PRETI, Mattia, detto il Cavalier Calabrese
Pittore, nato a Taverna (Catanzaro) il 24 febbraio 1613, morto il 3 gennaio 1699 a La Valletta (Malta), dov'è sepolto con gli altri nobili cavalieri nella chiesa di San Giovanni da lui dipinta.
Personalità complessa, ebbe una sostanziale organicità di stile. Il suo eclettismo apparente è dato, infatti, dal desiderio di raggiungere rapidamente larghi effetti decorativi sulla traccia dei Veneti dell'ultimo Cinquecento; l'elemento vitale del suo stile sta invece nel proporsi, con chiara visione pittorica, il fondamentale problema chiaroscurale, che, sulle orme del Caravaggio, attraverso G. B. Caracciolo (il Battistello), da un lato, e il migliore Guercino e il Lanfranco, dall'altro, rappresentò sempre la ragione prima della sua arte. Il suo luminismo si attua (anche attraverso complessi propositi di composizione) sempre più decisamente nelle tele raccolte, dove la costrizione dello spazio sembra intensificare nella fantasia dell'artista, nello stesso tempo, il valore chiaroscurale e il sentimento drammatico.
Quel che più conta in lui, è sempre una particolare esigenza di semplificazione, che, provenendo dalla riforma caravaggesca, assume attraverso il Battistello una materia pittorica più ricca, dal Guercino invece una mobilità di chiaroscuro, del tutto diversa, però, dalla stessa maniera del maestro. Una certa rudezza quasi paesana, unita a una spontanea larghezza di squadro nel comporre fanno comunque di lui uno dei più grandi pittori italiani del Seicento.
La vita di M. P. è assai movimentata, ma non del tutto chiarita. Nel 1630 si trova a Roma presso il fratello Gregorio P. (vissuto fino al 1672), anch'esso pittore, che rappresentò per il giovane Mattia il tramite per la conoscenza della pittura bolognese del Seicento. In un primo decennio d'attività pare che l'artista si desse quasi unicamente al disegno, accanto alle fruttuose esperienze dell'affresco nella profonda comprensione del Lanfranco, della quale resteranno in lui tracce sicure. A Roma, tornato dalle sue peregrinazioni artistiche nel 1640, entrò in contatto con gli ambienti dell'aristocrazia e fu insignito del cavalierato d'ubbidienza dell'ordine gerosolimitano. Si possono assegnare a questo periodo romano alcune tele ancora incerte e la già decisiva Flagellazione in S. Giovanni Calibita, mentre il pittore andava collaborando col fratello, che dipingeva in S. Carlo a' Catinari. Una delle prime opere certe di questi anni è il quadro di S. Nicola e S. Gennaro a Taverna. Tra il 1644 e il 1650 cade il periodo della dimora del P. nell'Emilia e ne resta traccia nella cupola e nel coro di S. Biagio, a Modena, dove affrescò il Paradiso con gruppi vigorosi di santi, dai larghi paludamenti e un coro d'angeli. In quest'opera il riflesso, puramente esteriore, del Correggio è prova dell'indipendenza dell'artista, già personalissimo nella forma piena e massiccia dei corpi, d'una sodezza eccezionale. Ciò che più s'avverte in quegli affreschi e che accompagnerà sempre lo stile del maestro è quel disporre le masse a grandi blocchi in un apparente impaccio, dove si riconosce invece uno dei tratti più puri della sua schietta natura. La sua nomina nella congregazione dei Virtuosi del Pantheon (1650) coincide con l'esecuzione degli affreschi monumentali del coro di S. Andrea della Valle a Roma, che sembra fossero terminati nel 1651.
Accanto alle opere del Domenichino e del Lanfranco, le tre grandi pitture, che rappresentano il martirio, la crocifissione e il seppellimento di S. Andrea, s'impongono per solidità tutta nuova e larghezza di stile. La composizione in diagonale, sottolineata dai corpi, la scelta di semplici assi prospettici, la bella materia pittorica, l'ariosità delle scene sono elementi che pongono l'artista ben alto nell'arte del suo tempo.
Ormai folta di opere (ch'egli già, di preferenza, dipinge a olio, rapidamente incupendo i fondi e rialzando i bianchi con forti colpi di chiarori argentati) la vita artistica di M. P. si sposta fra il 1656 e il '61 a Napoli, dove dipinge gli affreschi ex-voto della peste, che aveva infierito sulla città.
Di queste pitture, ormai perdute, restano i bozzetti bellissimi nella Pinacoteca di Napoli e vi si scorge lo stile del maestro, giunto, si può dire, a piena maturazione. La composizione si architetta senza impacci e barocchismi: la parte bassa, con gli appestati, seppelliti dai monatti, è d'una vigoria nuova, la materia pittorica si lega con il profondo chiaroscurare e col cupo significato delle scene in un'esatta rispondenza che è l'indice maggiore del fortissimo ingegno pittorico dell'artista.
A questo tempo vanno assegnate le migliori sue opere non tanto per le pitture a Napoli nella cupola di S. Domenico di Soriano e per gli affreschi del palazzo Pamphili a Valmontone, quanto per le grandi tele dei due Conviti della Pinacoteca di Napoli e, infine, per il soffitto di S. Pietro a Maiella, riccamente decorato d'intagli, che incorniciano le tele con le storie di S. Pier Celestino e S. Caterina d'Alessandria, dipinte con particolare intensificazione d'effetti, dove anche il colorito sobrio, ma solidissimo, assume eccezionale valore.
Fra le tele del soffitto di S. Pietro a Maiella, ricordiamo, come le più belle della serie, quella, di difficile schema, con l'Entrata di S. Pietro Celestino ad Aquila, e l'altra con il Trasporto del corpo della Santa in cielo.
Creato "cavaliere di grazia" dell'ordine gerosolimitano di Malta, il 15 settembre 1661, da quest'anno data la sua operosità nell'isola. In questo lungo e definitivo periodo della sua vita il P. diventa il pittore ufficiale dell'ordine di Malta e lavora con grandissimo fervore: dipinge, con una preparazione a olio, direttamente sulla parete, l'abside, la vòlta e il lunettone della grande chiesa di S. Giochiesa per ottenerne più luce e maggior agio a dipingere, e vi raffigura il Trionfo dell'ordine dei Cavalieri, scene della vita di S. Giovanni, protettore dell'ordine, e i principali martiri-cavalieri; invia numerose tele da La Valletta in Italia, in Spagna, in Germania; viene incaricato dalle confraternite locali e da aristocratici committenti di dipingere i quadri d'altare per numerosissime chiese in città e nell'interno dell'isola. La foga creativa, e, talvolta, la fretta, tolgono in alcune delle sue opere quella vibrazione particolare al suo stile; altra volta la collaborazione, che avvenne anche con Suor Maria de Dominicis, o il cattivo stato di conservazione attenuano il valore dei dipinti, ma tra questi emergono superbe opere, tanto più importanti in quanto sono state concepite lontano da influenze stilistiche altrui: il Battesimo del museo di La Valletta, mirabile per la composizione bilanciata, la Nascita della Vergine, nella chiesa di S. Giovanni, la Predica di S. Bernardino, eseguita per il duomo di Siena, le tele del "Boschetto", villeggiatura del gran maestro, e molte altre.
Opere del P. si trovano in quasi tutte le gallerie del mondo: la sua facilità nell'impiantare larghe tele da cavalletto e la ripetizione di schemi compositivi, con lievi varianti, in più quadri, gli permisero di dipingere un enorme numero di opere, oltre a quelle notate, di carattere monumentale e decorativo. Di qui la difficoltà di elencarne anche soltanto le principali. Ricordiamo, oltre alle già mentovate, la Resurrezione di Lazzaro e il Ricco Epulone nella Galleria nazionale di Roma, tre tele nella galleria di Dresda, e a Taverna, luogo natale del P., nella chiesa di S. Domenico: S. Giovanni Battista (con autoritratto del pittore), L'Eterno Padre, una Crocifissione, la Madonna del Rosario, il Cristo fulminante, un S. Sebastiano e molte altre tele nella chiesa di S. Barbara (tra cui bellissima un Battesimo di Cristo), una Circoncisione e altre tele nella chiesa dei Cappuccini. Hanno grande interesse i rari disegni del P. che si trovano a Napoli, Malta, Roma, Düsseldorf, Parigi, Haarlem. Recentemente studiati, rivelano una maniera larga e impetuosa, che talvolta precorre il Piazzetta. (V. tavv. LXIII e LXIV).
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