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PREISTORIA

di Alberto Cazzella, Daniela Zampetti, Claude Albore Livadie - Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)
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Preistoria

Parte introduttiva

di Alberto Cazzella

Negli anni Novanta del 20° sec. gli studi sulla p. hanno avuto un notevole sviluppo sia dal punto di vista della riflessione teorica (v. paletnologia), sia da quello dei metodi applicativi e delle ricerche sul terreno. Una volta sostanzialmente definita la cornice cronologica dei diversi aspetti culturali, grazie anche all'utilizzazione sempre più diffusa di metodi di datazione, l'attenzione si sta maggiormente incentrando sulla ricostruzione, attraverso i resti archeologici, dei comportamenti umani specifici dei vari contesti. Questi ultimi, a loro volta, costituiscono la base per definire, con i limiti imposti dalla disponibilità dei dati, l'organizzazione sociale, economica e ideologica di una determinata entità culturale, nel quadro dei più ampi processi storici in cui si colloca. Per arrivare a ricostruire tali comportamenti è necessario non abbandonare del tutto, ma lasciare in secondo piano la tradizionale analisi tipologico-stilistica, per dare spazio all'indagine funzionale, sia di carattere pratico sia simbolico, dei manufatti. Questi ultimi devono essere intesi nel senso più ampio possibile del termine: non solo oggetti mobili, ma anche strutture, elementi naturali utilizzati dall'uomo e tutte le modifiche, per quanto minime, apportate al mondo fisico dall'azione antropica, che abbiano lasciato tracce riscontrabili a livello archeologico. In questo senso lo studio della tecnologia, sia per quel che riguarda la produzione che l'uso dei manufatti, compresi i segni lasciati sul terreno da attività con elevato valore simbolico (rituali funerari, azioni cultuali ecc.), costituisce attualmente un punto centrale della ricerca sulle società della preistoria. A questo scopo si vanno potenziando tecniche di analisi che, se hanno in genere ormai un'ampia tradizione, sono oggetto di continuo rinnovamento. Tra queste si possono ricordare gli studi delle tracce lasciate dalla produzione e dall'uso sui manufatti, utilizzando in modo ricorrente esami microscopici e repliche sperimentali volte a riconoscere le reazioni dei differenti materiali sottoposti ad azioni di diverso genere. Anche la ricerca etnoarcheologica, intesa in senso stretto come studio di gruppi umani che utilizzano tecnologie tradizionali al fine di capire come le loro attività si trasformino in tracce archeologiche, è indirizzata in tale direzione. In questo modo si possono ottenere informazioni su prodotti che normalmente non si conservano, come la pelle o il legno, o di cui comunque non conosciamo direttamente tutto lo spettro di funzioni, come, per es., i manufatti in metallo che risultano essere stati impiegati, già in fasi iniziali dell'utilizzazione di tale materia prima, per la lavorazione dell'osso e del corno. A questi studi si accompagnano le ricerche sui microresidui organici conservati nei manufatti stessi (dai contenitori ceramici agli strumenti in selce) e le ricerche sull'ergonomia, le dimensioni, la funzionalità di forme connesse con diversi tipi di elementi, come, di nuovo, i recipienti ceramici o le cuspidi e le lame d'ascia. È evidente che in tutte queste ricerche l'apporto delle discipline naturalistiche applicate all'archeologia è di notevole rilievo ed è molto cresciuta negli ultimi anni la reciproca attenzione degli specialisti dei diversi settori a capire da un lato le finalità storiche che ci si pongono utilizzando esami di questo tipo e dall'altro le potenzialità e i limiti dei metodi di analisi stessi. Di particolare interesse tra queste ricerche applicate sono attualmente le analisi di chimica organica che, oltre all'individuazione dei microresidui nei manufatti, possono contribuire in modo diversificato a estendere le nostre conoscenze sulle attività dei gruppi della p. (quali la concimazione dei terreni agricoli, l'utilizzo di coloranti, profumi, collanti, rivestimenti organici ecc.) che utilizzavano ampiamente materiali diversi da quelli inorganici meglio conosciuti, come la pietra, la ceramica e il metallo.

Un campo di indagine promettente, ancora allo stadio iniziale e legato agli 'attori', più che alle azioni compiute, è quello connesso con le analisi del DNA antico e degli isotopi stabili, in relazione ai resti antropologici, per ricerche che possono andare dai problemi di genetica delle popolazioni, connessi con gli spostamenti di piccoli gruppi umani, a quelli su scala locale e temporale ridotta, collegati, per es., con le relazioni di parentela biologica tra gli individui deposti in una necropoli.

L'insieme di queste indagini non esaurisce il campo delle moderne ricerche di p., ma fornisce i dati di partenza per ulteriori analisi volte a comprendere le modalità di svolgimento delle diverse attività e, per quanto è possibile, desumere dall'insieme del contesto, il relativo significato. A tale proposito si vanno sempre più sviluppando gli studi sulla distribuzione spaziale dei manufatti, sempre preceduti da quelli di carattere funzionale, in modo che il quadro distributivo sia connesso con dati altamente informativi ai fini della ricostruzione delle operazioni svolte in uno specifico ambito. La finalità di tali analisi è pertanto quella di arrivare a definire cicli di attività, considerati nel loro contesto spaziale e di sequenza temporale delle azioni funzionalmente connesse, svolte anche in più luoghi da un determinato gruppo umano della preistoria. L'utilizzazione di tecniche informatiche come il Geographic Information System (GIS) può essere vantaggiosa solo se sono significativi gli elementi presi in esame e le unità spaziali considerate.

I risultati di queste ricerche devono quindi costituire la base per affrontare il problema della ricostruzione complessiva dell'organizzazione interna di un gruppo umano, dei suoi rapporti con l'ambiente e con i gruppi adiacenti, delle sue trasformazioni. Questo ulteriore passo del procedimento conoscitivo (in cui ci si deve distaccare maggiormente dai risultati di analisi fondate sul presupposto che le attività antropiche di cui abbiamo traccia sono quelle in grado di alterare il contesto naturale, restando impresse in esso) è quello più difficile, sul quale anche le ricerche degli ultimi anni non sono riuscite a dare risposte univoche. Dopo l'ottimismo nomotetico della New Archaeology degli anni Sessanta e Settanta del 20° sec., basato sulla prospettiva di poter definire leggi generali di comportamento culturale, e il relativismo dell'indirizzo postprocessuale, secondo il quale ogni interpretazione dei dati può essere ugualmente accettabile, negli ultimi anni sembra prevalere una tendenza a procedere per mezzo di ipotesi specifiche per un determinato contesto, cercando di valutare gli elementi che possono rafforzarle o, al contrario, farle respingere.

La ricerca sul campo

La p. è un settore di indagine così vasto e relativamente poco conosciuto che nuove scoperte sono in grado di modificare continuamente i nostri tentativi di fornire un panorama complessivo delle diverse regioni nei vari periodi. Non è possibile citare anche solo le principali ricerche sul campo che, negli anni Novanta del 20° sec. e nei primi anni del 21°, hanno apportato nuove conoscenze per la p., ma si possono ricordare alcune situazioni esemplificative per diversi momenti e contesti, con specifico riferimento all'Europa.

Il rinvenimento a Dmanisi, in Georgia, di resti umani riferibili a Homo erectus, che risalgono a circa 1,8 milioni di anni fa, costituisce un'importante acquisizione oltre che dal punto di vista paleontologico, (v. paleoantropologia), anche da quello culturale. Non solo infatti sono stati rinvenuti in associazione con essi strumenti in pietra e ossa di animali con segni di taglio lasciati da questi strumenti, ma in particolare uno dei crani, riferibile a un individuo anziano, indica che tale individuo era riuscito a sopravvivere per molti mesi dopo la completa caduta dei denti. Questo fa pensare che per la sua alimentazione sia stato aiutato da altri membri del gruppo rivelando quindi un comportamento di coesione sociale inatteso per un periodo così antico.

Per fasi più avanzate del Paleolitico si può ricordare la scoperta di nuovi importanti cicli di arte parietale: in Francia dopo la grotta di Chauvet (v. oltre) è stata esplorata quella di Cussac (v. oltre), dove sono state rinvenute anche sepolture.

Di particolare interesse sono i risultati degli scavi nell'area sacra megalitica di Tas-Silg, a Malta; i templi maltesi a pianta polilobata, costruiti tra il 3500 e il 2500 a.C., sono noti da molto tempo, ma non vi si conducevano ricerche sul terreno da quarant'anni. Gli scavi condotti tra il 2003 e il 2005 hanno rivelato l'esistenza, al di fuori dei templi, di complesse strutture a pianta quadrangolare, con presenza di gradinate, piattaforme sopraelevate, ambienti semiipogei, che contribuiscono a rafforzare l'impressione di elevate capacità di progettazione e realizzazione in rapporto con queste articolate aree cultuali, che non hanno confronti nel Mediterraneo.

Un caso eccezionale di conservazione di resti preistorici, riferibile a un momento più avanzato, intorno al 1750 a.C., è costituito dalle strutture messe in luce in località Croce del Papa, nei pressi di Nola (v. oltre), coperte dai prodotti dell'eruzione vesuviana delle Pomici di Avellino, che ebbe caratteristiche analoghe a quella ben nota del 79 dopo Cristo. Questa situazione fuori dal comune, così come avvenne all'inizio degli anni Novanta in seguito al ritrovamento del cosiddetto Uomo del Similaun (riferibile alla seconda metà del 4° millennio a.C.: era conservato nel ghiaccio insieme con gli elementi organici che lo accompagnavano), non può essere usata direttamente per proiettare su altri contesti tutti i dati acquisiti da essa, ma con analisi adeguate può fornire una serie di informazioni non altrimenti disponibili che arricchiscono fortemente il quadro delle modalità di vita e della sfera cognitiva di una comunità della prima età dei Metalli.

Appare infine utile ricordare un altro tipo di situazione dell'età del Bronzo, quella correlata con la messa in luce delle più antiche testimonianze dirette (collocabili tra il 1700 e il 1000 a.C. ca.) di un insediamento sul Campidoglio (v. roma: Preistoria). Questa scoperta appare fortemente connotata per motivi del tutto diversi: data la particolarità del contesto (la sede del gruppo umano i cui successori ci hanno lasciato uno dei maggiori insiemi di informazioni scritte relative a una società antica), ci si deve confrontare con i racconti tramandati dalle fonti dei secoli successivi. È noto il recente tentativo di utilizzare tali fonti come documenti di una memoria storica trasmessa oralmente per lungo tempo prima di essere registrata per iscritto, relativa a fasi molto più antiche. I rinvenimenti archeologici possono fornire ora una base consistente non solo per il dibattito sulle origini di Roma, ma anche più in generale per cogliere meglio il rapporto tra testi e dati di scavo, in una situazione in cui è molto ampio l'intervallo temporale che separa i primi dai fenomeni storici descritti.bibliografia

J. Wood, Food and drink in European prehistory, in European journal of archaeology, 2000, 3, 1, pp. 89-111.

Form, function & context, ed. D. Olausson, H. Vandkilde, Stockholm 2000.

J. Evans, G. Recchia, Pottery function: trapped residues in Bronze Age pottery from Coppa Nevigata (Southern Italy), in Scienze dell'antichità, 2001-2003, 11, pp. 187-201.

Ethno-archaeology and its transfers, ed. S. Beyries, P. Pétrequin, BAR International series 983, Oxford 2001.

Analisi informatizzata e trattamento dati delle strutture di abitato di età preistorica e protostorica in Italia, a cura di C. Peretto, Firenze 2002.

Experimental archaeology. Replicating past objects, behaviors and processes, ed. J.R. Mathieu, BAR International series 1035, Oxford 2002.

Archeologie sperimentali, a cura di P. Bellintani, L. Moser, Trento 2003.

M. Cave, The role of chemical markers and chemometrics in the identification of grasses used as food in pre-agrarian South West Asia, BAR International series 1277, Oxford 2004.

Grotta Chauvet

di Daniela Zampetti

Segnalata nel 1994 da un gruppo di speleologi, di cui faceva parte J.-M. Chauvet, la grotta ha immediatamente portato alla ribalta la regione dell'Ardèche, fino ad allora centro minore per la conoscenza dell'arte parietale paleolitica. La sua eccezionalità è dovuta essenzialmente a tre fattori. Il primo è costituito dall'ottimo stato di conservazione di tutte le tracce lasciate dagli antichi frequentatori. Si è infatti verificato un crollo che, intorno a 20.000 anni fa, ne ha ostruito l'ingresso impedendo il deterioramento dei suoi preziosi documenti. Il secondo è rappresentato dal tipo di progetto attuato per lo studio. È stata realizzata una ricerca pluridisciplinare di avanguardia che coinvolge più di trenta specialisti, impegnati ad analizzare e ricostruire nei minimi dettagli la storia del sito, dal suo processo di formazione fino al complesso e raffinato lavoro di decorazione. Il terzo fattore è il risultato dell'applicazione di nuove tecniche di datazione al 14C alle pitture preistoriche. Queste nuove tecniche, finora utilizzate per un limitato numero di grotte paleolitiche decorate, hanno rivoluzionato il tradizionale approccio alla cronologia delle opere d'arte parietale paleolitiche basato soprattutto su elementi stilistici. Consentono infatti di datare campioni microscopici di materiale organico e dunque sono applicabili direttamente alle pitture eseguite con pigmenti a base di carbone di legna. Alcune delle pitture nere di Chauvet risalgono all'inizio del Paleolitico superiore, sfatando così l'idea di un lento e graduale emergere dell'attività artistica, dopo una fase iniziale caratterizzata da un forte schematismo e da sporadici esempi di naturalismo figurativo. Gli artisti aurignaziani, penetrati fra 32.000 e 30.000 anni fa nella grotta, ne hanno percorso buona parte accampandosi temporaneamente per eseguire una serie di raffigurazioni che attestano un elevato livello di maturità artistica. Un'ulteriore esplorazione, tra 27.000 e 25.000 anni fa, da parte di componenti di un gruppo di cultura gravettiana, non sembra invece legato a intenti decorativi. Tuttavia, l'attività artistica si è svolta in più fasi, che includono anche delle incisioni, come si è potuto rilevare in alcuni punti, quindi l'inquadramento cronologico complessivo è ancora in corso di definizione.

Il ricco patrimonio figurativo, che si dipana lungo l'articolata sequenza degli ambienti sotterranei, ammonta a più di 400 figure zoomorfe, attribuibili a 14 specie, diverse impronte di mani e simboli riferibili all'immagine femminile. Si tratta di un archivio straordinario che illustra soprattutto le grandi faune selvagge caratteristiche dell'epoca: mammut, rinoceronti lanosi, cavalli, uri, bisonti, cervi megaceri e felini. Questi ultimi, con 75 soggetti raffigurati, costituiscono a oggi il più ricco complesso di immagini di questi temibili predatori. Le figure datate direttamente sono: due rinoceronti lanosi affrontati, un uro in corsa, un cervo megacero e un bisonte. Le varie specie sono ritratte in pose realistiche (rinoceronti affrontati) e spesso sono raggruppate a formare dei branchi (pannello dei cavalli, alcova dei leoni, pannello delle renne), utilizzando complesse convenzioni grafiche. A questo proposito, un importante incremento delle conoscenze sulle tecniche artistiche del Paleolitico deriva dagli studi tecnologici, che mirano alla ricostruzione delle fasi di esecuzione delle decorazioni. A Chauvet, attraverso il meticoloso lavoro di analisi condotto sui soggetti che compongono il cosiddetto pannello dei cavalli, è stato possibile discernere una preparazione preliminare del tratto di parete rocciosa da decorare e l'impiego di una tecnica mista che associa pittura (tratto, sfumato) e incisione.

bibliografia

J. Clottes, J.-M. Chauvet, E. Brunel-Deschamps et al., Les peintures paléolithiques de la grotte Chauvet-Pont-d'Arc, à Vallon-Pont-d'Arc (Ardèche, France): datations directes et indirectes par la méthode du radiocarbone, in Comptes rendus de l'Académie des sciences, 1995, 320, 2° serie, pp. 1133-40; La grotte Chauvet. L'art des origines, éd. J. Clottes, Paris 2001.

N.J. Conard, Palaeolithic ivory sculptures from southwestern Germany and the origins of figurative art, in Nature, 2003, 426, pp. 830-32.

La grotte Chauvet à Vallon-Pont-d'Arc: un bilan des recherches pluridisciplinaires, Actes de la séance de la Société préhistorique française (11-12 oct. 2003-Lyon), éd. J.-M. Geneste, in Bulletin de la Société préhistorique française, 2005, 102, 1.

Grotta Cussac

di Daniela Zampetti

La grotta, localizzata in Dordogna, è stata scoperta da un gruppo di speleologi nel settembre del 2000. In realtà si è trattato di una riscoperta poiché negli anni Cinquanta del secolo scorso il sito era stato segnalato da D. Peyrony, senza però essere sottoposto a ulteriori, approfondite ricerche. Lo studio dei dati è ancora in corso, ma è evidente il grande interesse di questo contesto che si caratterizza per l'associazione tra arte parietale e rituali funerari di tipo inedito. Come molti altri siti con arte rupestre paleolitica della regione francese, la cavità ha origini carsiche e si configura come una galleria sotterranea, che rappresenta il segmento fossile del corso di un affluente del fiume Dordogne. È lunga complessivamente 1600 m e non è ovunque facilmente percorribile. Il suolo e le pareti sono in parte ricoperti da concrezioni, originate dalla presenza di acqua. Tra gli antichi frequentatori del sito si annovera anche l'orso delle caverne che ha lasciato molteplici tracce, soprattutto sotto forma di unghiate e di tane. L'inquadramento cronologico non è agevole anche perché i pochi manufatti di selce e l'unico manufatto in corno di renna sono riferibili sia al Paleolitico superiore medio (Gravettiano) sia al Paleolitico superiore finale (Maddaleniano). Un indizio importante a favore dell'attribuzione al Gravettiano di molte delle testimonianze antropiche proviene dalla presenza nello stesso territorio di diversi insediamenti gravettiani, tra cui il sito eponimo di La Gravette a Bayac. Questi indizi sono peraltro avvalorati dalla datazione di alcuni reperti antropologici e dai caratteri stilistici del repertorio iconografico.

Le decorazioni, consistenti in più di 150 raffigurazioni incise distribuite nella sezione mediana della galleria, sulle pareti e sul suolo, illustrano le faune dell'epoca: mammut, rinoceronti lanosi, stambecchi e soprattutto cavalli e bisonti. Si aggiungono uccelli, silhouette femminili, simboli sessuali, elementi pisciformi nonché rari motivi geometrici, mentre non mancano alcune figure zoomorfe di difficile interpretazione e dei tracciati digitali in posizioni marginali. Le esigue tracce di pittura sono rappresentate da punti di colore rosso.

Le figure incise sono organizzate in nove pannelli formati da un complesso intreccio di soggetti sovrapposti, alcuni dei quali di dimensioni notevoli come il bisonte del Grand panneau lungo 4 m circa. L'impatto visivo è dato sia dalla dimensione delle singole figure sia dal rilievo che il segno grafico acquista sullo sfondo del supporto roccioso, sufficientemente resistente per conservare in maniera ottimale i tracciati e nello stesso tempo abbastanza morbido per agevolare l'esecuzione delle incisioni. Questi due elementi conferiscono al complesso un carattere unico nel panorama dell'arte paleolitica europea. Il tipo di prospettiva utilizzato, per es. la prospettiva biangolare (corpo di profilo e corna frontali) e le associazioni spaziali e tematiche (per es., il binomio donna-mammut), trova riscontro nell'arte della regione del Quercy e in particolare nella grotta di Pech-Merle, che racchiude pitture nere, datate al 14C intorno a 24.000 anni fa. La funzione 'religiosa' del sito, definito santuario alla stregua di altre grotte ornate dove le tracce di insediamento sono scarse, sembra in questo caso ribadita dalla presenza di quelle che si potrebbero chiamare deposizioni di defunti sul suolo della parte di galleria più vicina all'ingresso. In tre casi i defunti sembrano essere stati adagiati sul fondo delle tane a fossa degli orsi. Gli scheletri, in parte disarticolati e incompleti, sono in numero di cinque, appartengono a quattro adulti e un adolescente e, a un esame preliminare, sembrano attribuibili a Homo sapiens. Una delle date, ottenute tramite la datazione al 14C di alcuni campioni ossei, che si aggira intorno a 25.000 anni fa, viene ritenuta valida e coerente con le altre informazioni raccolte, che nel loro complesso delineano un contesto di tipo gravettiano.

bibliografia

D. Peyrony, Notes sur quelques petits gisements préhistoriques, in Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 1950, 77, pp. 55-57.

A. Leroi-Gourhan, Préhistoire de l'art occidental, Paris 1986.

M. Lorblanchet, Les grottes ornées de la Préhistoire: nouveaux regards, Paris 1995.

N. Aujoulat, J.-M. Geneste, Ch. Archambeau et al., La grotte ornée de Cussac Le Buisson-de-Cadouin (Dordogne), in L'art du paléolithique supérieur, Actes du xiv Congrès de l'Union internationale des sciences préhistoriques et protohistoriques, Colloque 8.2, 2001, éd. M. Lejeune, A.-C. Welte, Liège 2004, pp. 45-53.

Nola-Croce del Papa

di Claude Albore Livadie

Verso il 18° sec. a.C. le pianure intorno al Monte Somma e al Vesuvio e parte dei rilievi dellfurono devastati da una eruzione pliniana, molto simile alla catastrofe che nel 79 d.C. distrusse Pompei, Ercolano e altri insediamenti minori di età romana. Nei settori a est del vulcano, la distruzione fu dovuta prevalentemente al seppellimento da parte di pomici bianche e grigie di caduta che giunsero a distanze superiori a 60 km dal cratere. Nei settori occidentali, fino a una distanza di 25 km ca., predominò l'effetto devastante dei flussi piroclastici. Gli ingenti depositi distrussero i villaggi della civiltà di Palma Campania, ricoprirono i campi e decimarono gli animali. Una parte della popolazione morì nelle prime ore dell'eruzione, come documenta il rinvenimento di due individui adulti a S. Paolo Belsito. Nel settore a nord-est della piana, la dinamica dell'eruzione portò a una situazione differente da quella degli insediamenti inondati da miscele di gas e particelle solide (surge) o sepolti dalle pomici. Parte del Nolano, e in particolare il villaggio nella località Croce del Papa, che si trovava al margine dell'area di ricaduta delle pomici bianche, furono risparmiati dalla fase iniziale della furia eruttiva. Agli abitanti fu concesso un provvidenziale arco di tempo utile per la fuga, prima che nella fase più violenta le capanne venissero ricoperte parzialmente da una coltre di pomici grigie. Prima di esaurirsi, l'eruzione riversò ancora nella zona frammenti litici e lapilli fini che, alternati a episodi di pioggia, si trasformarono in fango cineritico. Seguirono importanti fenomeni di alluvionamento che investirono in pieno l'area del villaggio. Le colate di fango si spinsero lentamente all'interno delle capanne, ora più basse del nuovo piano di campagna. Si deve a questo accumulo fluido, consolidatosi con il raffreddamento, il provvidenziale rinforzo della struttura portante delle stesse e la realizzazione dell'impronta fedele degli elementi presenti nei vari ambienti. Scaglionati nel tempo, gli ultimi sovralluvionamenti ricoprirono il villaggio, salvaguardandolo, come Pompei, da ogni tipo di distruzione.

Gli scavi archeologici, condotti dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta immediatamente dopo la scoperta avvenuta nel 2001, hanno messo in luce, a più di 6 m di profondità dal moderno piano di campagna recinti, tettoie (una sopra una gabbia con all'interno delle pecore, un'altra a protezione di una depressione acquitrinosa), parte delle strutture comunitarie (aia, pozzi) e tre capanne simili per la forma (a ferro di cavallo e con il tetto che scende fino a terra), ma non per le dimensioni (struttura 4: 15,60×4,30-4,60 m, altezza: 4,5 m; struttura 3: 15,20×9 m, altezza: 5 m; struttura 2: 7,50×4,50 m, altezza: 4,50 m ca.). Le capanne erano divise da tramezzi di tavole in due o tre ambienti comunicanti. All'interno vi erano focolari (capanna più piccola) o piastre di cottura associate a forni di tipo a volta (capanne più grandi). Oltre ai numerosi vasi di impasto sono documentati anche recipienti di legno, canestri di vimini e utensili d'uso quotidiano. Alcuni grandi contenitori erano colmi di spighe di cereali (Triticum dicoccum: farro, Triticum monococcum: farricello, Hordeum vulgare: orzo, Panicum miliaceum: miglio). La presenza di vinaccioli di Vitis sp., di gusci di nocciola, di una ghianda, di un frammento di nocciolo di oliva e, fatto eccezionale, di una mandorla, riflette la varietà della dieta. I resti carnei di pasto sono riferibili principalmente a ovicaprini (Ovis e Capra), suini (Sus scrofa), in minore percentuale, a bovini (Bos taurus) e al cervo (Cervus elaphus). Scarsi sono gli elementi anatomici appartenenti al cane (Canis familiaris) e a uccelli. Il ritrovamento di intere porzioni scheletriche di bovino e di suino, quali scapole e costole, semplicemente disarticolate e non recanti tracce di macellazione o di taglio, appese a pali o a travi interni, lasciano supporre pratiche di essiccazione e/o di affumicamento. Alcuni micromammiferi, una lucertola, vari anfibi, un cane maschio adulto e tredici pecore, quasi tutte gravide, sono stati, invece, sepolti vivi dall'eruzione.

bibliografia

C. Albore Livadie, A first Pompeii: the Early Bronze Age village of Nola-Croce del Papa (Palma Campania phase), in Antiquity, 76, 2002, pp. 941-42.

Nola. Quattromila anni fa. Il villaggio del Bronzo antico distrutto dal Vesuvio, Nola 2002 (catalogo della mostra).

C. Albore Livadie, E. Castaldo, N. Castaldo et al., Sur l'architecture de la cabane n. 4 de Nola (Croce del Papa), in Architectures protohistoriques en Europe occidentale du Néolithique final à l'âge du Fer, Actes du 127ème congrès des sociétés historiques et scientifiques, Nancy 2005, pp. 487-512.

C. Albore Livadie, G. Vecchio, Il villaggio di Nola-Croce del Papa (Napoli) nel quadro della facies culturale di Palma Campania (Bronzo antico), Istituto Italiano Preistoria e Protostoria, 2005, pp. 7-54.

Vedi anche
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  • PREISTORIA
    Enciclopedia Italiana (1935)
    Arnaldo MOMIGLIANO . A stretto rigore, la nozione di "preistoria" si dissolve in quella di "storia"; ma la distinzione tra i due termini e i due concetti ha un senso, in quanto al disotto del periodo della storia umana ricostruibile nelle sue linee essenziali per mezzo dei documenti con sufficiente ...
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Vocabolario
preistòria
preistoria preistòria s. f. [comp. di pre- e del lat. (h)istoria «storia», ma coniato sul prec. preistorico o come calco dell’ingl. prehistory]. – 1. Il periodo cronologico che precede la storia dell’umanità e dei varî gruppi umani; in...
preistòrico
preistorico preistòrico agg. [dall’ingl. prehistoric, comp. di pre- e historic «storico»] (pl. m. -ci). – 1. Della preistoria, che si riferisce, o che appartiene alla preistoria: età, civiltà p.; popolazioni p.; l’uomo p.; ritrovamenti,...
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