PRESEPIO
Significa nella storia dell'arte nel senso iconografico ogni rappresentazione della nascita di Gesù, nel senso più stretto ma più comune quelle rappresentazioni che, volendo operare più illusivamente nel riguardante, si presentano come "quadri viventi", cioè occupando una profondità reale, con figure e con particolari. Escludiamo perciò dalla trattazione le rappresentazioni in pittura. Dal suo scopo di ammaestramento religioso e di comunione immediata coi misteri della nascita del Redentore, proviene al presepio la tendenza al realismo della rappresentazione. Esso non ebbe origine dall'ordine francescano ma dalle rappresentazioni liturgiche durante l'ufficio della notte del Natale, da cui S. Francesco trasse l'idea del suo presepio di Greccio, per rinforzare l'impressione della funzione sacra nella notte di Natale. Con quella dei francescani è memorabile l'azione dei domenicani nella diffusione del presepio, e in seguito quella dei gesuiti. L'uso del presepio dovette prima nascere ed essere limitato nelle chiese; soltanto tardivamente sembra esser stato introdotto nelle case.
Il più antico presepio a noi conservato, sebbene parzialmente, è nella basilica romana di S. Maria Maggiore che, vantando anche le reliquie della sacra culla, fu detta "ad praesepe": opera di Arnolfo di Cambio, preceduta nell'arte italiana dalle Natività di Nicola Pisano, alla quale doveva dare valore illusivo la riproduzione della grotta di Betlemme.
Ma per l'Italia, la cui arte nel Trecento sviluppò altamente nella pittura l'iconografia della Natività, l'uso del presepio sembra essersi fatto popolare nella seconda metà del Quattrocento. Nel duomo di Volterra la Natività di grandi figure, della bottega robbiana, cui fa sfondo un affresco di Benozzo Gozzoli, presenta già un apparato poi frequente: poche figure principali a tutto tondo su uno scenario dipinto. In Toscana il numero dei presepî monumentali di questo tipo e di mano di valenti artisti dev'essere stato grande, com'è da supporre dai molti loro avanzi, generalmente statue della Madonna inginocchiata, di S. Giuseppe, figure del Bambino giacente. Nell'Italia settentrionale il presepio ebbe molta fortuna, trattato anche da maestri, come Guido Mazzoni (si può anche riunire ai presepî il celebre gruppo di statue del duomo di Modena), il Begarelli (Modena, duomo), i plasticatori dei gruppi dei "sacri monti" di Varallo, di Varese.
Forse dalla Toscana l'uso del presepio si propagò nel reame di Napoli, dove ne abbondano testimonianze scritte o monumentali sin dall'ultimo quarto del secolo. Importantissimo il presepio conservato almeno parzialmente a Napoli, in S. Giovanni a Carbonara (1484), con figure di legno: la rappresentazione di profeti e sibille ci attesta i legami coi "misteri" e con le sacre rappresentazioni. Non mancano le composizioni del semplice tipo toscano nel reame (per es. a Beffi e a Polignano a Mare), ma sono più caratteristiche quelle (a Matera, ad Altamura, ecc.), di cui ci è saggio anche a Maiorca, in forma di un monte con la spelonca della nascita, con i pastori, e anche più ricco con la cavalcata dei Magi sopra il monte. Questo tipo di rappresentazione ha precedenti nell'iconografia bizantina della Natività ed era stato adoperato anche da Bonanno Pisano nelle sue porte: esso nei presepî servì a lasciar moltiplicare le figure senza richiedere troppa profondità di spazio; e rimase perciò il favorito. Esso consentiva di arricchire la rappresentazione di scene secondarie, facili a collocarsi isolate. Una delle difficoltà di composizione del presepio è che non venga diminuita l'importanza visuale del posto del Bambino, necessario centro del tutto; ma corrisponde benissimo allo scopo del presepio il circondare la scena centrale con ogni varietà di vita. Ciò corrispondeva al concetto che il mistero della prodigiosa natività non si era rivelato a tutti; e anche poteva servire a porre in contrasto l'umile nascita del Redentore e la magnificenza della vita mondana. Questi temi, che probabilmente non erano stati ignorati dalle sacre rappresentazioni, furono cari specialmente all'arte dei secoli XVII e XVIII, e forse prima in Sicilia, poi a Roma e a Napoli, dove verso i primi anni del Settecento il presepio ha già conseguito il suo sviluppo più caratteristico, come probabilmente anche in Sicilia (v. più oltre). Conseguenza e, in pari tempo, condizione dell'arricchirsi della composizione del presepio e della sua diffusione popolare, fu che le figure di legno, troppo costose, vennero sostituite molte volte da manichini con le sole teste modellate in legno, in carta, in cera, rivestiti di stoffe. Era del resto questo un uso già antico, frequente nelle figure per ex voto.
Nel Settecento il presepio ebbe la sua massima diffusione: secondo il gusto del tempo fu occasione di spettacolose composizioni scenografiche entro cui le singole figure destavano piuttosto la curiosità che la commozione, composte e distratte in episodî, in scene di genere. In Portogallo, dove si facevano nel Settecento vastissimi presepî con figure e gruppi di creta, si sviluppò tutta una scuola, di cui le opere sono molto originali e spesso di particolare valore artistico. Probabilmente ne derivano anche i modellatori spagnoli di presepî in creta con piccole figure, come F. Salzillo a Murcia, R. Amadeu a Barcellona. In Italia il presepio ebbe massima voga a Genova e nel regno delle Due Sicilie.
A Napoli già sul finire del sec. XVII si passò a modellare le testine delle figure del presepio in creta, con occhi di vetro, conservando il legno per le sole parti estreme degli arti (affidate del resto ad artisti specializzati) come più soggette a urti e rotture; in terracotta si fecero anche le nature morte, il pollame, ovini, suini, mentre il legno si usava ancora quasi esclusivamente per animali grandi, che per questo conserveranno sempre un carattere di stilizzazione. La lavorazione della terracotta finì per attirare nel campo del presepio, e già parecchio prima della venuta di Carlo di Borbone, anche scultori rinomati, come Lorenzo Vaccaro (1655-1706) e il suo allievo Bartolomeo Granucci.
Carlo di Borbone, dotato di vivo sentimento religioso, propenso a tutte le manifestazioni poetiche della vita familiare, amante attivo delle arti e specialmente delle forme artigiane, fino a praticarle personalmente nelle ore di ozio, abile a far sì che le sue preferenze fossero condivise, venuto a Napoli si trovò in mezzo a un popolo che, tutto, senza distinzione di caste, aveva le stesse preferenze, donde la viva partecipazione dei reali e della corte alla pia consuetudine. Come se tanto non bastdsse, si aggiunse la fervida propaganda del popolarissimo domenicano padre Rocco, fatta a un popolo già in tutto preparato ad accoglierla, rasserenato dalla conseguita indipendenza politica e di carattere esuberante fino all'intemperanza. Si vide allora in Napoli tutto un artigianato di gioiellieri, orefici, costruttori di strumenti musicali, ceramisti, ceroplasti, intagliatori, dedicarsi, con una pazienza da certosini e con un sentimento del vero che sbalordisce, a riprodurre in proporzioni minuscole tutto quanto può occorrere alla vita di un popolo, col concorso delle regie fabbriche e manifatture, mentre nei monasteri, nella reggia, per mano della regina stessa, si lavorava a confezionare vestitini, a ricamare stoffe, ad applicare trine. Allora tutti, o quasi, gli scultori napoletani modellarono le terrecotte del presepio ravvivate da una tinta preziosa come lo smalto: in ordine di tempo, dopo Dom. Ant. Vaccaro e i due Bottiglieri, le migliori sculture sono date dalla numerosa scuola del Sammartino (1720?-1793), nella quale Salvatore di Franco, Angelo e Giacomo Viva e soprattutto Giuseppe Gori (e, attraverso il Gori, i fratelli Trilocco) riescono spesso a emulare il maestro. Alla medesima scuola è da ascrivere Nicola Somma. Emuli dei sammartiniani per valore Lorenzo Mosca, fecondissimo, col suo aiuto Genzano, e Giuseppe De Luca, la cui fama è soprattutto ben fondata nelle sculture di pollame e di natura morta. Francesco e Camillo Celebrano, Francesco Gallo e Tommaso Schettino (animalisti questi due) lavorarono, col Gori, anche nella R. Fabbrica di porcellane. Tra i migliori, sono anche Francesco Cappiello, Battista polidoro e gli animalisti Saverio Vassallo e Giuseppe Sarno. La scultura in legno non si tenne estranea al progresso artistico con Fortunato Zampini e Giuseppe Picani, che scolpirono puttini, e con Francesco Di Nardo, Nicola Vassallo, il migliore, Gennaro Reale e Carlo Amatucci, i quali scolpirono animali.
Noi possiamo giudicare del presepio settecentesco soltanto dalle piccole sculture e dai prodotti dell'artigianato che concorsero a formarlo, l'insieme, opera spesso di architetti e di pittori, aveva la vita di poche settimane, e non può essere testimoniato dalle riproduzioni, più o meno estese e felici, che ne sono state tentate. Ma appunto di quelle sculture possiamo dire, oramai per giudizio concorde, che esse rappresentano il meglio della plastica napoletana del '700. La statuaria si dibatteva tra le acrobazie e le virtuosità tecniche d'ispirazione importata, alle quali nei più mancava altresì la necessaria preparazione; per il presepio gli artisti, cambiata tecnica, spirito, stile, si posero francamente di fronte al vero, dimentichi di scuole e di accademie, chiamarono a maestra la natura ed ebbero i modelli per la loro ispirazione nel popolo vivo, specialmente nella parte più pittoresca del contado, che vollero riprodotta anche nei costumi.
Con l'alba del nuovo secolo finì la vera fioritura artistica del presepio a Napoli; i segni di vita che diede ancora durante il decennio francese erano apparenti; il favore della corte, tanto con Murat quanto con i Borboni si mantenne, ma mancava l'altro elemento del binomio, quella di Ferdinando II nel 1843 fu una ricostruzione senza eco, non una rinascita; altra ricostruzione tentata due anni dopo abortì. Arte nata con la serenità del popolo, tra la sua felicità e per la sua spensieratezza, doveva aver fine col finire di queste e cadere per motivi di ordine politico e sociale, e non per prevalenza di altra scuola. Anche la pia consuetudine, praticata ancora per un pezzo e degenerata in divagazioni sconnesse, illanguidì e quasi disparve verso la metà del sec. XIX; sorgono ora accenni di ripresa, come in altri paesi e specialmente nella Germania, dove abili scultori intendono a rianimare forme antiche.
In Sicilia, come a Napoli, lo sviluppo del presepio fu principalmente settecentesco, ma più duraturo; analoga l'iconografia. La produzione, meno eletta che a Napoli, è raccolta intorno a centri svariati, animata dall'opera di singoli artisti e non di massa.
Il grande presepio della chiesa di S. Bartolomeo a Scicli, nel suo rifacimento di carattere schiettamente napoletano (fine '600), dovette avere influenza, più che sui presepî di cera di Siracusa, sull'arte dei maestri di Caltagirone. Questi preferirono la terracotta interamente modellata e si spinsero fino a mezzo l'800 col verismo un po' crudo di Giacomo Bongiovanni.
Nella parte occidentale dell'isola, con irradiazione da Trapani, prevalse l'uso di piccoli presepî delle più svariate materie, oggetti più che altro di curiosità. Totevoli invece per senso d'arte le composizioni di Giovanni Matera, ricche di movimento, che dànno idea di un felice barocco sposato a un impressionismo vivace; le figure, spesso modellate in gruppo su unica base, hanno le vesti di grossa tela ingessata e dipinta.
V. tavv. LIX-LXII.
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