PRETORIANI
Costituirono la guardia ufficiale degl'imperatori romani, e insieme la più nobile e più privilegiata milizia di Roma imperiale, resasi arbitra più volte delle sorti del trono stesso. Fu istituita da Augusto, divenuto Imperator permanente e dopo la fissazione in Roma del praetorium, a somiglianza del corpo d'uomini scelti come guardia d'onore dai generali negli ultimi tempi repubblicani, a cominciare forse da Scipione Emiliano.
Col titolo ufficiale di cohortes praetoriae, la guardia pretoriana si compose dapprima di nove coorti e fu reclutata tra volontarî, purché cittadini romani di vecchia data (Etruria ferme Umbriaque delectae aut vetere Latio et coloniis antiquitus romanis: Tacito, Ann., IV, 5); sotto Claudio vi vennero ammessi anche i Transpadani. Fermo nella sua saggia politica, Augusto ne stanziò in Roma soltanto tre coorti senza concentrarle; ma sotto Tiberio, nel 23-24 d. C., per consiglio di Seiano, le nove coorti furono riunite in un unico grande accampamento (Castra Praetoria), espressamente costruito alla periferia della città per ragioni disciplinari (procul Urbis inlecebris).
Il numero delle coorti fissato da Augusto variò con i tempi; Caligola o Claudio lo elevarono a dodici, Vitellio nel suo effimero regno a sedici, Vespasiano le riportò al numero originario, finché salirono a quello di dieci, non si sa per opera di quale imperatore. Quest'ultimo numero, attestatoci con sicurezza dai tempi di Traiano, rimase invariato poi fino all'abolizione del corpo operata da Costantino.
Come variò il numero, così mutò anche il reclutamento dei militi: e tanto, che comunemente si suole distinguere due periodi, essenzialmente diversi. Il primo va dalla fondazione alla fine del sec. II, e in esso, reclutati fra volontarî vecchi cittadini romani, i pretoriani rappresentarono l'elemento militare romano-italico per eccellenza, di contro al provincialismo delle legioni. Il secondo periodo ha inizio con le gravi riforme di Settimio Severo, nel 193-194, e dura per tutto il secolo III: i provinciali, soprattiltto illirico-orientali e asiatici, riempirono la grande caserma tiberiana.
L'imperatore leptitano, disciolti i pretoriani uccisori di Pertinace e venditori del trono, ricompose le coorti non più con volontarî ma con soldati scelti da tutte le legioni, dove ormai gl'Italici dal tempo dei Flavî più non militavano. In realtà, Settimio Severo non fece altro che generalizzare, elevandolo a sistema, un provvedimento eccezionale del passato, cioè l'introduzione nei ranghi della guardia di provinciali, per translatio dalle legioni dietro speciale concessione imperiale. Come primi esempî si citano quelli di alcuni Macedoni entrati sotto Caligola; l'esame poi delle molte iscrizioni relative ai pretoriani dimostra che sotto molti imperatori, e specie sotto Adriano, la percentuale dei provinciali così traslati è assai forte. Le provincie che, nel primo dei periodi anzidetti, più fornirono militi furono le Pannonie, il Norico, la Macedonia. Ma, dopo le riforme severiane, mentre le provincie occidentali, più romanizzate, mancano del tutto o scarsamente figurano, tutte le altre sono invece ben rappresentate: primeggiano le danubiane (Norico, Pannonie, Mesia, Yracia, Dacia), cui seguono le asiatiche tutte e poi le africane. Gl'Italici non mancano assolutamente, ma il loro numero è esiguo al confronto. Sicché il mutamento della guardia dovette sembrare realmente essenziale, tanto da non farci sembrare esagerato Dione Cassio (LXXXIV, 2, 4) quando afferma quasi sdegnato che la Roma del sec. III era divenuta piena di soldati rozzi, intrattabili, incomprensibili: di barbari quasi. È il provincialismo che trionfava, come nella storia generale dell'Impero.
Tutta la guardia pretoriana (cui vanno aggiunte le cohortes urbanae insieme accasermate e che la seguono nel rango di maggiore dignità) era posta sotto gli ordini diretti dei prefetti al pretorio. La forza delle coorti era di 1000 uomini prima di Settimio Severo, di 1500 dopo; composte di fanti e di cavalieri, erano dunque cohortes milliariae equitatae. Ogni coorte, comandata da un tribuno, si divideva in sei centurie; ufficiali e sottufficiali o principales erano i medesimi ricorrenti nella truppa legionaria. I cavalieri erano incorporati nelle centurie sotto il comando di un optio speciale, e in tutto sommavano a mille; una speciale importanza assumevano trecento principales scelti, comandati da un centurione di rango più elevato degli altri, detti speculatores e più intimamente legati alla persona imperiale.
Il soldo dei pretoriani era maggiore di quello dato ai legionarî: fissato da Augusto in 500 e poi 750 denari a testa, fu sempre in seguito aumentato fino a raggiungere il massimo di 2500 con Caracalla. Al soldo si aggiungevano continui e cospicui donativi ed elargizioni dell'imperatore. La durata del servizio era minore che nelle legioni, poiché di regola i pretoriani ricevevano l'honesta missio (v.) dopo 16 anni di servizio; il congedo veniva fatto regolarmente ogni due anni, e durante il sec. III in un determinato giorno, cioè il 7 gennaio, anniversario della creazione dell'Impero. A questi due massimi privilegi, l'alto soldo e la minor durata di servizio, va aggiunto lo straordinario favoreggiamento nelle promozioni; tanto che dalla "caliga" pretoriana si poteva ascendere facilmente al centurionato legionario più elevato e perfino alle alte cariche della carriera dei procuratores.
L' ufficio proprio dei pretoriani era di vigilare per la sicurezza della persona imperiale, capo dello stato, nel palazzo imperiale (dove una coorte intera faceva servizio stabile, vestita di toga), nelle cerimonie ufficiali, nei viaggi ufficiali e nelle gite varie degli imperatori, nelle spedizioni guerresche. A militi scelti, inoltre, gli imperatori furono soliti affidare incarichi o missioni speciali, sia a scopo politico, sia privato. Infine, sotto Adriano, grande riorganizzatore di cose militari, il prestigio morale dei pretoriani toccò il massimo grado, ché essi vennero usati come ufficiali istruttori delle truppe legionarie nelle provincie.
Di questa milizia così privilegiata numerose e utilissime sono le memorie ancora tangibili, quali gli avanzi del grande accampamento romano sul Viminale, riproduzione stabilmente perfetta di un campo militare romano; quali le moltissime iscrizioni, liste di congedati o no, epigrafi votive o commemorative, ritrovate dove fu il grande campo di esercitazioni annesso e contiguo alla caserma tiberiana, cui ben si aggiungono le molte epigrafi funerarie romane e i diplomi di congedo. Cospicuo materiale, tutto questo, che contribuisce efficacemente alla conoscenza della organizzazione, della religiosità, della storia della milizia. Qualche monumento figurato ci mostra anche il vestimento dei militi pretoriani: nella ben nota base con scena di decursio al Vaticano essi portano il sagum con sopra la corazza segmentata, scudo ovale con l'insegna del fulmine, casco con cimiero, e sono armati di pilum. Gli speculatores, uno dei quali fu riconosciuto da A. von Domaszewski tra i rilievi della colonna Antonina, erano invece armati di lancia. Sulle insegne la guardia portava infissa l'imagine stessa dell'imperatore.
Nella movimentata storia dell'Impero, grande e talvolta drammatica fu la parte presa da questa privilegiata milizia, la quale fece presto il suo debutto con l'uccisione di Caligola. E Claudio, proclamato dalle infedeli guardie, elargì a ciascuna d'esse la somma di 15.000 sesterzî. Nella cruenta lotta fra Vitellio e i Flavî la grande caserma tiberiana fu uno dei baluardi più decisivi. Infrenati da un imperatore soldato come Vespasiano, i pretoriani nel 96 d. C. furono complici dell'uccisione di Domiziano; poi, dopo un periodo di vita disciplinata da Traiano a Marco Aurelio, giunsero nel 192-193 al massimo grado del loro furore dispotico e libertario, con l'uccisione del valoroso Pertinace, da loro stessi proclamato, e con la vendita all'incanto del trono imperiale, irriverente sfida all'onore del nome di Roma. Settimio Severo, vittorioso, intimò ai tracotanti primi soldati dell'Urbe che gli muovessero incontro disarmati; li fece poi circondare dai suoi legionarî e li umiliò; allontanatili da Roma, infine, ne sciolse il corpo per ricostituirlo sulla base del diverso reclutamento sopraddetto. Ma, i mutati pretoriani del sec. III non sempre furono calmi; il più grave incidente si ebbe nel 238, mentre Pupieno Massimo era in guerra contro Massimino, e Balbino non riuscì a contenere la turbolenta guardia, rimasta a Roma, fino a che il popolo stesso non insorse assediando i soldati nel loro accampamento. L'aspra contesa finì per concludersi col sangue di Massimo e Balbino, e con la proclamazione del giovanissimo Gordiano, che fu grandemente amato dalla truppa che l'innalzò. L'avvicendata e tumultuosa storia dei pretoriani si chiuse eroicamente con la fedeltà da loro serbata a Massenzio. Costantino il Grande, entrato in Roma dopo la vittoria di Ponte Milvio, li disciolse definitivamente, smantellando il grande accampamento del Viminale, i cui muri erano stati per tre lati incorporati da Aureliano nella cinta difensiva dell'Urbe.
Bibl.: J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung, II, 2ª ed., Lipsia 1884, p. 475 segg.; O. Bohn, Über die Heimat d. Praetor., Berlino 1883; R. Cagnat, Praetoriae cohortes, in Daremberg-Saglio, Diction. d. antiq. gr. et rom., IV, pp. 632-639; A. von Domaszewski, Die Rangordnung d. röm. Heeres, Bonn 1908, passim; id., Die Religion des röm. Heeres, Treviri 1895, pp. 4, 47; id., Die Fahnen im röm. Heere, Vienna 1885, pp. 56, 78; U. Antonielli, Il culto di Mitra nelle coorti pretorie, in Boll. Commiss. arch. comun., 1912, p. 243 segg.