Abstract
Viene esaminata la nozione di prestazioni patrimoniali e personali imposte di cui all’art. 23 Cost. al fine di definire l’ambito di applicazione oggettivo del principio di riserva di legge relativa, con particolare riferimento alla materia tributaria.
La rilevanza giuridica della nozione di prestazioni imposte si ricollega all’art. 23 Cost., che contiene la cd. “riserva di legge” (relativa) in materia tributaria, a mente del quale «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».
Non vi è tuttavia alcuna definizione normativa di prestazione (personale o patrimoniale) imposta, così come non ve ne è alcuna di tributo, che della prima costituisce la figura più importante, né delle specie del tributo stesso.
Per comprendere il significato di prestazione imposta sembra utile muovere, innanzitutto, dalla classificazione delle entrate dello Stato.
In generale, i mezzi finanziari di cui necessita lo Stato per la propria esistenza possono derivare, oltre che dall’indebitamento, sia dalla gestione del proprio patrimonio o dall’esercizio (anche indiretto) di attività economiche, sia da prelievi di carattere coattivo.
Nel primo caso, delle entrate cd. “di diritto privato”, lo Stato amministra il proprio patrimonio, anche dismettendolo, svolge attività economiche o partecipa al capitale di determinati soggetti che svolgono attività economiche, comportandosi alla stregua di un qualsiasi operatore privato (iure privatorum) in un assetto tipicamente corrispettivo.
Nel secondo caso, delle entrate cd. “di diritto pubblico”, lo Stato agisce, invece, mediante il proprio potere autoritativo (iure imperii) per procacciarsi le entrate.
Tra le entrate di diritto pubblico si comprendono le seguenti figure.
In primo luogo, le prestazioni patrimoniali coattive a carattere sanzionatorio: si tratta di prestazioni di natura pecuniaria variamente denominate (multe, ammende, ecc.) che costituiscono oggetto di una obbligazione del trasgressore che viene ricollegata dalla legge alla violazione di un dovere giuridico.
In secondo luogo, i prestiti forzosi: si tratta di forme di finanziamento imposte dallo Stato, che obbliga taluni soggetti a versare somme o ad acquistare e conservare titoli del debito pubblico per un certo periodo di tempo di regola a fronte della corresponsione dei relativi interessi. In tal caso, dunque, l’acquisizione non è a titolo definitivo bensì temporaneo.
In terzo luogo, le prestazioni cd. parafiscali: si tratta essenzialmente dei contributi previdenziali ed assistenziali.
In quarto luogo, le espropriazioni per pubblica utilità, a fronte delle quali è previsto un “indennizzo” ai sensi dell’art. 43, co. 3, Cost., dove la natura di “entrata” viene in particolare collegata al maggior valore del bene espropriato rispetto all’indennizzo riconosciuto al soggetto titolare del bene. Tuttavia, a seguito della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. eur. Dir. Uomo, 29.3.2006, Scordino) e delle sentenze c.d. “gemelle” della Corte costituzionale (C. cost., 24.10.2007, nn. 348 e 349), che hanno ritenuto incostituzionale il sistema italiano di indennizzo basato sulla media tra il valore venale e il valore catastale, in quanto in contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nella parte in cui tutela il diritto di proprietà – dovendo, dunque, l’indennizzo sostanzialmente corrispondere al valore venale (salvo obiettivi di utilità pubblica o di giustizia sociale) – tale ricostruzione appare difficilmente sostenibile, risolvendosi il tutto, almeno nei casi di indennizzo integrale, in una mera modifica qualitativa del patrimonio dello Stato e del soggetto espropriato.
Infine, i tributi, definibili come obbligazioni aventi ad oggetto una prestazione di regola pecuniaria (potendo talvolta l’obbligazione essere adempiuta con mezzi diversi dal denaro, quale ad esempio la possibilità di assolvere le imposte sui redditi e sulle successioni con opere d’arte), a titolo definitivo o a fondo perduto (differenziandosi, sotto tale profilo, dal prestito forzoso), nascenti dalla legge (dunque “coattive”, senza cioè che vi concorra la volontà dell’obbligato), al verificarsi di un presupposto di fatto che non ha natura di illecito (differenziandosi, sotto tale profilo, dalla sanzione). È invece controverso se elemento caratterizzante del tributo sia anche il fatto che esso attui il concorso alla spesa pubblica. La Corte costituzionale ha affermato che i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi consistono: 1) nella doverosità della prestazione, 2) nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e 3) nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (C. cost., 73/2005, 334/2006, 64/2008, 335/2008, 141/2009, 238/2009). Viene dunque sottolineato dalla Corte il collegamento della prestazione alla pubblica spesa.
Tanto premesso, dobbiamo innanzitutto chiederci se la categoria delle prestazioni patrimoniali imposte si identifichi con quella delle entrate di diritto pubblico.
Tale coincidenza deve tuttavia escludersi.
Tra le prestazioni patrimoniali imposte rientrano senz’altro i prestiti forzosi e le prestazioni cd. “parafiscali”.
Quanto ai prestiti forzosi, si discute peraltro se essi vi rientrino nonostante il diritto al rimborso a scadenza del capitale e una remunerazione ragionevole, non verificandosi in tal caso alcuna perdita di valore del capitale e, dunque, una vera e propria decurtazione patrimoniale (contra, C. cost., 30.7.1980, n. 141, secondo cui la mancanza di effetto ablatorio, mentre osta all’applicazione dell’art. 53 Cost., non osta all’applicazione dell’art. 23 Cost., essendo «innegabile il carattere di prestazione proprio del sacrificio, seppure non definitivo, imposto ai destinatari»). I sostenitori della tesi che vi rinviene in ogni caso una prestazione patrimoniale imposta sottolineano come l’art. 23 Cost. si riferisca all’assai ampio concetto di “prestazione” e, dunque, ad una qualsiasi obbligazione imposta in via coattiva, con ciò differenziandosi dall’art. 30 dello Statuto albertino, che invece faceva riferimento al ben più restrittivo concetto di “tributo”: a nulla rileverebbe, dunque, ai fini dell’individuazione di una “prestazione patrimoniale imposta”, che al sacrificio economico corrispondano eventuali utilità o vantaggi stante l’irrilevanza, per tale tesi, dell’elemento della decurtazione patrimoniale (sul fatto che non possa individuarsi una prestazione patrimoniale imposta in una disciplina che si limiti a dettare criteri per la determinazione di una indennità, senza mirare direttamente a impoverimenti o arricchimenti patrimoniali dei soggetti destinatari, C. cost., 10.2.1982, n. 26).
Quanto alle prestazioni parafiscali, si ha qui indubbiamente una prestazione patrimoniale imposta nonostante venga a maturarsi, per effetto del versamento dei contributi previdenziali e/o assistenziali, un diritto pensionistico o altro diritto assistenziale in capo al soggetto assicurato, trattandosi di un assetto certamente privo di sinallagmaticità in senso proprio. L’applicabilità della garanzia costituzionale sembra discendere dal fatto che la disciplina del contributo previdenziale, sia per i criteri di determinazione della somma dovuta dal privato, sia per l’obbligatorietà della richiesta del “servizio previdenziale”, denota un istituto ordinato a produrre una diminuzione patrimoniale al privato e, dunque, la sussistenza di una prestazione patrimoniale imposta. La stessa Corte costituzionale (C. cost., 18.5.1972, n. 91), nell’affrontare il problema della natura del contributo previdenziale maggiorato previsto dalla l. 5.7.1965, n. 798 per i compensi relativi agli incarichi retribuiti conferiti dall’autorità giudiziaria, ha ritenuto trattarsi di una prestazione patrimoniale, imposta in base alla legge secondo l’art. 23 Cost., peraltro «caratterizzata dal sacrificio pecuniario di una parte dell’utile spettante al professionista iscritto all’Ente nazionale allo scopo di devolverla all’Ente stesso per dotarlo dei mezzi necessari a realizzare, nel settore, il principio della solidarietà sociale, che sta alla base dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 2».
Si escludono invece dall’art. 23 Cost. le espropriazioni forzate e le sanzioni penali a contenuto pecuniario, dal momento che esse trovano apposita fonte di disciplina a livello costituzionale, rispettivamente negli artt. 42, co. 3, e 43 Cost. – purché l’espropriazione sia preordinata alla acquisizione del bene in virtù della sua utilità specifica e fermo restando, nel caso di integrale ristoro, la sua estraneità alle prestazioni imposte per via della mera “modifica qualitativa” nel (e non “decurtazione del”) patrimonio dell’ablato che essa provoca (ove si ritenga tale decurtazione elemento essenziale della nozione) – e nell’art. 25, co. 2 Cost. Riguardo a tale ultima disposizione, è tuttavia dubbio se la relativa copertura si estenda alle sanzioni amministrative, destinate a trovare una copertura nell’art. 23 Cost., trattandosi pacificamente di prestazioni patrimoniali imposte (C. cost., 14.4.1988, n. 447 e C. cost., 3.6.1992, n. 250, che escludono l’applicabilità dell’art. 25, co. 2, Cost.).
Per quanto riguarda i tributi, si tratta senz’altro di prestazioni patrimoniali imposte, in quanto ne possiedono i caratteri essenziali, segnatamente la coattività (prestazione obbligatoria), nel senso di essere istituiti da un “atto di autorità” a carico di un soggetto senza che la volontà di questo vi abbia concorso (C. cost., 26.1.1957, n. 4), nonché l’effetto di decurtazione del patrimonio dell’obbligato cui l’intervento autoritativo è ordinato. Ciò nel caso in cui si ritenga, anche se trattasi di tesi non unanimemente condivisa in dottrina, che la coattività non sia l’unico elemento qualificante delle prestazioni patrimoniali imposte dovendosi avere riguardo anche ai “risultati” dell’intervento autoritativo.
La nozione di prestazione patrimoniale imposta è tuttavia più ampia di quella di tributo. Ciò risulta con chiarezza dalla giurisprudenza costituzionale, che ha ricondotto all’interno della categoria delle prestazioni patrimoniali imposte sia numerose prestazioni coattive non tributarie – tra cui, ad esempio, la rivalsa per le spese di ospedalità degli indigenti (C. cost., 21.5.1975, n. 112), il contributo di solidarietà a carico di alcuni trattamenti previdenziali corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria (C. cost., 30.1.2003, n. 22), il contributo imposto ai sanitari iscritti agli ordini professionali italiani dei farmacisti, dei medici chirurghi, degli odontoiatri e dei veterinari alla Fondazione opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (C. cost., 14.6.2007, n. 190) – sia, alle condizioni che si esamineranno infra, obbligazioni assunte contrattualmente.
La nozione di prestazione patrimoniale imposta costituisce essenzialmente il frutto dell’elaborazione della Corte costituzionale.
In tale ambito, la nozione di “prestazione imposta” è stata progressivamente ampliata (come evidenziato dalla stessa C. cost., 10.6.1994, n. 236), sino ad abbracciare determinate obbligazioni assunte contrattualmente.
In generale, secondo la Corte la “prestazione imposta” è quella «stabilita come obbligatoria a carico di una persona senza che la volontà di questo vi abbia concorso» (C. cost., 26.1.1957, n. 4; C. cost., 26.1.1957, n. 30; C. cost., 18.3.1957, n. 47; C. cost., 8.7.1957, n. 122; C. cost. 27.6.1959, n. 36; C. cost. 16.12.1960, n. 70; C. cost. 3.5.1963, n. 55), risultando irrilevante la manifestazione di volontà del destinatario di quella imposizione di richiedere il bene o servizio in mancanza di un vero rapporto sinallagmatico (C. cost., 30.1.1962, n. 2, concernente la tassa per l’occupazione del suolo pubblico).
Nessuna rilevanza assume, secondo la Corte, la denominazione della prestazione: rientrano, quindi, nell’art. 23 Cost. anche il “diritto di contratto” imposto a determinati soggetti dall’Ente nazionale risi (C. cost., 26.1.1957, n. 4), il “corrispettivo” dovuto all’ENI dagli utenti di bombole per i servizi posti a carico dell’ente (C. cost., 26.1.1957, n. 30), il “contributo” dovuto agli enti provinciali del turismo (C. cost., 18.3.1957, n. 47); il “sovracanone” dovuto dai concessionari di grandi derivazioni dai bacini imbriferi montani (C. cost., 8.7.1957, n. 122), le “tariffe” dovute ai Comuni per le pubbliche affissioni effettuate dai privati (C. cost., 27.6.1959, n. 36), lo “sconto” sui medicinali a favore degli enti mutualistici (C. cost., 16.12.1960, n. 70).
Con riferimento alla “prestazione patrimoniale” più nello specifico, la Corte ritiene che questa sia configurabile non soltanto quando l’obbligazione istituita autoritativamente consista nel pagamento di una somma di denaro, ma anche quando il sacrificio pecuniario derivi dalla riduzione di una parte dell’utile altrimenti spettante (C. cost., 16.12.1960, n. 70, concernente gli sconti sul prezzo dei medicinali imposto a produttori e farmacisti a favore degli enti mutualistici: in tal caso, la Corte valorizza, ai fini della prestazione patrimoniale imposta, la decurtazione di quell’utile che i produttori dei medicinali avrebbero conseguito se ad essi non fosse stato imposto lo sconto, escludendone la natura di mero “prezzo differenziato” o “d’imperio” in quanto regolato in modo autonomo rispetto ai prezzi di vendita al pubblico). Più in generale, l’effetto di decurtazione o depauperamento può risolversi nella nascita di una obbligazione, per lo più pecuniaria, a carico del soggetto destinatario, ma anche in una ablazione reale oppure nella mera estinzione di un suo precedente diritto.
Non sono invece riconducibili all’art. 23 Cost. gli interventi di determinazione autoritativa di prezzi e canoni volti a tutelare le posizioni economiche più deboli, al fine di garantire un effettivo equilibrio di posizioni contrattuali. In tali casi, infatti, parametro di legittimità non è l’art. 23 Cost. bensì l’art. 41 Cost.. Si veda, in tal senso, C. cost., 23.4.1965., n. 30, concernente la determinazione del prezzo delle sanse di oliva, secondo cui «l’art. 23 della Costituzione, il cui contenuto si esaurisce nel prescrivere una riserva di legge, non ha nessun ruolo da svolgere là dove altra norma costituzionale – e tale é il caso dell’art. 41 – nel dettare una disciplina sostanziale della fattispecie già l’accompagni con la garanzia formale della riserva di legge».
In una sentenza più recente (C. cost., 7.7.2006, n. 279), tuttavia, con riferimento allo sconto obbligatorio sul prezzo dei farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, la Corte qualifica tale misura sia come prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost., sia come una limitazione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., tuttavia preordinata a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti (su tutti, il contenimento della spesa sanitaria, in vista del fine di utilità sociale costituito dalla garanzia del più ampio godimento del diritto all’assistenza farmaceutica e comunque tale da lasciare all’imprenditore un più ridotto ma ragionevole margine di utile).
Si includono, infine, nella categoria delle prestazioni patrimoniali imposte ulteriori ipotesi quali la requisizione di servizi da privati in cui manchi un adeguato indennizzo; e se ne escludono altre, quali le cd. “prestazioni a contenuto negativo”, le quali, consistendo in limitazioni all’iniziativa economica privata, rientrano nell’art. 41 Cost.
Secondo la Corte costituzionale – oltre alle cd. “imposizioni in senso formale”, intese quali prestazioni imposte con atto autoritativo – la nozione di prestazioni patrimoniali imposte è tale da abbracciare anche obbligazioni assunte contrattualmente, ma nelle quali, vuoi per la presenza di monopoli fiscali (con conseguente fissazione di corrispettivi estranei alla logica di mercato nonostante la natura negoziale del rapporto), vuoi perché la determinazione del quantum debeatur (dunque la parte della disciplina che provoca la decurtazione patrimoniale) è comunque frutto di determinazioni autoritative, il privato, in considerazione della particolare natura del bene o del servizio di cui ha bisogno (generi di prima necessità, utenze, ecc.), partecipa in modo solo apparentemente libero o volontario alla formazione dell’obbligazione, trovandosi in realtà in una particolare situazione di condizionamento o di sostanziale coazione.
Si tratta delle cd. “imposizioni in senso sostanziale” (o “imposizioni di fatto”), in cui, nonostante la fonte contrattuale, il corrispettivo è fissato unilateralmente ed in via autoritativa e al privato è rimessa soltanto la libertà (astratta) di richiedere la prestazione o il bene essenziale oppure rinunziarvi. È da ritenere, in ogni caso, che l’“atto di autorità” debba necessariamente investire la determinazione del corrispettivo, sicché dovrebbero restare estranee alla nozione di prestazioni patrimoniali imposte (e, dunque, alla riserva di legge) le ipotesi in cui esso investa, ad esempio, la sola costituzione del rapporto.
Al fine di meglio comprendere il profilo qui in esame, è utile richiamare la giurisprudenza costituzionale in materia, segnatamente:
C. cost., 9.4.1969, n. 72, concernente le tariffe del servizio telefonico (all’epoca gestito in monopolio). La questione in esame riguardava la S.I.P. citata in giudizio per l’illegittimità di alcune fatture di utenza telefonica, determinate sulla base dell’art. 232 del Regio decreto 27.2. 1936, n. 645, contenente il “Codice postale e delle telecomunicazioni”, che disponeva l’approvazione delle tariffe telefoniche con decreto del Ministero per le poste e le telecomunicazioni, emanato di concerto con il Ministro del Tesoro e con il Ministro per l’industria ed il commercio. In particolare, veniva paventato il contrasto di tale articolo con l’art. 23 Cost. in quanto, nella determinazione delle tariffe telefoniche, demandava all’autorità governativa un potere non soggetto né a limiti né a controlli idonei a garantire gli utenti del servizio. La Corte costituzionale, muovendo dall’assunto che le obbligazioni degli utenti rispetto al concessionario del servizio trovino la loro fonte in un contratto (il contratto telefonico) e che sulla natura di tale rapporto non incidano né il carattere pubblicistico della concessione né i poteri attribuiti dalla legge al Governo, evidenzia che l’assoggettamento del rapporto in esame alla disciplina privatistica non fa venire meno il carattere pubblico del servizio telefonico. Secondo la Corte, il carattere impositorio della prestazione non è escluso per il solo fatto che la richiesta dipenda dalla volontà del privato ma, diversamente, tutte le volte in cui un servizio sia riservato al settore pubblico e sia essenziale ai bisogni della vita, è necessario riconoscere una vera e propria prestazione patrimoniale. In tal caso, infatti, seppure il singolo è libero di stipulare o meno il contratto, la libertà di cui dispone è limitata alla possibilità di scegliere tra la rinuncia al soddisfacimento di un bene primario e l’accettazione di condizioni ed obblighi unilateralmente ed autoritativamente prefissati. Per tale motivo, secondo la Corte, essendo le comunicazioni telefoniche un servizio essenziale esercitato in regime di monopolio pubblico, la determinazione delle tariffe deve essere tutelata dall’art. 23 Cost.;
C. cost., 2.2.1988, n. 127, concernente il diritto di approdo istituito dall’art. 4 lett. f), d.l. 11.01. 1974, n. 1 dovuto dalle navi che si servono, per approdarvi, degli ambiti territoriali compresi nella circoscrizione del Consorzio autonomo del porto di Napoli. La Corte ha inquadrato il pagamento del “diritto di approdo” nelle prestazioni patrimoniali obbligatorie, in quanto il carattere unilaterale ed autoritario della prestazione viene ad identificare come obbligatorie anche le prestazioni su richiesta, quando esse siano connesse ad un servizio essenziale, gestito in regime di monopolio. Infatti, per quanto riguarda il “diritto di approdo”, chi ne vuole usufruire non ha facoltà di scelta e la legge conferisce il potere di determinare il contenuto della prestazione dell’utente al Consorzio;
C. cost., 15.3.1994, n. 90, concernente la legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 1, lett. b), l. 26.7.1965, n. 966, disciplinante le tariffe, le modalità di pagamento ed i compensi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in quanto pone a carico dei privati l’obbligo di richiedere al Corpo nazionale dei vigili del fuoco i servizi di vigilanza a pagamento per i locali di pubblico spettacolo. Secondo la Corte, sulla base della medesima motivazione della sentenza appena richiamata, il corrispettivo del servizio reso, essendo un prezzo imposto, è una “prestazione patrimoniale” che rientra nell’art. 23 Cost.;
C. cost., 10.6.1994, n. 236, relativa al canone dovuto per l’estrazione di sabbia dal greto dei fiumi, considerato prestazione imposta perché, pur avendo a base un negozio tra pubblica amministrazione e privato, è stabilito autoritativamente per la fruizione di un bene pubblico;
C. cost., 20.5.1998, n. 174, concernente un giudizio civile, promosso nei confronti dell’ENEL S.p.a. per ottenere la restituzione di quanto versato come cosiddetta “quota di prezzo” sulle forniture di energia elettrica, prevista all’interno delle tariffe elettriche disposte dal CIP. Il giudice rimettente riteneva che essendosi esaurita la funzione originaria di dette quote (di compensazione del minore apporto del Tesoro al fondo di dotazione dell’ENEL) la riproposizione delle stesse avrebbe disposto una prestazione retroattiva simile ad un’imposta, applicata alla sola “platea casuale” degli utenti domestici di energia elettrica, con violazione del principio di eguaglianza e non correlata alla capacità contributiva dei soggetti colpiti. Per quanto di nostro interesse, e con riferimento alle tariffe elettriche, la Corte evidenzia che la tariffa è un prezzo pubblico imposto in base alla legge, soggetto ai vincoli dell’art. 23 Cost., ma non un’imposta cui applicare l’art. 53 Cost.;
C. cost., 19.6.1998, n. 215, concernente le tariffe inserite di diritto nei contratti di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Secondo la Corte, le tariffe assicurative costituiscono una prestazione patrimoniale imposta, in quanto la determinazione delle stesse da parte del CIP costituisce un atto formale autoritativo che incide sostanzialmente sull’autonomia privata dell’utente, in riferimento ad un negozio – il contratto di assicurazione – obbligatorio ex lege per il soddisfacimento di un rilevante bisogno di vita, qual è la libertà di circolazione mediante l’utilizzazione di veicoli.
Il collegamento tra art. 23 Cost. e diritto tributario non si esaurisce nelle prestazioni patrimoniali imposte, potendo coinvolgere anche le cd. “prestazioni personali imposte”, con le quali si attua una limitazione di quel profilo della libertà personale che si esprime in facoltà di scelta in ordine alla destinazione delle proprie energie fisiche o mentali, indipendentemente dall’esistenza di retribuzioni o indennità finalizzate a neutralizzare l’incidenza della prestazione sul patrimonio del privato.
Infatti, soprattutto nella fase di attuazione del tributo, il legislatore pone a carico del contribuente (o anche di soggetti che non hanno realizzato il presupposto di imposta), una serie di obblighi (quali: denunzie, comunicazioni, dichiarazioni, ritenute alla fonte, ecc.) che potrebbero concretizzarsi in quel vincolo alla scelta di destinazione delle relative energie fisiche od intellettuali che costituisce tratto caratterizzante delle prestazioni personali imposte.
Si tratta peraltro di una questione di importanza non secondaria in Italia, per la nota pletora di adempimenti formali che caratterizzano l’adempimento dei tributi, essendosi ormai trasferita ai privati (contribuenti e non) gran parte delle attività necessarie per l’attuazione del tributo, con rilevanti implicazioni anche in ordine al rispetto dell’art. 23 Cost. da parte dei processi di c.d. “delegificazione” che caratterizzano il diritto tributario procedimentale.
Non può naturalmente escludersi una qualificazione di tali obblighi, sovente a rilevanza anche patrimoniale, direttamente (ed esclusivamente) in termini di “prestazioni patrimoniali imposte”, ad esempio laddove l’obbligo strumentale non sia particolarmente impegnativo (comportando soltanto l’onere economico connesso alla relativa esecuzione).
Art. 23 Cost.
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