Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I Paesi Bassi sembrano condensare, in un piccolo spazio, l’intera “vicenda” cinquecentesca: ascese e declini economici e politici, trattatistica, guerre di religione, strategia militare, arte, cultura e filosofia. E in nessun altro luogo, alla fine del secolo, tutto sarà irriconoscibile: un insieme di province policentriche diventate due Stati e due economie nel regno di due sovrani. Da Carlo V a Filippo II la vecchia oligarchia cattolica, aristocratica e commerciante cede il passo alla nuova élite protestante dei gruppi mercantili, armatoriali e finanziari, Anversa sostituisce Amsterdam, mentre – intorno – il conflitto europeo si approssima.
Fino al 1555 per i Paesi Bassi è, in fondo, un’epoca “felice”: il matrimonio della figlia di Carlo il Temerario, Maria “la ricca”, con l’imperatore Massimiliano immette questo mosaico di province in una dimensione più ampia e ricca di potenzialità e relazioni: sono parte di un grande impero, che aspira ad essere una monarchia universale.
Paese di città e manifatture, policentrico, con una densità abitativa pari solo a quella italiana, una propensione all’innovazione tecnologica dettata da una natura complessa (si pensi all’invenzione dello streekvaart per facilitare lo spostamento degli uomini d’affari da una città all’altra su chiatte trainate da cavalli che permettono di percorrere sia la terra che l’acqua senza dispendio di tempo e di mezzi), una caparbia abilità di ingegneria idraulica diffusa sul territorio che restituisce – con canalizzazioni e drenaggi – a un uso intensivo terre indispensabili al grande numero di abitanti (3 milioni, disseminati in oltre 200 centri urbani), i Paesi Bassi sono – per l’Europa del Cinquecento – soprattutto il richiamo di Bruges e Anversa, centri nevralgici di arte, cultura e traffici e gangli vitali della “repubblica internazionale del denaro”.
Qui non solo la “maniera moderna” di Hieronymus Bosch, di Pieter Bruegel il Vecchio, di Mabuse e van Scorel ma, quasi l’arte riassuma e simboleggi, un continuo dialogo e scambio con la vivacità e l’intensità dei centri nevralgici italiani (Genova e Venezia in primo luogo, ma anche Firenze e Lucca) cui si approssimano per tipologia: è un fervore produttivo quasi senza eguali, specie se rapportato al peso politico e all’estensione territoriale. Certo il declino di Bruges, suscitato dall’insabbiamento del fiume Zwin cui una città già in crisi per la concorrenza delle più economiche drapperie inglesi e trascinata al fallimento dalla Banca dei Medici non può porre rimedio per mancanza di risorse, ha suscitato viva preoccupazione: ma le correnti dell’economia mondiale virano di poco e vanno ad Anversa che, dal 1496, raddoppia le sue fiere diventando luogo di incontro di “quelli che contano”: i mercanti banchieri italiani e tedeschi in primo luogo. Lo sviluppo è rapidissimo: dalle merci il passaggio al più conveniente mercato del credito è breve e quasi indolore; nel 1531 viene aperta la Borsa. Sono ricchi e contraddittori, i Paesi Bassi nel Cinquecento, giacché coniugano forme di arcaismo politico alle punte più avanzate dell’economia e delle aspirazioni di dominio.
Da un lato, le spinte di autogoverno locale si fanno sentire, e trovano la loro forma di legittimazione nel Gran Privilegio che è stato concesso da Maria di Borgogna nel 1477; dall’altro, però, l’imperatore Carlo V è nato a Gand, la maggioranza dei suoi consiglieri è fiamminga e Bruxelles la dimora prediletta: i Paesi Bassi, aumentati a diciassette province proprio durante il suo regno, sono il cuore del più vasto progetto di monarchia universale, cui contribuiscono anche finanziariamente aumentando fino a sette volte la partecipazione economica alle aspirazioni imperiali.
Non sorprende, dunque, la reciprocità istituzionale che si configura: da un lato, nel 1548 Carlo V ottiene dalla Dieta del Sacro Romano Impero una nuova definizione dei Paesi Bassi come unità politica collegata alla struttura imperiale ma da essa indipendente; ma, al tempo stesso, viene promulgata una Prammatica Sanzione nella quale ogni provincia si impegna, alla sua morte, ad accettare istituzioni comuni e uno stesso sovrano. L’Impero ha bisogno dei Paesi Bassi; ma, in fondo, i Paesi Bassi hanno bisogno dell’Impero.
Ne consegue, ben più che in altre regioni dell’impero, un ordinamento in equilibrio tra istituzioni centrali (consigli di Stato, finanza e giustizia) e un sostanziale autogoverno provinciale espresso da organismi rappresentativi (gli Stati provinciali) riuniti periodicamente in un’assemblea comune (gli Stati generali), cui peraltro corrisponde – nel corso del secolo –una crescente divaricazione economica tra aree peraltro diverse anche dal punto di vista linguistico. Spinte diverse e contrapposte si attivano e confrontano, mentre le correnti dell’economia e della politica mondiale cominciano – con l’abdicazione di Carlo V – a ruotare più vorticosamente.
L’equilibrio si rompe con l’ascesa al trono di Filippo II. Dal padre Carlo, che nel 1522 aveva istituzionalizzato l’Inquisizione locale, ha ereditato l’impegno a impedire la diffusione delle idee di Riforma che progressivamente si configurano però, forse proprio per i tentativi di lesione delle autonomie e delle prerogative, in rafforzamento dell’identità locale e delle istanze di autonomia.
Così, la scelta di conferire il governo dello Stato all’integralista Antoine Perrenot di Granvelle, figlio di Nicolas, consigliere di Carlo, suscita la violenta reazione della nobiltà locale, capeggiata da Guglielmo I della potente famiglia Orange e dai conti di Egmont e di Hornes, contrari alla riorganizzazione della chiesa olandese, all’attività dell’Inquisizione e alla presenza di truppe spagnole; l’arma prescelta è, ancora una volta, quella economica: il rifiuto di pagare le guarnigioni. Nel 1564 –anche su proposta di “Madama” Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo, duchessa di Parma e Piacenza dopo il matrimonio con Ottavio Farnese, diventata governatrice nel 1559 – Granvelle viene destituito, senza tuttavia mitigare le misure di repressione; nel 1566 una Lega presenta alla reggente una proposta di compromesso (“Compromesso di Breda”): la sprezzante risposta del cortigiano Charles de Berlaymont, che definisce i promotori gueux (“pezzenti”), scatena la rivolta.
A ben poco servono i tentativi di mediazione di Margherita, costretta alle dimissioni: ben consapevole degli interessi in gioco, e ben deciso a mantenere il controllo dell’area più ricca del suo regno, Filippo e i suoi consiglieri decidono di trattare i Paesi Bassi come una qualunque delle province dell’impero e invia nel paese Fernando Álvarez de Toledo, duca d’Alba, grande di Spagna e non membro della famiglia del re, già governatore del Ducato di Milano e del Viceregno di Napoli; il soprannome che gli viene conferito – il “macellaio delle Fiandre” – mostra la radicalizzazione e gli esiti del conflitto: i “pezzenti” infatti, colpiti duramente non solo dalla repressione ma dal restringimento dei traffici con l’area baltica e dalla guerra commerciale con l’Inghilterra, ribadiscono le istanze identitarie che sono, ora, appartenenza culturale, religiosa ed economica di una parte del Paese. La risposta è la condanna a morte di Egmont e Hornes – fatti rientrare, accusati di alto tradimento e giustiziati – e la fuga di Guglielmo I d’Orange, 9000 arresti e 1000 esecuzioni per decisione del “Consiglio dei Torbidi” tra 1567 e 1576 e un inasprimento della pressione fiscale per pagare i costi della repressione e i contemporanei, ed esosi, impegni nel Mediterraneo e contro i moriscos. L’iconografia, nel dilagare della rivolta, rappresenta il conte di Granvelle mentre soffia pensieri malefici nell’orecchio del Duca: il patto di reciproca convenienza e di comuni interessi tra la monarchia e i Paesi Bassi si è rotto irrimediabilmente.
Il conflitto tra i “pezzenti” e il dominio spagnolo travalicherà il secolo e si concluderà ottant’anni dopo: la pace di Westfalia sancirà l’esistenza delle Province Unite; ad Anversa si sostituirà Amsterdam, lasciando alla Spagna la parte del Paese meno dinamica e disponibile alle innovazioni.
Nella prima fase, che si concluderà nel 1609, la resistenza si sposta progressivamente da sud verso le province settentrionali di Olanda e Zelanda e verso i porti del nord, dove è attiva la guerra di corsa dei “pezzenti d’acqua”; spesso vengono rotte le dighe per rallentare il passaggio delle truppe spagnole in un conflitto che si allarga sempre più specialmente dopo la strage di san Bartolomeo che spinge l’opinione pubblica verso posizioni calviniste. Guglielmo I – convertito al calvinismo nel 1573 –viene nominato Stadtholder delle Province di Olanda, Zelanda, Friesland e Utrecht mentre si stringono patti provinciali per la difesa e la tassazione comuni; nel contempo, di fronte alla decadenza dei traffici delle città meridionali, gli Spagnoli sono costretti a destituire il duca d’Alba. Ma la soluzione si rivela insufficiente: nel 1575 le truppe, rimaste senza denaro, saccheggiano Anversa. Gli Stati generali si riuniscono allora a Gand e decidono di espellere le truppe straniere, abolire le leggi di repressione religiosa, affidare il comando militare a Guglielmo I Orange e chiedere aiuto al re di Francia.
La Spagna, peraltro impegnata nel Mediterraneo, nomina governatore prima il vincitore di Lepanto e fratellastro del re don Giovanni d’Austria e, alla sua morte (1578), Alessandro Farnese che riesce a ricondurre sotto l’egemonia spagnola la parte meridionale del Paese: nel 1579 le Fiandre valloni ribadiscono, con l’Unione di Arras, la proprio fedeltà a Filippo II, mentre le Province settentrionali e le città di Bruges, Gand, Bruxelles e Anversa si coalizzano in un’unione firmata a Utrecht, chiedono alla regina Elisabetta I d’Inghilterra di diventare loro sovrana e, in seguito al suo rifiuto e alle difficoltà incontrate dal fratello del re di Francia duca di Alarçon, cui pure si sono rivolti, proclamano la Repubblica delle Province Unite abiurando il patto di fedeltà nei confronti di Filippo: riprendendo i topoi della libellistica politica europea, sostengono che quando un re non sa svolgere i propri compiti, il vincolo si scioglie e la ribellione si tramuta da fellonia in guerra giusta contro la tirannide. Nel 1581 gli Stati generali dichiarano ufficialmente la deposizione di Filippo ma vi è incertezza sul modello di Stato: solo negli anni successivi la Repubblica si stabilizza in una forma istituzionale fondata sull’equilibrio e la dialettica tra gli Orange, che detengono la carica di Stadtholder, e gli Stati generali, al cui interno acquista rilievo la figura del procuratore Jan van Oldenbarenvelt.
Filippo, intanto, invia truppe che riconquistano le Fiandre e il Brabante, mentre Guglielmo viene assassinato e la popolazione di Anversa fugge spopolando la città e fiaccando irrimediabilmente l’economia dell’intera area. Il comando dei ribelli viene assunto dal figlio di Guglielmo, Maurizio di Nassau, che si rivela uno dei più grandi strateghi del Cinquecento: studiando storia militare, matematica e astronomia riesce a debellare le forze spagnole recuperando fortezze e città: la speranza è nella bancarotta spagnola, travolta dalla fallimentare spedizione dell’Invincibile Armata; non fa i conti, tuttavia, con gli interessi dei Genovesi che, temendo la concorrenza di Amsterdam, ritengono conveniente e opportuno – ancora una volta – concedere nuovi prestiti al re di Spagna. Il 2 maggio 1598 il trattato di Vervins con la Francia stabilisce la cessione dei Paesi Bassi spagnoli a Isabella, figlia di Filippo, e a suo marito Alberto d’Austria mentre le Province Unite si avviano verso il “loro” secolo d’oro.
Il lungo conflitto ha, tuttavia, cambiato profondamente il Paese; la tassonomia economica suggerisce il declino di Anversa e il sorgere di Amsterdam, parallelo al modificarsi degli attori: le manifatture che cedono il passo, negli indicatori economici, alla flotta che – con il bojer – permette il dominio dei mari: alla fine del secolo le 60 mila tonnellate della flotta olandese sono maggiori della somma di quella anseatica, francese e inglese in un contesto che vede il primato dei commerci e delle finanze mentre Anversa – in un deperimento inarrestabile – si contrae a 40 mila abitanti: ricca – come scrive Guicciardini “non solamente di ogni cosa per il vitto ordinario ci si trova ma ci si trova ancora abbondanza grandissima per ogni estraordinario”, declina di fronte all’“abbondanza” delle Compagnie e all’affluire altrove di talenti e capitali.