PRECARIA
. È istituto che ebbe larga diffusione nel Medioevo, consistente in una benevola concessione di beni immobili in godimento e - secondo alcuni - anche di diritti, fatta in accoglimento di una domanda rivolta in forma di preghiera, per una durata determinata e dietro un certo corrispettivo: il termine di a "precaria" valse a indicare tanto la concessione stessa e il rapporto che ne derivava, quanto il documento nel quale il precarista dichiarava al concedente di aver ottenuto la concessione per sua preghiera a determinate condizioni, in contrapposto all'altro documento, non sempre però esistente, detto "prestaria" oppure, talvolta, precaria anch'esso, col quale il concedente dava notizia della concessione fatta.
La precaria si riannoda, per quanto alcuni lo abbiano negato, all'antico precarium romano (v. Precario), col quale secondo altri si identificherebbe: in realtà da questo prese soltanto le mosse per distinguersene poi, assumendo un proprio carattere di relativa stabilità e onerosità, in antitesi alla revocabilità e gratuità del precario romano. Affermatasi dapprima gradualmente nel diritto volgare romano e già diffusa nel sec. V, la precaria venne disciplinata nei concilî e nelle leggi del sec. VI e acquistò grande importanza nell'economia nei secoli seguenti fino all'XI e al XII per il largo uso fattone dagli enti ecclesiastici, quasi come surrogato delle alienazioni vietate per i loro beni.
Difficile è determinare la natura giuridica della precaria e discordi sono su questo punto le opinioni dei giuristi. La varietà dei rapporti di concessione, cui la precaria dà luogo (rapporti che talvolta sembrano di usufrutto vitalizio, o a tempo; altre volte di locazione o di enfiteusi) rende difficile definire il carattere proprio di questo contratto. Alcuni lo identificano col livello - rimanendo, si dice, il livello particolarmente usato in Italia, e la precaria più frequente in Francia -; altri non lo distinguono nettamente dal beneficio; altri ancora hanno voluto guardare, come ad elemento proprio dell'istituto, al carattere grazioso e benevolo che sempre presentano le concessioni precarie, derivate, come dice il loro appellativo, dalla domanda in forma di preghiera che il precarista rivolge al concedente e che pone, nel rapporto che ne sorge, il primo in una certa condizione d'inferiorità di fronte al secondo, restando per così dire la concessione dominata dal favore del concedente; altri, finalmente, hanno affermato essere la precaria, più che una forma contrattuale, un contratto essenzialmente formale e, come tale, con individualità sua propria e inconfondibile, contratto conchiuso con una carta, la precaria, contenente la preghiera del concessionario, e spesso con altra ancora, la prestaria, emanata dal concedente per accettare la preghiera stessa, e pertanto distinto dal livello e da altri contratti che si conchiudevano con due carte identiche scambiate tra le parti.
La dottrina distinse precarie ecclesiastiche e precarie verbo regis, secondo che la concessione fosse fatta da una chiesa (e furono queste le precarie di gran lunga più numerose) ovvero avvenisse per intervento regio; e ancora si distinsero le precarie ecclesiastiche in precarie date, oblate, remuneratorie. Si disse data la precaria concessa semplicemente a chi ne avesse fatta preghiera, oblata, la precaria accordata a chi, avendo donato i suoi beni alla Chiesa, li avesse riavuti in godimento; remuneratoria, la precaria accordata in compenso di servizî e prestazioni rese. Quando poi chi donava i suoi beni alla Chiesa pregava questa di concedergli in godimento beni di proprietà della Chiesa stessa e li otteneva, si aveva la precaria commutativa.
In ogni tipo di precaria il concedente era tenuto a rispettare i termini della concessione sia per ciò che riguardava il canone, sia per la durata della concessione (a tempo, a vita, a generazione), restando però sempre al concedente, secondo alcuni, il diritto, sia pur con qualche limitazione, di riavere la cosa quando lo avesse voluto. Il precarista, dal canto suo, aveva il godimento con l'obbligo di non deteriorare la cosa e anzi, secondo alcune concessioni, di migliorarla per quanto possibile; non poteva alienarla né usucapirla, talvolta poteva anche cederla a livello, ed era tenuto a pagare regolarmente il canone e in molti casi a provvedere alla rinnovazione quinquennale della precaria stessa.
La precaria trova il suo definitivo regolamento nel titolo XIV De precariis, libro IV delle Decretali di Gregorio IX; ma viene poi confondendosi nel tardo Medioevo con le concessioni feudali, con l'usufrutto e l'enfiteusi, perde gradatamente i suoi caratteri e lentamente scompare.
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