PRIGNANO, Francesco, detto Butillo
PRIGNANO, Francesco, detto Butillo. – Nacque presumibilmente a Napoli da Giovannello − fratello di Bartolomeo, il futuro pontefice Urbano VI − intorno al 1355, poiché nel 1370 risulta avere quindici anni. Nulla si sa invece della madre.
In tale anno Prignano, orfano del padre, si trovava sotto la tutela della nonna paterna Margherita Brancaccio e dello zio Giacomo insieme con le sorelle minori Cicella e Margherita (o Beritella), poi andate in sposa rispettivamente a Giovanni Artus, conte di Monteodorisio, e a Matteo da Celano, signore di Isola (1383). La famiglia Prignano, napoletana ma ritenuta oriunda di Pisa, di modesta e recente nobiltà, venne ascritta al seggio napoletano di Nido; è incerto il legame con l’omonima stirpe che ebbe in suffeudo alcuni casali nel Salernitano.
La notorietà di Francesco Prignano (che non va confuso, come è talvolta accaduto, con lo zio né con il cardinale pisano Francesco Moricotti, anche lui nipote del papa) è legata esclusivamente alle vicissitudini del pontificato dello zio. Diversi episodi – tramandati però da fonti dichiaratamente antiurbaniste e quindi, forse, pregiudizialmente volte a evidenziarne i tratti negativi – sottolineano la cattiva fama di cui godeva presso i contemporanei.
La prima menzione di Prignano (1378) è legata al rifiuto del pontefice di approvare le nozze del marchese del Monferrato con Maria d’Aragona, erede del Regno di Trinacria, che forse intendeva dare in sposa al nipote. Francesco Prignano fu, infatti, lo strumento del papa per garantirsi il controllo del Regno di Napoli e Urbano VI giunse forse ad auspicare per lui l’ascesa al trono. Dopo lo scisma (1378), il papa assegnò al nipote i feudi confiscati ai ribelli Onorato Caetani conte di Fondi, Antonio della Ratta conte di Caserta, Giacomo Arcucci, Gurello Zurlo e ad altri baroni napoletani schieratisi con l’antipapa Clemente VII, pretendendo da re Carlo III di Durazzo – in cambio dell’appoggio per la conquista del Regno napoletano – il riconoscimento di tale dominio feudale per il nipote.
Nell’atto di investitura ricevuto dal papa (1° giugno 1381) il re si impegnò a confermare a Prignano il Principato di Capua, il Ducato di Amalfi, le contee di Tagliacozzo, Fondi, Caserta e Minervino, il dominio sulle città di Aversa, Gaeta, Castellammare di Stabia, Sorrento, Nocera, Somma e sulle isole di Capri e Ischia, oltre al possesso di una serie di altri beni burgensatici, già posseduti a Napoli da fedeli della regina Giovanna d’Angiò; contestualmente promise anche di concedergli a vita l’ufficio di gran camerario e un appannaggio di 5000 fiorini annui finché non gli avesse consegnato i feudi promessi.
Come giustamente evidenziato dalla storiografia recente, la richiesta nepotistica aveva in realtà l’obiettivo di assicurare al papa il controllo di Napoli – circondata dai feudi del nipote – e delle finanze del Regno, la cui gestione era affidata proprio al gran camerario. Il progetto fu completato dalla nomina papale di Prignano a rettore di Benevento, l’enclave pontificia nel Regno, di cui entrò in possesso dopo un accordo con Guglielmo Lagonessa, che occupava la rocca e la città (febbraio 1382).
Alla guida di un nutrito contingente papale Francesco Prignano seguì Carlo III nella conquista di Napoli, dove in veste di gran Camerario incoronò il nuovo sovrano (25 novembre 1381), che lo ammise tra i cavalieri dell’Ordine della nave. Il re, però, ritenendo che tale accumulo di potere sarebbe stato un pericolo per la Corona, si era già in precedenza rifiutato di concedergli i feudi promessi; ciò fu tra i principali motivi dei suoi dissidi con il papa.
Il 24 settembre 1381 Francesco Prignano aveva infatti chiesto esplicitamente al sovrano di immetterlo nel possesso del Principato di Capua: ma di esso mantenne a vita la sola titolarità, essendo stato brevissimo il suo dominio effettivo sulla città, da cui il re fu costretto ad allontanarlo per le ripetute proteste dei capuani. Successivamente i fiorentini proposero, senza successo, di concedergli in cambio il principato di Taranto.
Nonostante diverse rassicurazioni, Prignano non ottenne mai la gran parte dei feudi promessi e l’ulteriore accordo tra il re e il papa (dicembre 1381) gli consentì di avere, per il momento, solo il pagamento dell’appannaggio. È certo tuttavia che ricevette il possesso dei feudi pugliesi di Cerignola – poi venduta a Pietro, primogenito di Ruggero, conte di Celano (1382-83) –, di Minervino, di Altamura e del castello del Garagnone, nonché di alcuni beni burgensatici nei dintorni di Napoli; e grazie alle pressioni di Urbano VI, trasferitosi a Napoli dopo una breve prigionia ad Aversa, ottenne anche i castelli di Nocera e Scafati in Principato Citra (ottobre 1383) e cercò di acquisire con la forza anche il vicino feudo di Curtis in Plano, presso Pagani, che contendeva a Orsolina di Giulio, contessa di Satriano.
Il 1° gennaio 1384 il papa celebrò nel Duomo di Napoli le sue nozze con Giovanna Ruffo, congiunta del re e nipote del gran giustiziere Carluccio Ruffo. Essa premorì al marito e questi si risposò, forse poco prima della morte, con Orsina Orsini, figlia naturale di Francesco, il futuro prefetto di Roma, da cui non ebbe figli.
Alcuni mesi dopo (giugno 1384), il papa si ritirò insieme ai cardinali e ai suoi soldati nel castello di Nocera in polemica con il re, che aveva concesso la reggenza alla regina Margherita. Nel gennaio del 1385 Prignano fu incaricato dallo zio di arrestare gran parte dei cardinali che si trovavano nel castello, accusati di aver congiurato contro di lui, e fu anche il principale responsabile delle torture a cui essi furono sottoposti. I dissidi tra Urbano VI e il re portarono quest’ultimo a porre l’assedio al castello di Nocera. Prignano, lasciata Nocera la notte dell’11 marzo 1385 per rifugiarsi a Scafati con un centinaio di soldati, venne catturato il 24 marzo a causa del tradimento dei mercenari al suo servizio e il 27 dello stesso mese fu condotto a Napoli, dove, dopo aver subito un trattamento infamante (percorrere la città su un mulo privo di speroni e briglie in segno di dileggio), venne rinchiuso a Castel S. Elmo. In precedenza la regina Margherita aveva già fatto arrestare e detenere in Castel Nuovo sia Cizola, sorella del pontefice e monaca cistercense, sia Cicella, sorella di Prignano, e una serie di altri parenti e partigiani del papa.
Dopo la cattura del nipote il papa accettò di trattare con il re e quando fu costretto a fuggire da Nocera alla volta di Genova (luglio 1385) chiese al re la liberazione del nipote e degli altri parenti. Carlo III accettò di liberare la sorella e la nipote del papa, ma non Francesco che, nonostante alcuni tentativi da parte dei partigiani urbanisti, rimase prigioniero fino al 1387, quando la regina Margherita, per ottenere l’appoggio papale per il figlio Ladislao, lo fece liberare e lo inviò a Genova, dove si era stabilito il papa.
Scarse sono le notizie su di lui per il periodo successivo, fino alla morte del papa. Egli seguì lo zio a Lucca, a Perugia e poi a Roma dove, nel 1388, continuando a fregiarsi del titolo di principe di Capua, ottenne dallo zio il dominio sui castelli marchigiani di Corinaldo, Montenovo e Mondolfo, confiscati al ribelle Nicolò Spinelli, dei quali l’anno seguente affidò la difesa al conte Antonio da Montefeltro. Ma la morte di Urbano VI (15 ottobre 1389) compromise irrimediabilmente le fortune di Prignano. La regina Maria di Blois, tutrice del figlio Luigi II d’Angiò, lo privò di tutti i beni stabili e burgensatici posseduti nel Regno di Napoli (23 ottobre 1389), mentre il nuovo papa Bonifacio IX lo privò di tutti i suoi beni romani. Fuggito da Roma, forse dopo aver tentato di raggiungere i suoi feudi marchigiani, si trasferì in Puglia presso la corte di Raimondo Del Balzo Orsini, a cui vendette le signorie di Altamura e di Minervino in cambio di una somma di denaro immediatamente corrisposta, e di una pensione annua a vita (1390-91). Abbandonata la corte di Del Balzo Orsini, Prignano si imbarcò alla volta di Venezia, dove intendeva stabilirsi, insieme alla moglie, ai due figli – un maschio e una femmina –, alla madre e al suo seguito di diciotto persone, ma la nave naufragò, provocandone la morte insieme a tutti i suoi familiari e ponendo quindi fine alla sua discendenza diretta. Ciò accadde certamente prima del 5 aprile 1391, quando Prignano è detto già defunto nell’atto con cui re Ladislao di Durazzo concesse a Giovannello e Andrea Tomacelli, fratelli del papa Bonifacio IX, le terre di Nocera, Minervino e Altamura e il castello del Guaragnone.
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