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PRATO

di Paolo Cammarosano - Federiciana (2005)
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Prato

Paolo Cammarosano

Negli anni d'impero di Enrico VI e poi della sua tormentata successione, la comunità di Prato si era già evoluta, nell'arco di due o tre generazioni, da un nucleo di tipo castrense, dominato dai conti Alberti, a un organismo con propria autonomia di governo, con un collegio di consoli prima, poi, almeno dal 1193, con una magistratura podestarile.

La matrice signorile del luogo aveva peraltro lasciato un segno duraturo nel dualismo fra il castello, che gli Alberti avevano ceduto all'Impero, sembra negli anni di Enrico VI, e il complesso della comunità locale. La presenza imperiale si concretò nella stabile struttura fisica di un castello o 'palazzo' imperiale, destinato a ospitare il sovrano e il suo seguito nei loro occasionali ma non infrequenti passaggi sull'importante asse viario di cui Prato era tappa obbligata, e base dei rappresentanti dell'imperiale autorità, di volta in volta indicati nelle fonti quali nunzi, visconti, vicari, capitani.

Questa dinamica dualistica si intrecciò, da un lato, con le autonome iniziative politiche del comune, dall'altro, con le divisioni politiche interne all'importante sede cittadina. Nel quadro degli schieramenti delle città maggiori che si andò delineando tra gli anni Novanta del sec. XII e il primo ventennio del Duecento, si affermò una fondamentale ostilità di Prato contro il comune di Pistoia e una contestuale tendenza alla solidarietà con il comune di Firenze. Furono principali espressioni di ciò l'appoggio alla campagna fiorentina intesa alla distruzione di Semifonte, nel 1202, e l'adesione allo schieramento fiorentino nei due maggiori conflitti che lo opposero in questa fase a quello guidato dal comune di Siena: la guerra del 1208 e quella di più lunga durata degli anni Venti, che sarebbe culminata nella pace di Poggibonsi del giugno 1235.

A quest'altezza cronologica, con l'avvento oramai indiscusso di Federico II e l'avvio di una tensione sempre più dura tra Impero e Sede Apostolica, si manifestò nella struttura della vita politica di Prato, come di ogni altra città toscana, una continua interferenza fra la dinamica locale e il gioco politico di più larga scala. La contrapposizione interna e la guerra civile, dunque, tra uno schieramento guelfo ed uno ghibellino, i cui tempi e la cui fisionomia sociale e familiare rimangono peraltro assai oscuri nella situazione della documentazione pratese della prima metà del Duecento. È perciò non facile controllare la veridicità di una tradizione storiografica locale orientata su un parallelismo stretto con le vicende fiorentine, che riconduce così la divisione guelfo-ghibellina pratese agli stessi anni (attorno al 1215) di quella fiorentina. Su alcuni parallelismi non c'è dubbio: il ruolo delle famiglie maggiori nel costituire i clan avversi, il peso assunto dalle corporazioni artigiane e dai loro rettori nei primi decenni del Duecento, il loro affiancarsi alle famiglie potenti in un regime oramai decisamente strutturato sulla magistratura del podestà o rettore come vertice del comune e sull'affiancarsi al governo comunale di un parallelo governo di 'popolo'. Come non c'è dubbio sulla fase di preminenza imperiale innescata dopo le grandi vittorie degli eserciti di Federico II tra la fine degli anni Trenta e gli inizi dei Quaranta.

Espressione di questa fase di preminenza imperiale fu il governo dei legati, dei vicari e dei castellani imperiali. Recandosi da Firenze verso Pisa dopo la caduta di Faenza (1241), re Enzo prese la via che passava per Prato, ripristinò e rafforzò il palazzo imperiale, dove venne insediato quale rettore di Prato Tommaso da Bisarno, che fino ad allora era stato uno dei castellani imperiali di San Miniato. Successori di questo rettore furono due personaggi del più elevato ambiente funzionariale di Federico II, Tommaso e Pandolfo di Fasanella. Fra il 1246 e il 1249 Prato ed il suo castello furono tra i perni strategici maggiori di un governo rappresentato dal figlio dell'imperatore, Federico d'Antiochia, vicario generale della Toscana e podestà di Firenze. Nella funzione rettorale si era ritornati nel frattempo ad un reclutamento fra personaggi della Toscana, o dell'Emilia, i quali erano comunque soggetti alle autorità imperiali regionali. Così nel febbraio del 1247 il rettore pratese Berlinghieri di Staggia riceveva da Federico di Antiochia (v.) l'ordine di agire presso il comune perché non recasse turbative al preposto ed ai canonici pratesi. Nel dicembre di quell'anno Federico di Antiochia stabilì in Prato la base strategica, dove sarebbero affluiti i cavalieri e i fanti dell'esercito imperiale, in vista di un'azione contro i guelfi di Firenze che si sarebbe poi realizzata con successo alla fine di gennaio del 1248. Il rovesciamento del governo ghibellino dopo la morte di Federico II e l'istituzione del 'Primo Popolo' nel 1252 fanno rimarcare ancora una consonanza con le vicende del comune fiorentino, nel cui ambito d'influenza Prato sarebbe sempre poi rimasta.

fonti e bibliografia

Ampie ricostruzioni della vicenda comunale di Prato e delle relazioni con l'Impero sono raccolte in Prato. Storia di una città, a cura di G. Cherubini, I-II, Prato-Firenze 1980.

Molte notizie, come sempre, in R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, I-IV, Berlin 1896-1927 (trad. it. Storia di Firenze, I-VIII, Firenze 1972-1973): tra gli eventi ai quali si è fatto qui riferimento, alcuni sono illustrati nel vol. II,1, del 1908, alle pp. 375-376, 457, 460.

L'ingiunzione di Federico di Antiochia al rettore Berlinghieri di Staggia si legge in J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechts-geschichte Italiens, IV, Innsbruck 1874 (riprod. anast. Aalen 1961), nr. 403.

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