PRETESTA
La toga era l'abito nazionale romano proprio dell'uomo libero. Già il fanciullo la indossava, ma non tutta bianca come l'adulto, bensì distinta da un orlo (clavus) di lana purpurea intessutovi. Per questo si diceva pretesta (prae-texta). Divenuto giovanetto, oltre il quindicesimo anno d'età, generalmente al diciassettesimo compiuto, deponeva gl'insignia pueritiae e cioè la toga pretesta e la bulla, offrendoli ai Lari della sua casa e assumeva la toga virile, del tutto bianca, detta per questo pura, ed anche libera, perché propria del libero cittadino. L'uscita dall'infanzia era festeggiata e si celebrava nel giorno dei Liberalia, il 16 marzo, insieme con i festeggiamenti in onore di Bacco. Il giovinetto, deposta la pretesta e assunta la toga virile, veniva accompagnato da un largo seguito di familiari e di amici al Foro, quasi a presentarsi al popolo quale nuovo membro della grande famiglia dei cittadini romani. Il corteo saliva quindi al Campidoglio a rendere omaggio alle divinità tutelari del popolo romano. Da quel momento cominciava per il giovane cittadino una nuova vita; era giunta l'ora d'intraprendere una carriera. Intanto si apprestava ad esercitare il tirocinium Fori, a frequentare cioè il foro, centro della vita politica di Roma, per seguire i pubblici affari, senza ancora prendervi parte attiva. Anche la fanciulla, almeno nei tempi più antichi, prima dell'adozione per la donna della più comoda palla, deponeva la pretesta andando a marito.
L'uso della pretesta concesso al fanciullo era un segno della riverenza e del rispetto dovuto alla tenera età e una salvaguardia a protezione dei costume derivato dagli Etruschi, era un distintivo del supremo potere. Potevano indossarla i magistrati che avevano diritto alla sella curulis e ai fasci e cioè i consoli, i pretori, gli edili curuli, nonché i censori, che non avevano i fasci. L'usavano per privilegio anche il flamen dialis, i pontefici, gli auguri, i quindecemviri, e gli Arvali, per la durata del sacerdozio, ed i supremi magistrati municipali. Non l'avevano i tribuni del popolo, i questori e i magistrati inferiori. La pretesta venìva anche concessa quale ricompensa eccezionale: un centurione che si era distinto nella campagna contro i Cimbri fu autorizzato a sacrificare vestito di pretesta (Plin., Nat. Hist., XXII, 6, 11); membri dell'ordine senatorio assisterono in pretesta al trionfo di Augusto dell'anno 29 a. C. (Cass. Dio, LI, 10).
Si diceva fabula praetexta la tragedia latina che non svolgesse un soggetto greco, ma che fosse romana per l'azione ed il carattere. Il protagonista di questo genere di lavoro teatrale vestiva la toga pretesta.
Bibl.: A. Müller, Die Trachten der Römer und Römerinnen, in Philologus, XXVIII (1899), p. 116; H. Weiss, Kostümkunde, I, 2ª ed., Stoccarda 1881, p. 431 seg.; Becker e Göll, Galus, III, Berlino 1882, p. 191 segg.; G. Wilpert, Un capitolo della storia del vestiario, in Arte, I (1898), p. 89 segg.; H. Blümner, Die römischen Privataltertümer, Monaco 1911, p. 210 segg.