pressione
Nel linguaggio finanziario, riferito in primo luogo a p. fiscale, l’indicatore di finanza pubblica ottenuto dal rapporto tra le entrate tributarie e contributive e il reddito prodotto dal territorio preso a riferimento.
La p. fiscale evidenzia in termini percentuali il sacrificio imposto alla collettività dal settore pubblico (➔ imposta p). Le entrate tributarie comprendono i pagamenti effettuati dagli operatori economici in favore delle amministrazioni centrali, degli enti pubblici territoriali (Comuni, Province e Regioni): in sintesi, le entrate relative alle imposte dirette (IRPEF, IRES, IRAP), quelle indirette (IVA) e le imposte in conto capitale (imposta di registro, sulle successioni, proventi da sanatorie fiscali). Le entrate contributive includono i contributi previdenziali, quelli per l’assicurazione obbligatoria e i versamenti per il trattamento di fine rapporto. Detti contributi sono raccolti prevalentemente dagli enti pubblici non territoriali come l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (➔ INPS) e l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (➔ INAIL). Le entrate fiscali contabilizzate nel numeratore del rapporto possono essere individuate nel Conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche (➔ bilancio pubblico). Il denominatore del rapporto prende in considerazione il reddito realizzato dai fattori produttivi (terra, capitale e lavoro): per convenzione, il Prodotto Interno Lordo (PIL). Si può osservare come l’elaborazione dell’indice di p. fiscale sia affidata all’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) che, a tale fine, segue i criteri stabiliti nel Sistema dei conti economici europei (SEC 95), stabiliti con regolamento 2223/1996/CE. L’indice di p. fiscale è un elemento fondamentale per determinare i livelli di competitività (➔) e performance (➔) del sistema economico. Si può evidenziare come l’economia italiana si caratterizzi per l’elevata p. fiscale, con un valore percentuale superiore al 45% per l’anno 2012. Tale risultato è in parte dovuto al rallentamento della crescita economica; infatti, riduzioni del prodotto interno lordo fanno crescere l’indice di p. fiscale.
A differenza della p. fiscale, la p. tributaria misura la quota di reddito nazionale assorbita esclusivamente dalle entrate tributarie. Analogamente alla p. fiscale, l’indice di p. tributaria è ottenuto ponendo il gettito tributario quale numeratore e il PIL come denominatore del rapporto. Analisi settoriali possono stimare la p. tributaria sulle imprese, o sulle persone fisiche, rapportando i tributi (➔ tributo) complessivamente pagati al reddito prodotto dalla popolazione di riferimento. L’analisi storica delle diverse componenti del numeratore, inoltre, mostra l’evoluzione delle politiche fiscali adottate (➔ anche politica fiscale). Con riferimento al contesto italiano, si è assistito a una generale prevalenza delle imposte dirette sino alla fine degli anni 1990; il decennio successivo ha registrato un’inversione di tendenza, con la predominanza delle imposte indirette. Dal 2007, tuttavia, è tornato ad avere maggiore consistenza il peso della p. fiscale diretta su famiglie e imprese.
Con tale locuzione s’individua, nella scienza delle finanze, la perdita di benessere sociale prodotta dall’introduzione di un’imposta distorsiva su di un bene (➔ anche cuneo fiscale). In generale, l’imposta incrementa il prezzo del bene, producendo un effetto reddito; tuttavia, se il bene presenta una domanda elastica, si riduce la quantità scambiata (effetto sostituzione) e l’imposta risulta essere distorsiva (la riduzione del surplus del consumatore è maggiore del gettito fiscale raccolto); se il bene ha domanda rigida, la quantità scambiata rimane la medesima (non si ha effetto sostituzione) e il prelievo risulta essere neutrale. Per evitare l’eccesso di p., il legislatore dovrebbe concentrare la tassazione sui beni a domanda rigida (regola di Ramsey, ➔ Ramsey, Frank Plumpton ), evitando di colpire i beni necessari, poiché, in tal caso, il prelievo sarebbe efficiente, ma anche iniquo.