predicato
Dal lat. tardo praedicatum, trad. del gr. κατηγορούμενον «detto, asserito». Ciò che si predica, cioè si afferma o si nega intorno a un soggetto. Aristotele, analizzando nelle sue opere logiche la forma più elementare dell’espressione linguistica, con la quale si enuncia un qualsiasi stato di fatto, una qualsiasi nozione o opinione o verità, ne identifica due elementi: ciò che si enuncia, e ciò in rapporto a cui lo si enuncia. Egli chiama questo ultimo ὑποκείμενον, subiectum «soggetto» (in quanto termine «sottoposto» all’attività enunciatrice che lo investe), e l’altro κατηγορούμενον, praedicatum «predicato» (o anche κατηγόρημα «predicazione, categorema»), cioè prodotto dell’attività del κατηγορεῖν «enunciare, asserire». Soggetto e p. vengono quindi a essere quei due ‘termini’ della proposizione, che già Platone aveva chiamato «nome» (ὄνομα) e «verbo» (ῥῆμα), comprendendo in quest’ultimo tanto quello che poi fu più propriamente detto p. verbale, quanto quello che invece fu detto p. nominale, costituito dalla «copula» e dal «predicato» in senso stretto.
Si intende generalmente per p. un’espressione linguistica designante una proprietà (extralinguistica) di oggetti o individui (per es., «bianco», «grande», ecc.) e che, applicata a un termine singolare, forma un enunciato che attribuisce la proprietà designata dal p. all’oggetto denotato dal termine (per es., «la Terra è grande»). Secondo Russell (Principia mathematica, 1910-12), che elaborava nozioni introdotte da Frege, un p. corrisponde a una funzione proposizionale monadica, ossia alla funzione a un solo argomento designata dallo schema d’enunciato (o enunciato aperto) ottenuto sostituendo il termine singolare con una variabile individuale in un enunciato predicativo (per es., «x è grande», o, in simboli, Gx). Tale funzione (che equivale a una proprietà o a una classe) è soddisfatta da oggetti del dominio della variabile indipendente e i suoi valori possono essere proposizioni o valori di verità (Vero o Falso). A differenza della logica tradizionale di origine aristotelica, la logica contemporanea consente di formulare non soltanto enunciati della forma soggetto-p., ma anche enunciati che esprimono relazioni tra due o più individui (per es., «a è più grande di b», «e si trova fra c e d»), da cui si ricavano funzioni proposizionali diadiche o n-adiche. A questo potenziamento dell’analisi della struttura logica degli enunciati rispetto alla logica aristotelica, basata sulla metafisica dell’inerenza, e perciò limitata agli enunciati consistenti nell’attribuzione di una proprietà espressa da un p. a un soggetto, miravano fra l’altro le teorie di Frege e di Russell allorché unificavano proprietà e relazioni nella nozione di funzione a n argomenti (con n = 1 nel caso di proprietà), soddisfatta da n-uple di individui. Sulla base della formale equiparazione di proprietà e relazioni, che si distinguono soltanto per il fatto che queste ultime valgono non per individui ma per coppie, triple o n-uple ordinate di individui, un p. viene comunque più correntemente definito come un simbolo per una proprietà (e si dice p. monadico o a un posto), per es., «essere bianco», o per una relazione binaria, ternaria, n-aria (e si dice p. diadico, triadico, n-adico, o a due, tre, n posti), per es., «... più grande di ...», «... essere fra ... e ...». Gli elementi costitutivi degli enunciati che sono oggetto di studio nel linguaggio formale detto predicativo si distinguono pertanto in p. e designatori per individui, detti termini (gli uni e gli altri distinti in costanti e variabili). Nel simbolismo della logica matematica si usano le lettere minuscole per i termini e quelle maiuscole per i p., aggiungendo talvolta un esponente che indica il numero di individui a cui il p. si applica (per es., il simbolo P2 indica un p. diadico). Si conviene anche di scrivere il segno predicativo seguito dai termini per individui (per es., P2ab).