predoni
D. pone i p. e i guastatori, violenti contro gli averi del prossimo, nel primo girone del settimo cerchio, insieme con gli omicidi e i tiranni. L'analogia della colpa è affermata nel canto XI dell'Inferno (Morte per forza e ferute dogliose / nel prossimo si danno, e nel suo avere / ruine, incendi e toilette dannose; / onde omicide e ciascun che mal fiere, / guastatori e predon, tutti tormenta / lo giron primo per diverse schiere, vv. 34-39), e ne consegue l'identità della pena, pur differenziata. I violenti contro il prossimo e le sue cose sono difatti tutti immersi nel Flegetonte (o bulicame, come lo chiama D., per la sua somiglianza col Bulicame presso Viterbo, If XIV 79), ma mentre tiranni quali Alessandro, Dionisio fero, Ezzelino da Romano e Opizzo d'Este (v.) sono tuffati nel sangue bollente fino al ciglio, un omicida quale Guido di Montfort fino alla gola, altri omicidi fino al petto o soltanto alle caviglie, i p., come altri tiranni più scellerati di quelli compresi nel primo gruppo e rei di violenze rivolte oltre che contro il prossimo anche contro i suoi possessi e averi (Attila " flagellum Dei ", il creduto distruttore di Firenze; Pirro re dell'Epiro terribile ai nemici e distruttore dei loro beni, salvo che non si tratti di Pirro Neottolemo figlio di Achille; Sesto Pompeo famoso per le sue azioni di pirateria), sono totalmente immersi nel fiume infernale.
Si è ritenuto che D. abbia tratto l'idea dell'immersione differenziata dalla Visio Sancti Pauli, nella quale peraltro il supplizio si applica agl'ignavi (in altre scritture sull'oltretomba ai lussuriosi), e dove non di un fiume di sangue bollente si tratta, ma di un fiume di fuoco. In proposito il Gmelin osserva che solo nella visione di Carlo il Grosso (sec. X) la pena è applicata ai tiranni. In D. è evidente il collegamento del sangue del Flegetonte col sangue versato dai violenti, i quali tutti sono vigilati e anche saettati dai centauri, introdotti dal poeta nel suo oltretomba cristiano appunto in virtù della loro ferina violenza: costoro, secondo il mito amanti della rissa e della rapina, sono i più degni custodi di quei peccatori, e insieme simbolo delle loro colpe. Fra i p., che con gli omicidi e i tiranni sono mostrati a D. dal centauro Nesso, da Chirone investito del compito di scortare i due poeti, sono espressamente ricordati due famosi rubatori: Rinieri da Corneto e Rinier Pazzo (XII 137), cui la divina giustizia, dice il poeta con efficace e ardua metafora, in etterno munge / le lagrime, che col bollor diserra (vv. 135-136).
Contemporaneo di D. è il primo dei due, e tristemente noto per le sue rapine e le sue ruberie nell'Agro romano. L'Ottimo, ad es., lo dice " uomo crudelissimo e di pessima condizione, e ladrone famosissimo ne' suoi dì, gran parte della Marittima di Roma tenendo con le sue perverse operazioni e ruberie in tremore ". Appartiene invece alla generazione precedente a quella del poeta l'altro Rinieri, dei Pazzi di Valdarno (distinti da quelli di Firenze), famigerati ghibellini, noti per le loro prevaricazioni e i loro soprusi.
V. PAZZI, Ranieri de'; Rinieri da Corneto.
Bibl. - Sulla colpa inerente alla ‛ forza ' e ai violenti in generale, v. E. Moore, The classification of Sins, ecc., in Studies in D., II, Oxford 1899; F. D'Ovidio, La topografia morale dell'Inferno, in Studi sulla D.C., I, Caserta 1931, passim; B. Nardi, Il c. XI dell'Inferno, Roma 1951. Tra le più notevoli letture del c. XII dell'Inferno, v. F. Pellegrini, Firenze 1907; G. Mazzoni, ibid. 1907 (poi in Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 221-238); U. Bosco, in Tre letture dantesche, Roma 1942 (poi in Lett. Dant. I 211-219; ora in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 237-254); F. Figurelli, in Lect. Scaligera I 393-419. Su Rinier Pazzo, v. E. Regis, Una legge fiorentina inedita contro Rinier de' Pazzi, Torino 1912 (e Barbi, Problemi I 268).