PRETI OPERAI (fr. prêtres ouvriers)
Denominazione dei sacerdoti cattolici datisi in Francia, dopo la seconda guerra mondiale, all'apostolato cattolico tra gli operai attraverso un totale impegno nella condizione operaia, lavorando nei complessi industriali e accettandone tutte le condizioni di vita.
Origini. - Per comprendere lo sfondo storico presupposto al movimento dei p.-o., occorre riflettere al fatto che l'anticlericalismo aggressivo dell'ultimo quarto del sec. 19° e dell'inizio del 20° è finito in Francia durante la prima guerra mondiale: è stato vinto dai preti-soldati. Più dai preti combattenti che dagli infermieri, più da questi che dai cappellani ufficiali, che, avendo rango e distintivi di ufficiali, vivevano alla mensa. L'essersi impantanati nello stesso fango, l'aver vissuto la stessa vita, l'aver conosciuto le stesse noie, gli stessi pericoli, le stesse paure, hanno rivelato i preti al popolo e il popolo ai preti, con i loro difetti e le loro qualità. Ritornando ai loro seminarî o alle loro parrocchie, i preti avevano scoperto un mondo ignorato, imbruttito o abbellito a seconda dei casi.
Nel 1943 i pp. H. Godin e Y. Daniel consegnavano al cardinale E. Suhard, arcivescovo di Parigi, un "rapporto sulla conquista cristiana degli ambienti proletarî", destinato a un grandissimo successo editoriale sotto il titolo: France, pays de mission? Cappellani della Jeunesse Ouvrière Catholique (JOC), i due autori riconoscevano l'insuccesso della JOC. Il movimento aveva conosciuto un'ascesa brillante. Celebrando a Parigi nel 1937 il suo decimo anniversario, aveva impressionato l'opinione pubblica per il contegno, lo slancio, il fervore delle masse mobilitate. In quei dieci anni il loro settimanale aveva conosciuto una rara diffusione. Ma nel 1942, il XVII arrondisaement di Parigi contava solo quattro sezioni della JOC e meno di cento aderenti, di cui trenta militanti, mentre l'arrondissement contava trentamila giovani lavoratori e 230.000 cosiddetti "pagani". Successivamente, inchieste più tecniche daranno informazioni più precise ma non infirmeranno le conclusioni di Godin e Daniel. La parrocchia, con la sua struttura attuale, con i suoi quadri e la sua vita, non appariva adatta ad assimilare l'ambiente proletario. Passando da questo, che è ad un tempo il suo ambiente di lavoro e il suo ambiente di vita, alle strutture parrocchiali, l'operaio - essi affermavano - esce da una civiltà per entrare in un'altra. Gli autori proponevano allora di conquistare il mondo proletario con metodi missionarî: si trattava di presentare agli operai una religione "pura", liberata degli apporti umani che rappresentano un'altra civiltà; si sarebbe trattato di una missione "totalmente indigena", in modo che l'operaio non dovesse farsi borghese per diventare cristiano. Pertanto suggerivano per questi neofiti l'istituzione di un catecumenato affidato a catecumeni laici, preparati, sotto la direzione di un clero missionario, organizzato in comunità, definitivamente "compromesso".
Dall'inverno 1941-42 il padre M.-R. Loew, domenicano, lavorava con gli scaricatori di Marsiglia per uno studio sociologico e immediatamente aveva scoperto la loro esistenza concreta: lavoro duro, talvolta pericoloso, sempre incerto; le navi non devono aspettare, per questo i docks hanno sempre personale in soprannumero. Tuttavia l'inferno, per gli scaricatori, non era il loro posto di lavoro, ma la loro catapecchia, con la sua promiscuità nella miseria e nella sporcizia. Si trattava allora non solo di lavorare con loro, ma di stabilirsi fra loro, come aveva fatto p. de Foucauld tra i Tuareg, per familiarizzarsi con loro. Evidentemente il padre Loew dopo il lavoro doveva rimettersi il suo abito di domenicano, e mostrarsi prete. Poté così a poco a poco costituire alcune piccole comunità cristiane, in margine alla parrocchia, alla quale bisognava tuttavia adattarsi.
Quasi fin dall'inizio dell'occupazione, le autorità tedesche avevano reclutato giovani per il lavoro in Germania, sia volontarî sia per "servizio obbligatorio del lavoro" (S. T. O.). Essendo stato negato l'invio di cappellani regolari, si dovette costituire un servizio clandestino di assistenza religiosa. Venticinque preti furono mandati sotto l'autorità del p. G. Rodhain, e un'altra decina li raggiunse poi. La maggior parte furono scoperti e inviati in campi di concentramento. Ma il libro del p. H. Perrin, Journal d'un prêtre ouvrier en Allemagne, e le lettere del p. V. Dillard, morto a Dachau, informavano sulla loro esperienza: la scoperta del lavoro proletario, le sue sofferenze e le sue fierezze, e soprattutto la fraternità quotidiana tra operai aggiogati agli stessi compiti. Era nata la fiducia: "i compagni sentono che noi ci crediamo" scriveva il p. Perrin "ed ecco ciò che dovremmo fare in Francia". "Ma ciò è stato possibile" aggiungeva il p. Dillard "solo perché abbiamo assunto riflessi comuni, una mentalità comune nella vita operaia e nel lavoro quotidiano".
Godin e Daniel, il p. Loew, i cappellani clandestini del S. T. O. offrivano così alcune indicazioni generali in vista di una possibile "missione del lavoro".
Nel settembre 1942 il padre Augros apriva a Lisieux il "Séminaire de la Mission de France", dopo una diligente inchiesta dei vescovi. Il Seminario non si proponeva allora di preparare preti-operai, ma di dare una conveniente formazione, più concreta, più diretta, con periodi di tirocinio in fabbrica, allo scopo di preparare i futuri membri della "missione operaia". E invero, nel 1953, quando il Seminario (trasferito a Limoges) verrà chiuso, la Missione conterà 350 preti, divisi in gruppi, la maggior parte nelle regioni più scristianizzate del mondo rurale.
Il 1° luglio 1943 il p. H. Godin fondava da parte sua la "missione di Parigi", con la benedizione del cardinal E. Suhard, in conformità ai disegni esposti nel suo rapporto. Nell'ottobre seguente veniva costituita la comunità missionaria sotto la direzione del p. Hollande. Nell'aprile 1952, la Missione di Parigi conterà venticinque preti, dei quali diciotto operai cioè, aggiungendo i religiosi incaricati dai loro superiori, una trentina di preti-operai nella regione parigina. Nell'ottobre 1953 una dozzina di diocesi avevano i loro gruppi di preti-operai.
La vita del movimento. - Alla fine del 1943 si aveva dunque: il Seminario della Missione di Francia sotto la direzione del p. Augros e, sotto quella del canonico Hollande, la Missione di Parigi. Inoltre esistevano, sotto l'autorità del p. R. Voillaume, "fraternità del Cuore di Gesù" che intendevano costituire comunità di testimonianza in ambienti non cristiani: preghiera e contemplazione, povertà, assimilazione spinta quanto più possibile a fondo con l'ambiente in cui si stabilivano. Comportavano insieme preti e fratelli: il lavoro non era escluso. La prima era stata costituita nel 1933. Agli inizî del 1954 si conteranno ventisette comunità, con duecento "petits frères", dispersi in Francia, in Africa del Nord, nell'Africa nera, in America latina, con una guardia al Santo Sacramento a Tamanrasset, presso la tomba del p. de Foucauld. Si aggiungano i "frères missionnaires des campagnes" fondati nel 1943 dal p. Épagneul per l'evangelizzazione degli ambienti rurali scristianizzati: nel 1955 erano un centinaio.
Consideriamo in particolare la Missione di Parigi, la più tipica e quella che ha posto i problemi più difficili. Il Godin non aveva previsto i preti-operai, ma l'assimilazione all'ambiente proletario. Ben presto un prete chiese, appunto in vista di questa assimiliazione, di lavorare in fabbrica "per sborghesirsi" e il suo esempio si diffuse. Si trattava ancora di "testimoniare", ma già, insieme, di spogliarsi di sé, di abbandonare gli schemi dell'educazione borghese e clericale, di farsi un'anima proletaria per "essere naturalizzati come membri di questo nuovo mondo". Da preti-operai si diventava a poco a poco operai-preti. Il cardinal E. Suhard sottolineava, ancora nel 1946, la necessità del breviario, della preghiera, della vita interiore, della "costante obbedienza alla gerarchia". Tutto ciò sarebbe ora stato messo alla prova. Intanto i gruppi si propagavano: a Lione, Saint-Étienne, Limoges, Monceau-les-Mines, Bordeaux, Tolosa, ecc.
Il canonico Hollande fa quanto può per assicurare la selezione, almeno di quelli che dipenderanno da lui; elimina "sistematicamente quelli che si fanno avanti per il piacere della novità, gli instabili e gli arruffoni". Ma ci sono anche i clandestini, coloro che sono arrivati a Parigi con regolare "celebret", si sono più o meno imposti e vedono nella Missione un'evasione dai ministeri abitudinarî, una maniera per sottrarsi a un vescovo con cui non vanno d'accordo. Quando scoppierà la crisi ci saranno "alcuni santi, alcuni ingenui, parecchi eccitati" (A. Dansette, Destin du catholicisme Français).
Gli avvenimenti si susseguono rapidamente. Non si è del tutto operai se non si aderisce al sindacato. Per la gran maggioranza sarà la C. G. T. (Confederazione Generale del Lavoro, sotto influenza comunista), "la sola organizzazione che difende gli interessi dei lavoratori in piena indipendenza dal padronato e dal governo", dichiara uno di loro nell'ottobre 1946. All'interno di queste organizzazioni si moltiplicano i contatti, cercati da entrambe le parti, non soltanto con i dirigenti sindacali ma anche con i militanti del partito comunista. Questo, in conformità alla sua politica della mano tesa, non rifugge dal conferire responsabilità ai preti-operai più dinamici: essi saranno così segretarî di sindacato o di federazione, delegati del personale, guideranno scioperi. Questa volta, il mutamento è compiuto: il prete-operaio è diventato militante sindacale. All'ideale soprannaturale della redenzione attraverso il Cristo si è sostituito un ideale profano di liberazione del proletariato; la comunità proletaria ha preso il posto della Chiesa vivente nelle aspirazioni verso il Corpo mistico del Cristo. Non si deve tuttavia generalizzare: gli atteggiamenti assunti al momento della crisi finale mostreranno che non tutti i preti-operai si sono spinti fino a questa posizione, e che quelli che hanno fatto proprio il nuovo ideale vi hanno aderito in vario grado.
Ma presto si moltiplicano gli incidenti che preoccuperanno l'autorità. Nel febbraio 1951 il p. P. Barrau diventa segretario della "Fédération des travailleurs des métaux de la Seine" (C. G. T.), la più dura e la più rossa. Il suo incarico lo assorbe completamente. Non è più un operaio, ma un militante sindacalista. Poco tempo dopo, una lettera di mons. Alfredo Ottaviani a mons. A. Ancel, comunicata ai preti-operai dal card. M. Feltin, insiste sul tempo che deve essere consacrato alla preghiera, sulle virtù sacerdotali che non devono essere perdute, sull'apostolato ordinario nelle parrocchie operaie. Dal luglio 1959 mons. Ancel, che non era certamente un avversario, aveva avvertito: "Colui che collabora abitualmente con i comunisti finisce progressivamente col pensare da marxista e si orienta, senza volerlo, senza nemmeno averne coscienza, verso il materialismo ateo". È ciò che sta accadendo; ma già non si parla più la stessa lingua.
I preti-operai si trovano ora impegnati nella lotta politica: per la pace, contro la bomba atomica, contro l'esercito americano in Europa. Il p. G. Boulier, il 28 nov. 1948, pronuncia il discorso di chiusura del "raduno dei partigiani della pace" a Parigi. Nel 1949 e nel 1950 i preti-operai diffonderanno i manifesti di Stoccolma (partigiani della pace); poi un opuscolo: Cristiani contro la bomba atomica; nel 1951 essi aderiscono e si muovono per "l'appello per il patto di pace". Nel 1952 vengono organizzate a Parigi manifestazioni comuniste contro l'arrivo del generale nordamericano M. B. Ridgway; i pp. Bouyer e Cagne sono arrestati, abbondantemente bastonati dalla polizia: il card. Feltin interviene contro queste brutalità, la stampa s'impadronisce della cosa. Il pubblico si chiede che cosa ci stavano a fare là quei due preti, anche se non prendevano parte alla manifestazione. È allora che il libro di G. Cesbron, Les saints vont en enfer, che ha molto romanzato la realtà, crea la leggenda dei preti-operai.
È in questo tempo che alcuni preti, sindacalisti della C. G. T., accusano violentemente la centrale cristiana (CFTC). Gaston Tessier li cita davanti all'Ufficialità di Parigi. Durante gli scioperi dell'agosto 1953, a Limoges, i preti-operai denunciano "i responsabili della CFTC, i quali, ordinando di riprendere il lavoro, hanno tradito gli interessi immediati della classe operaia".
La crisi. - Già l'autorità ecclesiastica si preoccupava. Nel nov. 1951 l'Assemblea dei cardinali e arcivescovi aveva chiesto a mons. Ancel un progetto di regolamento per i preti-operai. Il progetto fu giudicato dagli interessati più adatto a un ordine religioso che alla loro situazione. Il 20 giugno 1951 il Sant'Ufficio proibiva l'ammissione di nuovi preti-operai, esigeva il richiamo di quelli che si erano introdotti surrettiziamente e chiedeva un regolamento che assicurasse la vita religiosa e disciplinare. L'11 marzo 1952 l'Assemblea dei cardinali e arcivescovi elaborava istruzioni, valide per tutti i preti-operai, previa consultazione con i loro delegati. Il 16 nov. 1953 Le Monde pubblicava una lettera del card. Giuseppe Pizzardo che proibiva ai seminaristi i tirocinî in fabbrica e il 6 settembre si veniva a sapere che, in attesa di nuove istruzioni, il seminario di Limoges era stato chiuso. Era il primo provvedimento concreto.
Il 23 settembre, mons. Paolo Marella, appena insediato alla Nunziatura, riunì all'arcivescovato di Parigi ventitré vescovi e superiori religiosi aventi preti-operai sotto la loro giurisdizione: l'esperimento doveva essere interrotto; l'apostolato operaio sarebbe continuato ma sotto altre forme. Riunioni analoghe ebbero luogo in arcivescovati di provincia. Già il card. Jules Saliège (Tolosa), durante i ritiri pastorali, il card. Feltin (Parigi) alla stessa epoca, avevano messo in guardia contro gli errori possibili: sul concetto di apostolato missionario; sul concetto di Chiesa; sulla legge di carità che "se può avere preferenze non può avere esclusioni"; sulla vocazione del prete e lo spirito di obbedienza.
Il 14 ottobre l'Assemblea dei cardinali e arcivescovi di Francia ricordò che c'è una sola Chiesa, incaricata di salvare tutti gli uomini; che è la Chiesa stessa missionaria per sua natura e che non può darsi apostolato missionario senza di essa, fuori di essa. Il 3 nov. i cardinali Feltin, P. Gerlier e A. Liénart partirono per Roma, portando con sé il "documento verde", in cui i preti-operai giustificavano il proprio atteggiamento. "Non potremmo fare altrimenti che optare per la liberazione attiva di questo mondo operaio, di cui eravamo divenuti membri". La Chiesa non ci accetta poiché "con la maggioranza dei suoi membri e con le sue istituzioni essa difende un regime contro cui, con la classe operaia, lottiamo con tutte le nostre forze, poiché è oppressore e ingiusto".
Il 16 novembre, tornati da Roma, i tre cardinali pubblicavano la dichiarazione finale: l'esperimento non poteva essere continuato nella sua forma attuale. Perché si continui, la Chiesa chiedeva: 1) che i preti siano scelti uno ad uno dai loro vescovi; 2) che ricevano una adeguata formazione, intellettuale e spirituale; 3) che la durata del lavoro sia limitata; 4) che i preti-operai non accettino responsabilità sindacali né incarichi temporali; 5) che vivano in comunità e partecipino all'attività parrocchiale. Si venne poi a sapere, il 7 febbraio, che i gesuiti-operai venivano ritirati; gli altri religiosi sarebbero stati ritirati poco dopo. Il 19 febbraio 1954 un comunicato della Commissione permanente dell'Episcopato notificò le ultime decisioni, queste ora dette, e ad evitare confusioni la dizione di "preti-operai" venne sostituita con quella di "preti della Missione di Francia". Ognuno dei preti al lavoro ricevette una lettera personale dal suo vescovo: doveva mettersi in regola prima del 1° marzo; dopo questa data, si sarebbe trovato in stato di disobbedienza e passibile di pene canoniche.
Il "Manifesto dei 73" comparve sulla stampa il 3 febbraio, e non era un atto di sottomissione. I "preti delle dighe" (quelli che lavoravano sulle Alpi alla costruzione di dighe) ponevano molto bene il problema: "Se non siamo esigenti sulla purezza operaia della nostra vita, non si dà più incarnazione del Cristo nel mondo operaio. Se non siamo esigenti in merito alla nostra vita di fede, non c'è più redenzione di questo mondo. Bisogna non cedere su nessuno dei due punti". La risposta dei 31 preti-operai della regione parigina al card. Feltin apparve più ambigua; quella del gruppo di Limoges improntata a netta insubordinazione: "testimoni della Chiesa malgrado le sanzioni, discepoli della Chiesa malgrado i colpi che essa ci infligge, annunceremo, con il sacrificio quotidiano delle nostre esistenze respinte, l'immenso amore che, tramite la sua Chiesa, Dio ha per gli uomini". Dichiarazione che suonava piuttosto retorica.
La liquidazione del movimento appariva vicina. Il 28 aprile 1954 si riunì a Parigi l'assemblea plenaria dell'episcopato francese, la seconda dalla fine della guerra. L'assemblea adottò delle "Direttive pastorali in materia sociale" del card. P. Richaud. Soprattutto, pubblicò una lunga "dichiarazione dottrinale", ponderata, equilibrata, commossa che, se fosse stata emessa quattro anni prima e mantenuta poi energicamente, avrebbe evitato molti degli inconvenienti poi verificatisi. Il 15 ag., la Costituzione Omnium Ecclesiarum, preparata dalla Congregazione del Concilio, dava lo statuto alla Missione di Francia, organizzandola in prelatura nullius, domiciliata a Pontigny. Il card. A. Liénart ne diveniva l'Ordinario col p. Jean Vinatier come vicario generale. I preti, già ordinati o da ordinare, dovevano esserle incardinati, con l'autorizzazione del loro vescovo d'origine, per essere impiegati nella Missione di Francia: nell'esercizio del loro ministero sarebbero stati sottoposti totalmente all'Ordinario del luogo. In sett., 280 preti della Missione di Francia erano riuniti in congresso a Conflans: vi si incontravano quelli delle "dighe" e quelli dell'"anello della Senna". Si cominciava daccapo.
Il 15 ottobre il Seminario, dotato di un nuovo programma dalla Congregazione dei seminarî e delle università, apriva le sue porte nell'abbazia di Pontigny, sotto la direzione del p. G. Morel. Era prevista una solida formazione teologica e filosofica; austera la preparazione ascetica, in un'accentuata povertà. Si erano presentati settanta anziani di Limoges, ai quali si era aggiunta una ventina di nuovi. Da allora, il numero delle domande ha di solito superato quello dei posti disponibili. Sono stati utili alcuni adattamenti. Oggi il seminario è in piena funzione e prospera. Contemporaneamente mons. A. Ancel, superiore generale del "Prado" costituiva una comunità le cui risorse dovevano provenire dal solo lavoro salariato. Continuavano la loro attività i "petits frères de Foucauld" e i "fratelli missionarî delle campagne". Si era operato un cambiamento di rotta.
È possibile stabilire un bilancio dei sottomessi e di quelli che non si sono sottomessi? Non è facile dare cifre precise. I 280 preti del congresso di Conflans non lavoravano tutti. Il 20 febbraio precedente, i preti-operai effettivi si erano riuniti per esaminare quale atteggiamento prendere il 1° marzo. Una trentina scrissero al loro vescovo per comunicare che si sottomettevano. Alcuni ritornarono semplicemente alla loro diocesi. Altri rimasero al lavoro, ma con l'intenzione di non rompere, sperando che il dialogo sarebbe stato ripreso. Da parte loro i vescovi intendevano non arrivare alla rottura, incoraggiati del resto da Pio XII. Alcune situazioni non consentivano una soluzione immediata; furono concesse moratorie, esplicite o tacite. Si udirono minacce di sanzioni solo da parte del card. Gerlier nei confronti di un prete di Saint-Étienne, che si era chiassosamente lasciato nominare segretario dipartimentale della CGT, il 7 marzo. Tuttavia in agosto compariva un "libro bianco" dei preti rimasti al lavoro, di chiaro sapore marxista: "Un certo numero, fra noi, nella misura in cui partecipano alle condizioni della vita operaia e alla coscienza proletaria, non possono più partecipare al sacerdozio quale si è espresso nella civiltà borghese. Perché possano farsi mediatori della rivelazione di Dio in forma comprensibile alla classe operaia, devono nascere essi stessi a una nuova espressione di fede, muovendo dalla coscienza proletaria". Quanti sono stati questi ribelli? Forse la metà di coloro che avevano preso parte all'esperimento.
Difficile la ricerca delle responsabilità in questa crisi. Essa aveva certo le sue radici nella guerra, nel crollo del maggio 1940 e nelle sue conseguenze, che avevano tra l'altro distrutto la reciproca fiducia tra inferiore e superiore. Incertezze e ambiguità si incontravano anche nelle relazioni ecclesiastiche, quando v'era implicato l'interesse temporale. Il potere del maresciallo Pétain di fatto era legittimo? Quale obbedienza gli era dovuta? Bisognava, ad esempio, partire per il servizio del lavoro obbligatorio in Germania? o sfuggirgli con false carte d'identità? o unirsi all'esercito clandestino? o all'esercito d'Africa attraverso la Spagna? A questo problema, urgente per i loro seminaristi, i superiori davano risposte contradditorie, e lo si sapeva. Un buon numero di futuri preti-operai hanno passato la loro giovinezza in questa atmosfera avvelenata.
La liberazione, che non metteva fine né alla guerra né ai rancori, accresceva la confusione degli animi. Si era formato un governo tripartito, di comunisti, socialisti e democratico-cristiani, ad immagine dell'Assemblea eletta; la posizione dei comunisti s'imponeva nei ministeri chiave, nelle amministrazioni, nei sindacati, tra gli intellettuali; ripetevano, e con loro i progressisti, che il marxismo rispondeva al senso della storia; i progressisti aggiungevano che la Chiesa doveva mettersi al passo o finire stritolata.
La propaganda degli intellettuali di sinistra ha notevolmente influito sui preti operai. M. I. Montuclard con Jeunesse de l'Église, p. H. Desroches, che poi ha abbandonato la Chiesa, con il suo Signification du marxisme hanno avuto molto seguito tra il giovane clero. L'Organisation des chrétiens progressistes, con A. Mandouze, infondeva al suo bollettino il gusto del frutto proibito, tanto che certi seminaristi furono sconvolti dalla condanna della Qutinzaine il 13 marzo 1954 (Les événements et la Foi di M. I. Montuclard era stato messo all'Indice nel febbraio 1951, e Jeunesse de l'Église era stato proibito dall'Assemblea dei cardinali ìl 14 ottobre 1953). E. Mounier, fino alla morte, aveva trattenuto con tutta la sua energia i suoi amici progressisti: "non si rimpiangerà mai abbastanza la sua morte", scrive Pierre Andreu (Grandeurs et erreurs des prêtres ouvriers), che non è di sinistra. Anche la stampa cattolica "avanzata" ebbe un'assai larga parte di responsabilità nella deviazione dei preti-operai; e l'interpretazione data dal p. H. Féret al dramma di F. Hochwalter Sur la terre comme au Ciel, la teoria dell'obbedienza che egli ne derivava, non contribuì certo a orientare le menti.
Infine, come si è detto, un certo numero di preti-operai, tollerati o sopportati, non avevano né la preparazione né le qualità richieste. Il "dinamismo" non bastava; occorreva anche la sodezza di giudizio, una fermezza religiosa capace di ogni prova e un'informazione intellettuale più estesa di quella che viene fornita d'ordinario in seminario. Certo, c'era la dottrina sociale della Chiesa; ma si è tanto abusato delle encicliche per far loro dire altro da ciò che contengono! Sarebbe stato necessario anche un minimo di cultura economica e una vera conoscenza del marxismo, che non fosse solo negativa. Non avendola, i preti-operai sono andati a cercarla in Desroches, o in Montuclard, o in articoli di riviste troppo intrise d' "irenismo".
Non sono mancati gli avvertimenti: l'enciclica Divini Redemptoris nel 1937, il decreto del Sant'Offizio nel 1949, gli interventi dei vescovi, i libri del p. G. Fessard o del p. R. Voillaume, gli articoli del p. G. Villain su Études. del p. H. J. Maydieu su La Vie Intellectuelle, del p. P. Bigo sulla Revue de l'Action Populaire. Ma era troppo tardi: l'intossicazione era in atto e le menti non erano più in grado di accogliere queste parole di buon senso.
In conclusione, non si deve scagliare la pietra contro nessuno. In Destin du catholicisme français A. Dansette osserva maliziosamente: "A somiglianza dei sacerdoti democratici della fine del sec. 19°, che avevano sostituito un clericalismo repubblicano a un clericalismo monarchico (i preti operai) hanno stabilito, se non un clericalismo sociale operaio, almeno un operaismo clericale, di fronte a un clericalismo sociale borghese". Ma rileva anche i risultati positivi dell'esperimento. Il migliore è stato la riorganizzazione della Missione di Francia e del suo seminario. Si ricominciò di nuovo, e recentemente si è avuta la prova che il clima non è più lo stesso. La pubblicazione della lettera del cardinal Pizzardo (1959) con cui si ordinava di richiamare gli ultimi preti dal lavoro, non ha provocato nell'opinione pubblica quasi alcun moto, per dolorosa che fosse per coloro che ne erano oggetto.
L'errore fondamentale è stato di lasciare dissacrare il sacerdozio: "né uomini di Dio, né uomini senz'altro", dice Pierre Andreu (Grandeurs et erreurs des prêtres ouvriers, p. 239). Ma poco dopo, a conclusione, aggiunge: "Il movimento dei preti-operai è stato uno dei tentativi per stabilire il contatto ... che la Chiesa cerca disperatamente in tutti i campi con il mondo moderno, per svegliare i non credenti. Nella sua concezione, la loro missione era giusta; nella realizzazione fu un insuccesso, molto a motivo delle terribili pressioni economiche, politiche, culturali del mondo attuale. Nondimeno, infinita deve essere la nostra gratitudine verso di loro. Essi hanno mostrato ai nostri contemporanei scettici, prendendo strade solitarie e difficili, che la Chiesa rimane viva". Questo giudizio d'un autore che, per tutto il suo libro, non mostra eccessiva simpatia per i preti-operai, deve essere accolto.
Bibl.: Il dossier sull'affare dei preti-operai (almeno, tutti i documenti importanti) in: Documentation Catholique, dal 1945. Per uno studio più completo, si consultino le collezioni di Jeunesse de l'Église e della Quinzaine.
Gli articoli più importanti sono: A. Retif, La Mission de Paris, in Études, marzo 1949; A. M. Carré, Pourquoi il y a des prêtres ouvriers, in La Vie Intellectuelle, nov. 1953; J. Villain, L'heure des prêtres ouvriers, in Études, dicembre 1953; M. D. Chenu, Le sacerdoce des prêtres ouvriers, in La Vie Intellectuelle, febbraio 1954; P. Bigo, Le progressisme en France, in Revue de l'Action Populaire, maggio 1955; L. Cristiani, Les prêtres ouvriers, in L'Ami du Clergé, maggio 1959; si vedano inoltre il numero del 1° ottobre 1953 de L'actualité religieuse dans le monde e il numero del 15 maggio 1955 di Chronique sociale de France; e ancora: I preti operai, in Aggiornamenti sociali del dicembre 1953; Precisazioni sui preti operai, ibid., gennaio 1954; G. Caprile, I preti operai e la loro vicenda, in Civiltà Cattolica, 1954, i.
Tra i libri: P. Andreu, Grandeurs et erreurs des prêtres ouvriers, Parigi 1955; F. Boulard, Problèmes missionaires de la France rurale, Parigi 1945; id., Essor ou déclin du clergé français, Parigi 1950; A. Collonge, Le scandale du XXe siècle et le drame des prêtres ouvriers, Parigi 1957; A. Dansette, Destin du catholicisme français 1926-1956, Parigi 1957; M. Delbrel, Ville marxiste, terre de mission, Parigi 1957; J. M. García Escudero, Los sacerdotes obreros y el catolicismo francés, Barcellona 1954; M. R. Loew, Journal d'une mission ouvrière, Parigi 1959; G. Michonneau, Paroisse, communauté missionnaire, Parigi 1946; H. Perrin, Journal d'un prêtre ouvrier en Allemagne, Parigi 1945; R. P. Voillaume, Au coeur des masses; la vie religieuse des Petits Frères de Foucauld, Parigi 1951; G. Cesbron, Les saints vont en enfer, Parigi 1952.