PRASSI (dal gr. πρᾶξις "azione"; fr. usages de service; sp. rutina; ted. Verwaltungspraxis; ingl. office routine)
È il modo di applicazione che normalmente e uniformemente gli uffici amministrativi (o qualunque ufficio: si parla, ad es., anche di una prassi ecclesiastica, e così via) sogliono dare a norme giuridiche; oppure anche il loro usuale modo di comportarsi, di agire, di procedere in un'attività loro pertinente, in mancanza delle norme stesse. Ove la consuetudine si ritenga fonte di diritto amministrativo (v. consuetudine), il che è assai discusso, la prassi, che sarebbe una delle prove più chiare dell'esistenza di una consuetudine amministrativa, contribuirebbe a costituirla o (se non altro) almeno a dimostrarla. Specialmente, ove si ammetta la consuetudine interpretativa, la prassi nell'applicazione d'una disposizione acquisterebbe gli elementi della norma consuetudinaria interpretativa, autorevolissima, soprattutto se l'attività degli organi amministrativi è sottratta a controlli giurisdizionali. Massima importanza si deve riconoscere poi alla prassi, quando questa si manifesti in quella sfera d'azione in cui l'amministrazione può emettere norme giuridiche (esecutive o regolatrici del proprio potere discrezionale): sfera, in cui si ritiene che la prassi possa essere disapplicata solo se contraria alle leggi. Vi è però chi sottilmente opina che ad ogni modo l'amministrazione anche in questi casi non può essere legata di fronte ai terzi che da sue norme scritte; quindi la prassi è solo vincolante internamente per gli organi amministrativi; i terzi in tanto sono tenuti a osservarla in quanto devono rispettare il potere di un organo, potere di cui la scelta di quella linea di condotta è una manifestazione: anche in questo caso, pertanto, la prassi non darebbe mai origine a norme giuridiche, ma sarebbe solo l'esercizio, da un lato, e il rispetto, dall'altro, del potere discrezionale di un organo. E questo limitato valore della prassi importerebbe la possibilità di mutamenti nella prassi da parte degli stessi organi amministrativi, quando lo ritengano più utile e più legale, il che però è contestabile. Talvolta la prassi può dipendere dall'applicazione di istruzioni e di circolari emanate dagli organi superiori, circolari che rendono obbligatoria quella pratica uniforme per gl'inferiori, senza mutarla però in giuridica ove non fosse conforme al diritto (v. circolare).
Al difuori del campo del diritto pubblico la prassi degli uffici può essere considerata come uno di quegli usi di fatto, che non sono vera consuetudine, ma che acquistano importanza per la determinazione del contenuto della volontà delle parti, e di cui il diritto tiene conto per stabilire la portata e l'estensione di alcune norme.
Si parla anche di prassi giudiziaria per indicare l'interpretazione costante data dai giudici a una norma in un dato senso: prassi, nella quale taluno vorrebbe, a torto, riscontrare una vera fonte di diritto consuetudinario, perché questa funzione creativa dei giudici è, fondatamente, negata dai più nel sistema giuridico italiano (v., anche su questo punto, consuetudine).
Bibl.: A. Longo, Della consuet. come fonte di dir. pubbl., in Arch. di dir. pubbl., 1892; V. E. Orlando, Le fonti d. dir. amm., in Primo tratt. di dir. amm. it., I, Milano 1898; O. Ranelletti, Princ. di dir. amm., II, Napoli 1915.