PREROGATIVA
In origine la parola ebbe valore di aggettivo e servì a qualificare quella centuria che nei comizî romani aveva diritto di essere per la prima richiesta del voto (praerogata). Nel diritto moderno, la parola, usata come sostantivo, assume varî significati e, in primo luogo, quello di privilegio, diritto o potere speciale, attribuito dalla costituzione alle persone titolari delle supreme cariche dello stato, nonché ai rappresentanti di altri stati residenti nel territorio nazionale, per il fine pubblico di garantire loro l'indipendenza e la protezione particolare, che sono necessarie al libero esercizio delle rispettive funzioni. Intorno alla prerogativa intesa in questo significato, v. in generale privilegio: Diritto pubblico; re (per le prerogative della corona); immunità (per le prerogative parlamentari e del gran consiglio); diplomazia (per quelle degli agenti diplomatici). In un altro senso, la parola, pure ancora collegandosi al concetto di una particolare indipendenza, si riferisce anziché alle persone investite di funzioni costituzionali, ad alcune di tali funzioni per loro stesse considerate: funzioni di prerogativa sono quelle nelle quali la corona non incontra i limiti ordinariamente proprî della sua attività, cioè della funzione esecutiva, né è soggetta agli ordinarî controlli giurisdizionali. Quali siano in concreto tali funzioni non è facile precisare, data l'incertezza e la disparità delle opinioni in proposito. Secondo l'antica dottrina inglese, tutti i poteri della corona si dovrebbero distinguere in due categorie: poteri espressamente attribuiti dalla costituzione e poteri dal re conservati, al di fuori di ogni norma espressa, quale continuatore del sovrano assoluto e con gli stessi caratteri che avevano presso di lui: questi ultimi costituirebbero le funzioni di prerogativa.
Tale definizione non può essere accolta per quanto riguarda l'ordinamento italiano, perché in esso ogni competenza, così del re come di ogni altra autorità, è stabilita dalla costituzione o dalle leggi costituzionali. Fra le opinioni degli scrittori italiani, non sembra potersi accettare quella di alcuni, che considerano come funzioni di prerogativa tutte quelle che non si possono ricondurre all'ordinaria amministrazione e che rispondono al concetto dell'attività politica o di governo: tale definizione non corrisponde, infatti, al significato che la tradizione attribuisce alla parola prerogativa. Sembra perciò esatto restringere il concetto di quest'ultima a quelle materie, che la costituzione attribuisce al re in modo esclusivo, cioè non limitato alla sola funzione esecutiva, ma esteso anche alla legislazione, per la quale resta esclusa in tal modo l'ordinaria competenza del parlamento. Le disposizioni più sicuramente attribuitive di prerogativa sono contenute negli articoli 78 e 79 dello Statuto: "gli ordini cavallereschi ora esistenti sono conservati: il re può creare altri ordini e prescriverne gli statuti"; "i titoli di nobiltà sono conservati a coloro che ne hanno diritto: il re può conferirne dei nuovi". Un altro esempio si è soliti indicare nell'art. 18 relativo ai poteri del re in materia beneficiaria: però, tale prerogativa sembra si sia formata in seguito a un'inesatta interpretazione, in quanto il detto articolo, attribuendo al re l'esercizio dei poteri spettanti alla potestà civile in detta materia, avrebbe inteso semplicemente di escludere la competenza degli organi giudiziari, ai quali questo esercizio era sempre appartenuto. La disposizione, a ogni modo, fu costantemente interpretata come esclusiva così della competenza giudiziaria come di quella parlamentare: essa, tuttavia, ha oggi perduto quasi ogni contenuto, dopo l'emanazione, in seguito al concordato dell'11 febbraio 1929 tra l'Italia e la Santa Sede, di varie leggi costituzionali e ordinarie sulla materia a cui si riferiva. È importante osservare che nei casi in cui la prerogativa regia trova applicazione, la posizione del re, nell'esercizio della medesima, si distingue da quella che normalmente gli appartiene, di capo e organo dello stato, in quanto egli appare piuttosto come capo e suprema autorità di altre minori organizzazioni in esso comprese: la regia corte, lo stato nobiliare, i varî ordini cavallereschi. Ciò spiega come gli atti regi emanati in forza di prerogativa assumano forme in parte diverse dagli ordinarî decreti reali e come essi, quando contengano norme generali, abbiano efficacia diversa dai consueti regolamenti. Circa quest'ultimo punto, la dottrina ha sempre ritenuto che tali norme abbiano forza di leggi formali e questo principio è stato ufficialmente affermato, nei riguardi della prerogativa in materia di titoli nobiliari, dall'art.1, lett. a, dell'ordinamento approvato con r. decr. 21 gennaio 1929, n. 61. Ciò deve intendersi nel senso che le norme emanate dal re possono abrogare e modificare tutte quelle esistenti nella stessa materia, anche se risalgano a tempi in cui il sovrano era investito della piena potestà legislativa.
Bibl.: C. Loreux, Traité de la prérogative royale en France et en Angleterre, voll. 2, Parigi 1845; A. Morelli, Il re, Bologna 1898, p. 465 segg.; A. Ferracciù, Contributo allo studio della funzione regia nel governo di gabinetto, in Filangieri, 1902; C. Dicey, Introduction in the study of the law of the constitution, Londra 1908, p. 420 segg.; G. Arangio-Ruiz, Istituz. di dir. costituzionale, Torino 1913, pp. 559-599; G. Zanobini, I poteri regi nel campo del diritto privato, ivi 1917, p. 65 segg.; E. Crosa, La monarchia nel diritto italiano, ivi 1922.