previdenza
Forma assicurativa del lavoratore (e dei familiari a suo carico) dal rischio di perdita, temporanea o permanente, della capacità lavorativa, in conseguenza di eventi predeterminati naturali (vecchiaia, anzianità, malattia, maternità, morte) o connessi all’attività lavorativa (periodi di disoccupazione involontaria, infortuni, invalidità, malattie professionali). Essa è finalizzata a garantire la continuità del reddito (finalità previdenziale) e, più in generale, la libertà dal bisogno (finalità assistenziale): può avere carattere obbligatorio (p. obbligatoria), il cui esercizio è attribuito a un ente pubblico – atto a rendere meno rischiosa ed economicamente più conveniente la gestione dello strumento assicurativo – e il cui onere è imputato al datore di lavoro o al lavoratore autonomo, oppure può essere volontaria (p. integrativa o complementare), il cui esercizio è affidato a organismi autorizzati che forniscono servizi ai fondi pensione (➔ fondo pensione; anche pensione obbligatoria; pensione complementare). È con la riforma del 2007 e l’introduzione del meccanismo del silenzio-assenso per l’allocazione del proprio TFR (➔), che la p. complementare ha conosciuto in Italia un parziale sviluppo.
In Italia, la funzione previdenziale in materia di assicurazione sociale (➔ sicurezza sociale; protezione sociale) è affidata a due enti pubblici: l’INPS (➔), con il compito di gestire l’assicurazione per la vecchiaia, la malattia e la maternità, e l’INAIL (➔), che assicura i lavoratori sulle conseguenze negative di eventi, come gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali, dai quali possa conseguire l’inabilità permanente, temporanea o, nei casi più gravi, la morte.
Le prestazioni previdenziali sono finanziate con il prelievo contributivo (commisurato alla retribuzione) a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori, dipendenti o autonomi, pubblici o privati. I contributi sono versati periodicamente ai rispettivi enti previdenziali ai quali l’iscrizione è obbligatoria. Per l’insufficienza del gettito contributivo rispetto alle prestazioni, esiste una componente, valutabile intorno ai 3 punti di prodotto interno, a carico dello Stato e quindi della fiscalità generale. Tale gettito, ottenuto ogni anno, può essere destinato al finanziamento delle prestazioni erogate in quello stesso anno (metodo della ripartizione, ➔ ripartizione, sistema pensionistico a); in questo caso, vige un accordo sociale tra le generazioni, in base al quale i prelievi sulle retribuzioni degli occupati alimentano le gestioni previdenziali a copertura delle pensioni di chi nello stesso periodo non lavora più per motivi di età o anzianità contributiva. Oppure esso può essere investito nel mercato dei capitali e i proventi di tale operazione costituiscono il montante con cui è finanziata la pensione del lavoratore stesso (metodo della capitalizzazione, ➔ capitalizzazione, sistema pensionistico a); in questo caso, per ciascun lavoratore, i contributi attuali, capitalizzati, pagano la pensione futura. Con il metodo retributivo, l’importo della pensione è legato al livello del salario percepito dal lavoratore, quindi la pensione può essere calcolata in base all’ultimo salario o alla media dei salari relativa ad alcuni anni o in base a quella dei salari dell’intera vita lavorativa. Con il metodo contributivo, l’importo della pensione è legato all’ammontare dei contributi versati, quindi la pensione viene determinata in funzione del rendimento di tutti i contributi previdenziali accantonati dal lavoratore. Il rendimento applicato all’ammontare dei contributi è definito a priori dalla legge nella ripartizione. La riforma della p., attuata con il d.l. 201/2011, varato dal governo Monti, ha introdotto dal 1° gennaio 2012, secondo il meccanismo pro rata, il metodo contributivo di calcolo delle pensioni, la convergenza del trattamento previsto per uomini e donne, la flessibilità nell’età di pensionamento.