principato
Nella storiografia su Roma antica, il termine è talvolta usato, per il periodo del 1° e 2° sec. d.C., quale sinonimo di impero (come principe è sinonimo di imperatore); in partic. si suole definire p. il potere imperiale quale fu concepito e attuato da Augusto, come compromesso tra potere del sovrano (primo tra i pari, «principe»), fondato su potestà derivate dalla costituzione repubblicana, e tradizionale potere senatorio. Il p. può essere considerato come momento di transizione tra la tarda Repubblica e l’impero quale poi si affermò con la definitiva esautorazione del Senato; non può essere definito propriamente una magistratura, almeno nel senso repubblicano della parola, né facilmente riassumersi in una formula giuridica, appunto perché compromesso politico-costituzionale singolarmente legato alla personalità di Augusto. Negli studi sul Medioevo, con il termine p. gli storici sono soliti indicare due realtà molto differenti fra di loro. La prima, sia pure in modo vago, concerne le maggiori entità territoriali nelle quali si articolarono i regni di Francia e Germania a partire dall’età postcarolingia; il rapporto tra il «principe» (nome generico dato a signori che in realtà erano duchi, conti, marchesi, per indicare il loro ruolo, inferiore solo a quello del sovrano) e il re era un rapporto complesso, in parte pubblico (poiché il primo ricopriva una carica pubblica), in parte di tipo feudo-vassallatico; la base del potere dei principi, però, consisteva nella somma consistente di poteri signorili che era radunata nelle loro mani. In particolar modo, il termine p. è applicato dagli storici alle formazioni politico-territoriali createsi, a partire dalla fine del 9° sec., in seguito al frazionamento del regno dei franchi occidentali (poi regno di Francia), a sua volta emerso come realtà politica dallo sbriciolamento dell’impero carolingio. Tali realtà, a carattere regionale (Angiò, Champagne, Provenza, Fiandre, Normandia ecc.), furono a loro volta colpite dal fenomeno della dispersione dei poteri centrali, tipico di tutto il periodo dell’anarchia politica (fine 9°-inizio 11° sec.): i principi, che in questo periodo erano di fatto indipendenti nei confronti del re, ebbero difficoltà a far valere la propria autorità nei confronti dei loro vassalli e castellani, perdendo così parte dei diritti di banno a favore della minore aristocrazia dei castellani e dei milites. Grazie anche al movimento della , a partire dalla fine del 10° e dagli inizi dell’11° sec. si mise però in moto un processo di ricomposizione dei poteri centrali, che permise ai principi di riassumere il potere nelle loro mani, strutturando delle entità territoriali solide, grazie anche al sistema del feudo oblato (➔ ). Queste ultime furono successivamente inglobate nel regno di Francia (dal sec. 12° in poi), senza perdere però i loro connotati regionali distintivi. La seconda realtà indicata dalla parola p., in relazione al Basso Medioevo e all’Età moderna, concerne specificamente la storia italiana e indica la costruzione, da parte delle signorie cittadine, di organismi politici che andavano al di là del semplice territorio cittadino e che, almeno tendenzialmente, avevano un respiro di tipo regionale. L’esigenza di coordinamenti politico-territoriali più ampi del semplice comune cittadino e del suo contado si era fatta sentire acutamente già nel corso degli intensi conflitti intercittadini che avevano caratterizzato il 13° secolo. Tali coordinamenti si erano inizialmente realizzati mediante la strutturazione di fazioni, quali i guelfi e i ghibellini, allargate a più città. I vincoli di alleanza e di schieramento fra le diverse città di aree territoriali vicine divennero, con gli inizi del 14° sec., la base per i primi tentativi di costruzione di poteri sovracittadini, spesso con l’intervento di signori stranieri. Ma furono soprattutto i più grandi comuni, nella maggior parte dei casi ormai dominati da un signore, insieme ai principali Stati extracittadini già esistenti, che riuscirono nell’intento di semplificare la carta politica italiana con un processo di selezione e riorganizzazione territoriale che interessò tutto il 14° sec. e oltre. All’epoca della Pace di Lodi del 1454, i grandi p. che si suddividevano l’Italia erano ormai quelli che la caratterizzeranno poi durante l’Età moderna: Venezia, Milano, gli Estensi, i Savoia, Firenze, lo Stato pontificio e il regno di Napoli (quest’ultimo, evidentemente, può essere considerato un p. solo in senso anomalo, vista la sua natura appunto di regno e le sue antiche origini, precedenti all’età considerata: ma va indicato fra i p., in quanto costituisce un’articolazione regionale dello spazio politico italiano al pari degli altri). Dal punto di vista istituzionale, i p. furono di solito caratterizzati da un riconoscimento da parte di un’autorità superiore, di solito imperiale, che legittimava un potere di origine non sempre limpida, quale era quello dei signori cittadini: così nel 1395 Gian Galeazzo Visconti fu nominato duca dall’imperatore Venceslao; Amedeo VIII di Savoia ottenne il ducato omonimo nel 1416 e Gian Francesco Gonzaga il marchesato di Mantova nel 1433, entrambi dall’imperatore Sigismondo; Borso d’Este ebbe il ducato di Modena e Reggio da Federico III nel 1452; Federico III di Montefeltro il ducato di Urbino da papa Sisto IV nel 1478. Si designano come p. però anche quegli Stati, come Venezia e Firenze, dove rimase formalmente in piedi, più o meno a lungo, un apparato politico repubblicano (ma pure Firenze cercò legittimazioni imperiali ai suoi diritti). Dappertutto si verificò un’accentuazione del peso del potere centrale in senso burocratico, accompagnato dallo sviluppo di una corte, luogo di elaborazione anche ideologica del nuovo potere principesco. Non si deve comunque pensare che costruzione di Stati regionali voglia dire omologazione dei vari territori in una struttura di governo uniforme: anzi, l’imposizione dell’autorità del principe o della città dominante avvenne di necessità attraverso una serie di concessioni e patteggiamenti, che finirono per riconoscere privilegi e autorità di città soggette, signori, comunità rurali, ai quali furono concessi ampi poteri di governo su scala locale. Uno strumento importante, infine, che fu utilizzato da molti principi (per es., dai Visconti) per cementare i loro Stati, fu quello del feudo oblato, secondo un modello già largamente utilizzato su scala più ampia dalle grandi monarchie europee.