PREVIDENZA e SICUREZZA SOCIALE (XXVIII, p. 228; App. I, p. 952)
SOCIALE Nell'ultimo decennio, e specialmente durante e dopo la seconda Guerra mondiale, il fondamento della previdenza sociale si è andato evolvendo e spostando verso quel principio che si enuncia col termine: sicurezza sociale (social security, sécurité sociale). Tale indirizzo intende garantire, secondo la formula di Roosevelt, la libertà di tutti i cittadini dal bisogno (freedom from want); secondo la concezione tedesca, invece, esso mira a fornire determinate prestazioni a tutti i membri della Volksgemeinschaft in quanto tali; analoga a tale ultima concezione è quella sovietica; la costituzione dell'URSS infatti (art. 120) riconosce a tutti i cittadini il diritto alla sicurezza materiale, tanto per la tutela della vecchiaia, quanto per la protezione in tutti i casi di malattia o, comunque, di perdita della capacità lavorativa. Questa concezione amplia grandemente il campo di applicazione della previdenza sociale, che non si limita più soltanto alle categorie dei lavoratori, ma si estende, almeno potenzialmente, a tutti i cittadini.
Dal suindicato principio fondamentale discende la necessità di formulare piani organici, i cosiddetti piani per la sicurezza sociale, il cui più importante esempio è rappresentato dal piano Beveridge in Gran Bretagna. In tali piani vengono contemplate non soltanto le ordinarie e ormai tradizionali forme di assicurazione sociale, ma anche altre modalità di assistenza, come un servizio sanitario per tutta la popolazione, una speciale assistenza all'infanzia, realizzata con una serie di attività scolastiche e parascolastiche, l'istituzione degli assegni familiari, ecc. La realizzazione di tali piani è fatta in modo più o meno organico secondo le legislazioni dei varî paesi; per es. in Gran Bretagna il piano Beveridge è stato tradotto in una serie di leggi coordinate fra loro, la cui esecuzione è posta sotto la vigilanza di uno speciale ministero, quello dell'Assicurazione nazionale; in Francia, due leggi fondamentali (5 e 20 ottobre 1945) hanno riorganizzato tutte le forme preesistenti di previdenza sociale, in base al nuovo principio della sécurité sociale; in Argentina, fra i varî progetti di legge contemplati dal Plan de Gobierno 1947-51, è compreso anche uno che prevede un organico sistema di assicurazioni sociali che dovrebbe essere esteso a tutta la popolazione della repubblica.
Il principio della sicurezza sociale non si limita però all'estensione del campo di applicazione delle varie forme di assicurazione e di assistenza sociale e alla loro organizzazione secondo il sistema di appositi piani; esso tende anche a modificare, e profondamente, il tradizionale concetto della previdenza sociale; questa non deve considerarsi soltanto come la predisposizione di sistemi di prestazioni assistenziali e assicurative a favore di determinate classi sociali, ma deve ritenersi come una conseguenza logica e concreta del concetto che la migliore organizzazione della società, basata sul principio astratto del diritto al lavoro - che ormai è accolto nelle più moderne costituzioni - deve tradursi in pratica nella garanzia concreta di un lavoro effettivamente assicurato a tutti i cittadini, poiché soltanto con l'occupazione integrale di tutto il potenziale di lavoro disponibile in un paese può raggiungersi l'optimum produttivo (v. lavoro, potenziale di e occupazione piena, in questa App.); quindi la disoccupazione è considerata non solo come un fenomeno patologico sociale, ma come un danno economico che può e deve essere ridotto al minimo in una società bene organizzata. Dalla garanzia del lavoro a tutti i cittadini discende quella della copertura integrale contro tutti i rischi che possano comunque interrompere o far cessare la continuità del lavoro stesso. Naturalmente questa teoria- che può trovare una più o meno completa applicazione pratica in quegli stati nei quali l'abbondanza e il numero delle materie prime fondamentali esistenti nell'interno della nazione o nel suo hinterland economico lo permettono agevolmente - diventa di molto più difficile applicazione là dove alla carenza o alla insufficienza di materie prime si aggiunge una forza di lavoro esuberante ai bisogni interni. E infatti le più recenti estrinsecazioni di questo principio tendono a studiarne la possibilità di applicazione - almeno teorica - non solo nel campo nazionale, ma anche e, soprattutto, in quello internazionale.
Le modalità di attuazione dei varî sistemi di sicurezza sociale presentano notevoli differenze secondo i diversi tipi di legislazione; esse riguardano soprattutto le prestazioni. Una differenziazione nelle prestazioni pecuniarie è mantenuta nella maggioranza dei sistemi (legislazioni sovietica, americana, francese), che le graduano in relazione agli anni di attività lavorativa, ai contributi versati e anche al genere di lavoro prestato. In altri paesi invece (legislazioni neozelandese e inglese) si ha una forma unica di prestazioni pecuniarie, che viene attribuita a tutti i beneficiarî, qualunque sia l'attività da loro svolta in precedenza e qualunque sia la durata dell'attività stessa; si ha cioè una completa automaticità del sistema, imperniato sul concetto di porre tutti i cittadini al riparo dal bisogno mediante una eguaglianza di prestazioni, differenziate soltanto in base alle condizioni demografiche degli assicurati (celibi, coniugati, con figli a carico). L'unica eccezione è rappresentata dalle prestazioni pecuniarie derivanti da infortunio sul lavoro. Un'altra differenza fondamentale è data dal modo di fissazione e di ripartizione delle spese per la sicurezza sociale fra i datori di lavoro, i lavoratori e la generalità dei cittadini, cioè lo stato. Qui due diversi sistemi principali esistono: cioè quello nel quale è lo stato che, attraverso speciali imposte, finanzia il sistema della sicurezza sociale (sistemi sovietico e neozelandese), oppure quello in cui il fabbisogno finanziario è coperto da speciali contributi, imposti, in varia misura, ai datori di lavoro ed ai lavoratori, con eventuali integrazioni statali. La ripartizione dei contributi è generalmente paritetica, salvo per talune forme di previdenza e assistenza sociale, come l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali e gli assegni familiari, il contributo dei quali è a carico esclusivo dei datori di lavoro. Si hanno però eccezioni, come quella rappresentata dalla legislazione inglese derivante dal piano Beveridge; in essa i contributi, ivi compresi quelli per l'assicurazione contro gli infortuni, gravano in misura non paritetica (poiché in qualche caso la quota a carico del lavoratore è maggiore di quella gravante sul datore di lavoro) sugl'imprenditori, i lavoratori e lo stato. Il problema della partecipazione o meno dei lavoratori all'onere economico delle assicurazioni sociali è uno dei più discussi; si sostiene infatti - specialmente da parte di rappresentanti dei lavoratori - che l'onere della previdenza sociale debba considerarsi come una parte di salario, differita nel tempo e costituente il cosiddetto salario previdenziale, che deve essere quindi a carico del datore di lavoro. Questo sistema è attualmente applicato nella legislazione italiana (decr. legisl. 2 aprile 1946, n. 142).
Uno degli ostacoli fondamentali contro il quale urtano i varî sistemi di sicurezza sociale è dato dal costo che l'estensione della sfera di applicazione delle varie forme di previdenza e di assistenza implica per la collettività nazionale. Il Beveridge ha calcolato che l'onere della sicurezza sociale non dovrebbe superare il 10% del reddito nazionale.
Il problema della riforma della previdenza e dell'assistenza sociale in Italia è stato affrontato, prima ancora della completa liberazione del paese, dal governo il quale nominò (r. decr. 15 marzo 1944, n. 120) un'apposita commissione (riorganizzata con decr. capo provv. dello stato 22 aprile 1947, n. 377), che ha presentato (marzo 1948) una lunga serie di mozioni (88) e una relazione, ampio canovaccio su cui poter, gradualmente, procedere a un'organica riforma. L'estensione delle previdenze sociali anche alle categorie di lavoratori autonomi e a quelle dei piccoli imprenditori, la completa automaticità delle prestazioni, l'estensione dell'assicurazione contro la disoccupazione a tutte le categorie di lavoratori, la semplificazione dei meccanismi e le riforme di struttura che tendano all'unificazione di tutte le forme assicurative in un unico ente, l'adeguamento delle prestazioni all'effettivo guadagno perduto, l'abolizione di qualsiasi massimale contributivo e di prestazioni: queste sono le maggiori caratteristiche delle riforme che si preconizzano. La più grave deficienza di tale indirizzo di massima è data dalla mancanza di qualsiasi calcolo che dimostri quale sia la ripercussione pratica delle auspicate riforme, che rimangono quindi in uno stadio teorico; nel piano Beveridge, invece, si calcolano esattamente i costi di ogni riforma e le conseguenze economiche a carico dei contribuenti. Uno studio statistico attuariale sul costo della riforma della previdenza sociale in Italia, secondo le proposte della Commissione governativa, lo ha calcolato in circa 1200 miliardi di lire all'inizio (supponendo che questo avvenga nel 1950), che salirebbem a circa 1800 miliardi entro il 1970. Sull'esattezza però di tali cifre e sulla loro rispondenza alle proposte della Commissione è sorta una vivace polemica.
Le spese della previdenza sociale in Italia (1947, cifre provvisorie) assommano a oltre 182 miliardi di lire, così ripartite per grandi branche di settori assicurativi: l'assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti e i fondi speciali di previdenza superano 34 miliardi; quella generica contro le malattie e quella specifica contro la tubercolosi raggiungono 36 miliardi e 600 milioni; quella contro gli infortuni e le malattie professionali si aggira sui 14 miliardi; gli assegni familiari superano i 62 miliardi; l'assicurazione contro la disoccupazione e le gestioni similari (Cassa integrazione operai industria e Cassa trattamento impiegati privati richiamati) superano i 27 miliardi; a tali cifre occorre aggiungere, per arrivare al totale suddetto, le spese generali di amministrazione dell'Istituto della previdenza sociale, che ammontano a oltre 8 miliardi e mezzo (v. anche assicurazione: Assicurazioni sociali; sociale, legislazione, in questa App.).
Bibl.: W. Beveridge, Social insurance and allied services, Londra 1942; Social Security Board, Compilation of the social security laws, Washington 1944; F. Vito, I piani per la sicurezza sociale, in Riv. internaz. di scienze sociali, ottobre 1945; E. Cabibbo, La riforma della previdenza sociale, Firenze 1946; A. Anselmi, La riforma della previdenza sociale in Italia, in Rassegna di scienze sociali, gennaio-febbraio 1947; G. Mazzetti, G. Orsini, M. Pizzicannella, Manuale della prev. sociale, Roma 1948; Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Relazione sui lavori della Commissione per la riforma della previdenza sociale, ivi 1948; M. A. Coppini, F. Emanuelli, G. Petrilli, Il costo della riforma della previdenza sociale, in Riv. d. infortuni e d. mal. profess., maggio-agosto 1948.