PREBENDA
. Comunemente designa i beni costituenti il patrimonio dei benefici ecclesiastici minori, e del cui reddito vive il beneficiato; parlando però a rigore, il termine non si estende a tutti i benefici, ma soltanto a quelli dei membri dei capitoli cattedrali e delle collegiate, e significa sia la porzione di beni assegnata come dote all'ufficio canonicale, sia il diritto proprio del canonico di percepire i frutti di tali beni per la sua sostentazione. Prebendario (o anche prebendato) è l'investito di una prebenda.
Come il termine beneficio, così anche quello di prebenda passò nel diritto ecclesiastico dall'uso militare. Beneficium era la porzione di terreni assegnata ai militari, specialmente nelle zone di confine, con l'obbligo di prestare ivi servizio fisso; praebenda era la porzione di viveri distribuita ai soldati. Nei primi tempi della Chiesa i beni ecclesiastici fornavano una massa unica, amministrata dal vescovo, il quale vi ricavava l'occorrente per la sostentazione sua e del suo presbyterium; cosa facile, finché vescovo e clero fecero vita comune; ma quando, col diffondersi del cristianesimo, fu necessaria la residenza stabile del clero nelle città e nei paesi fuori della sede episcopale, allora fu assegnata al clero delle parrocchie rurali una particolare porzione di beni per il proprio sostentamento; a questa nuova istituzione fu dato il nome di beneficio. Quando poi cessò anche la vita comune dei capitoli canonicali con il vescovo, ai capitoli fu lasciata una quantità di beni per il sostentamento dei suoi membri. Di questi beni in alcuni luoghi si costituì una massa sola comune a tutto il capitolo, amministrata da un incaricato speciale, e i membri del capitolo partecipavano ai redditi in misura o uguale o diversa secondo la dignità e l'uffizio; in altri luoghi i beni furono divisi e assegnati alle singole dignità e membri, tanto per l'amministrazione, quanto per il godimento. Nell'uno e nell'altro caso si chiamò prebenda quello che spettava a ogni singolo canonico.
Bibl.: Reiffenstuel, Jus Canonicum, III, Roma 1833, tit. 5ª; Wernz-Vidal, Jus Canonicum, II, Roma 1922, tit. 8°, par. 3.