con l’inganno a Salerno, duramente sconfitto e definitivamente estromesso dal territorio salernitano. Siconolfo fu probabilmente proclamato principe di Benevento, ancor prima del suo ingresso a Salerno (Ystoriola Longobardorum..., a cura di L.A. Berto, 2013, capp. 14-15, e Cronicae Sancti Benedicti casinensis, a cura di L.A. Berto, 2006, II, cap. 1 contro Chronicon Salernitanum, cit., capp. 79 e 80b).
Le prime mosse della fazione salernitana appaiono dunque distinte e indipendenti dalla fuga di Siconolfo, ma d’altra parte la sua frettolosa proclamazione a principe fuori dalla sede cittadina principale (un evento del tutto isolato, nella storia del Mezzogiorno longobardo) era il segno del carattere da subito radicale e strategico, non congiunturale, dell’opposizione a Radelchi, comprendente anche il potente gastaldo di Capua, Landolfo: gli oppositori avevano bisogno di una figura di prestigio tale da poter essere contrapposta a Radelchi, il più velocemente possibile. La compresenza di due principi, con sedi diverse e uguali ambizioni, era il segno di un salto di qualità nel conflitto che scuoteva la nobiltà beneventana almeno dal regno di Grimoaldo IV (806-817).
Come Radelchi, Siconolfo si titolò nei diplomi Langobardorum gentis princeps; e nella monetazione argentea, da lui coniata a Salerno, si dichiarò principe di Benevento, rivendicando implicitamente il dominio su tutto il Mezzogiorno e riprendendo tipi monetali propri degli anni di Sicardo. Va detto però che Siconolfo agì subito anche come principe salernitano, operando per radicarsi nella sua nuova sede, come mostrano alcuni suoi diplomi e le sue attività patrimoniali. Nell’841 egli concesse al vescovo salernitano Aio il monastero di S. Pietro di Palazzo; nell’845 diede a Rattelmundo di Ractelchisi due monti presso Vietri (l’area in cui Siconolfo stanziò i pochi amalfitani rimasti a Salerno dopo i torbidi seguiti alla morte di Sicardo); in una data imprecisata concesse al gastaldo Radelchi una terra presso le mura di Salerno; nel dicembre dell’849 permutò infine un possedimento familiare situato presso Benevento con terre di S. Vincenzo al Volturno nell’area del Tusciano, disfacendosi di beni ormai non controllabili, per concentrare la base patrimoniale in aree vicine alla propria residenza. L’orizzonte di Siconolfo non era tuttavia ristretto a Salerno: emanò anche due diplomi per il monastero napoletano in insula Salvatoris, confermandogli i possedimenti nel territorio di Pozzuoli, e un altro per S. Maria in Cingla, presso Caserta.
I diplomi testimoniano anche dell’entourage di Siconolfo, formato dai suoi principali sostenitori, compresi in un’embrionale struttura di corte: gastaldi, conti, tesorieri e marpahis. Accanto al cognato Orso troviamo il conte Grimoaldo e il conte Maione, da identificare nei figli di Dauferio il Muto. Un posto di rilievo hanno i Capuani: Landolfo di Capua fu in quegli anni marpahis presso la corte salernitana, come poi suo figlio Pandone. Altri due figli di Landolfo, Landenolfo e Landone, agirono per conto del principe come gastaldi, in missione presso Montecassino, insieme con Pietro e Ademario, da identificare con il padre e il figlio cui Siconolfo affidò poi, in punto di morte, la tutela del figlioletto, Sicone.
Con l’aiuto determinante di Landolfo di Capua, Siconolfo riuscì a conquistare spazi ampi, strappando gradualmente a Radelchi il controllo di tutto il settore meridionale del Principato beneventano. Una tappa importante del conflitto fu una battaglia combattuta presso le Forche Caudine, da collocare nell’843: Siconolfo riuscì a rovesciare in quell’occasione l’esito del confronto, inizialmente favorevole a Radelchi, avanzando poi fino a Benevento, che fu sottoposta a un duro assedio. A questa circostanza, e non all’847, va con ogni probabilità datato il primo coinvolgimento nelle vicende del Mezzogiorno longobardo di Guido, duca di Spoleto e cognato di Siconolfo (la moglie di Siconolfo, Itta, era probabilmente una sorella di Guido).
Giunto sul campo come alleato del principe salernitano, il duca spoletino assunse presto un ambiguo ruolo di intermediazione, offrendo la sua alleanza alternativamente a lui e a Radelchi e ottenendo così ricchi donativi da entrambi. L’intervento di Guido fu comunque a suo modo determinante, perché convinse Siconolfo a desistere dall’assedio e a recarsi a Roma per chiedere l’appoggio di Ludovico II, da poco incoronato re d’Italia (844).
Siconolfo assunse rapidamente il controllo di buona parte della Puglia. Per contrastarne l’avanzata, Radelchi si appoggiò a bande di mercenari musulmani già presenti nel Mezzogiorno; Siconolfo bilanciò l’equilibrio delle forze assoldando altre truppe musulmane, comandate da Apolaffar; attinse le risorse necessarie per i mercenari dal tesoro della cattedrale salernitana di S. Maria e poi, soprattutto, dal tesoro di Montecassino. Nell’843 il principe promise di restituire diecimila dinar, come compenso per gli oggetti preziosi sottratti all’abbazia (quasi tutto il tesoro). La mancata restituzione della somma fu compensata nell’843-844 dalla concessione a Montecassino di S. Nazario in Canzia.
Negli anni successivi Siconolfo fu coinvolto nella reazione carolingia, sollecitata da lui stesso con gli altri principi longobardi, all’incursione musulmana a Ostia (846). Progettata già nell’ottobre dell’847 (capitolare di Lotario), preparata da Guido di Spoleto, la spedizione ebbe luogo nella primavera dell’848 sotto il comando di Ludovico II, che prima di tornare verso Roma patrocinò l’accordo di divisione del Mezzogiorno longobardo in due principati distinti, con capitali Benevento e Salerno. Il testo dell’accordo, datato fra il 12 maggio 848 e il dicembre dell’849, richiama l’autorità imperiale, ma è formalmente una concessione di Radelchi a Siconolfo.
In un quadro sostenuto da varie garanzie reciproche, Siconolfo ottenne una serie di loca et gastaldata, che disegnano un’area coincidente con la fascia tirrenica e meridionale dell’antico ducato beneventano, da Cosenza, Cassano e Taranto a Sud fino a Sora a Nord. A Radelchi rimasero dunque il Sannio, il Molise e la Puglia centro-settentrionale, cioè uno spazio apparentemente più ampio di quello da lui controllato nell’ultima fase del conflitto.
Siconolfo morì improvvisamente alla fine dell’849, forse avvelenato. Nel dicembre di quell’anno risulta già in carica il figlio Sicone, ancora minorenne.
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