PREMIO
. Riconoscimento e approvazione di opere egregie, di azioni singolari, di prodotti eccellenti da parte di superiori, comitati, giurie, che assegnano anche speciali ricompense, in denaro, medaglie, diplomi. Le premiazioni dei vincitori di gare sono antiche e venivano celebrate, specialmente in Grecia, con molta solennità, come sanzione pubblica del merito conquistato con l'uso sapiente della forza e dell'agilità, e come incitamento ai giovani a sempre più prepararsi a quei nobili cimenti. Diderot attribuì alle premiazioni solenni un grande valore educativo per il popolo. In Italia, il fascismo ha rinnovato e reso più frequente l'uso del premio come riconoscimento ufficiale degli sforzi compiuti e delle mete raggiunte nelle diverse forme dell'attività umana.
Mentre nessuno pone in dubbio il valore sociale del premio per gli adulti, vi è chi ha negato e nega ogni efficacia educativa al premio scolastico, quando non arrivi a considerarlo come corruttore.
In tal modo si porta alle estreme conseguenze una dottrina morale, in sé giusta, che fa consistere il valore dell'azione nella volontà buona, senz'alcuna preoccupazione utilitaria, senza alcun turbamento emotivo. Ogni teoria morale che si proponga come fine un interesse pratico, l'utile, il piacere, la felicità, è, in fondo, contaminata dall'egoismo. E l'azione, perché sia morale, deve avere in sé i caratteri dell'universalità, dev'essere cioè determinata da una massima che si possa e si debba porre come legge obiettiva. È quindi da considerare lecita solo la soddisfazione che si prova nel compiere il proprio dovere. E a ciò bisogna che sia diretta tutta l'azione educativa del maestro verso l'alunno. Per il quale il migliore premio consisterà nel riconoscimento, che gli sarà di sprone a far sempre meglio. Giusta, quindi, la teoria che riduce ogni forma di premio alla lode e all'approvazione da parte del maestro.
Ma la scuola non può estraniarsi dalla vita, e nessuno può mettere in dubbio quanto sia efficace un premio consegnato dalle mani di un'autorità, che sanzioni pubblicamente il singolare merito conseguito mediante sforzi tenaci, e stimoli gli altri a rendersene degni.
Né si può considerare come vera l'obiezione di quelli che attribuiscono al premio questo effetto pernicioso, di aumentare l'orgoglio nell'anima del vincitore e destare invidia in quella degli esclusi. Come se in fondo al cuore degli uomini, e specialmente in quello dei ragazzi, non vi fosse un sentimento di giustizia, che li spinge a valutare le azioni altrui e anche le proprie. Se invece d'interrogare il maestro, si chiedesse agli scolari chi tra loro è il primo della classe, essi lo indicherebbero subito, senza fallire. Ebbene, il giudizio del maestro sul valore dell'alunno dev'essere prudente, sereno, giusto, non turbato da preoccupazioni personali, ma desunto dalle prove continue di zelo operoso, di fede viva, di forza tenace con cui quegli adempie i suoi doveri. E allora il premio non corrompe, ma esalta e vivifica.