POZZO (dal lat. puteus; fr. puit; sp. pozo; ted. Brunnen; ingl. well)
Perforazione verticale del terreno, generalmente di forma circolare, per raggiungere uno strato acquifero sotterraneo e captarne l'acqua a scopo potabile o irriguo.
Si chiamano anche pozzi, nelle miniere, le vie d'accesso alle gallerie e le vie verticali di comunicazione fra queste (v. sotto). Per i pozzi occorrenti per la ricerca e l'estrazione del petrolio v. petrolio.
Prima che la tecnica del trasporto dell'acqua in pressione avesse raggiunta l'attuale perfezione ed economicità, l'approvvigionamento idrico delle città e campagne era fatto quasi esclusivamente con pozzi attingenti acqua dal sottosuolo. Nelle regioni desertiche, dove la sola e scarsa acqua disponibile è quella del sottosuolo, è intorno ai pozzi che si formano gli agġlomerati umani e si sviluppano le oasi; tutte le carovaniere hanno i loro tracciati fissati dalla presenza di uno o più pozzi scavati fin da tempi remoti. Nelle oasi dove l'acqua è sempre un po' più abbondante viene usata anche per irrigazione e il pozzo dal quale viene estratta con mezzi primitivi è costruito nella parte fuori terra in modo caratteristico e decorativo (fig. 1). Nonostante i detti progressi, e sebbene le maggiori esigenze igieniche dell'epoca attuale facciano preferire per gli usi potabili le acque sorgive, quelle del sottosuolo sono tuttora utilizzate in grande scala per usi potabili ed irrigui. In Belgio e in Olanda, date le condizioni topografiche del territorio, l'approvvigionamento idrico è tuttora fatto esclusivamente con acque del sottosuolo; in Germania, dove il loro studio ha avuto valenti cultori, molte delle grandi città sono approvvigionate con acque sotterranee a mezzo di pozzi; in California sono state scavate diecine e diecine di migliaia di pozzi per uso irriguo e potabile.
Anche in Italia, a cui spetta il merito della scoperta dei pozzi artesiani, sebbene sia molto ricca di sorgenti, l'utilizzazione delle acque del sottosuolo è tuttora diffusa e città come Milano, Torino, Ferrara, Ravenna e Firenze sono alimentate da potenti impianti che sollevano acque sotterranee. Nelle campagne spesso la casa colonica ha il suo pozzo anch'esso protetto e decorato da caratteristiche costruzioni (fig. 2).
Pressoché scomparso è invece l'uso di pozzi (più propriamente cisterne) raccoglienti le acque piovane le cui soprastrutture furono in passato motivo di eleganti architetture.
Costruzione dei pozzi. - La frazione delle acque di pioggia che attraverso interstizi penetra nel terreno non compatto costituisce quella che si chiama una falda freatica; se quest'acqua raggiunge strati di terreno permeabile limitati superiormente da terreno impermeabile può porsi in pressione costituendo una falda artesiana. Il pozzo produce un richiamo di acqua dalla falda acquifera, la quale affluirà nel suo interno dalle sole pareti e per tutta l'altezza dello strato acquifero se la perforazione è stata spinta fino a raggiungere lo strato impermeabile che fa da sostegno alla falda freatica; dalle pareti e dal fondo se la perforazione non avrà raggiunto detto strato. L'acqua in ogni modo risalirà nel pozzo fino al livello statico della falda acquifera.
Quando invece, dopo aver attraversati strati di terreno impermeabile, si raggiunge una falda acquifera in pressione, l'acqua risalirà nel pozzo fino ad un livello piezometrico dipendente da quello statico della falda alimentatrice e dagli attriti lungo il percorso.
Nel primo caso si hanno i cosiddetti pozzi ordinarî, nei quali l'acqua non risale mai al disopra del livello del terreno naturale circostante; nel secondo i pozzi artesiani o modenesi, nei quali l'acqua risale sempre entro il pozzo e talvolta la sua forza ascensionale è tale da farla zampillare anche sopra il terreno (fig. 3).
A seconda del modo come un pozzo viene costruito si possono distinguere due grandi categorie: pozzi scavati, muniti di rivestimento in muratura o altro materiale, e pozzi forati, con o senza rivestimento metallico. I pozzi scavati sono generalmente pozzi ordinarî cioè attingono a falde freatiche; hanno un diametro di circa un metro che può salire fino anche a 2 ÷ 3 metri in grandi impianti e possono raggiungere profondità fino a 50 ÷ 60 metri.
Se il diametro del pozzo è piccolo e il terreno consistente, se ne scava un tratto per la profondità di un metro, sul fondo del quale si dispone una corona circolare di legno sulla quale si costruisce il rivestimento; si scava ancora per metri 1,50 ÷ 2 sostenendo il rivestimento superiore con puntelli alla prima corona e si costruisce un altro tratto di rivestimento e così di seguito. In terreni ghiaiosi e sciolti e per diametri maggiori si procede più comunemente col metodo dell'anello sovraccaricato. Si eseguisce cioè un primo tratto di scavo sul fondo del quale si pone il solito anello (con un'unghia rinforzata e tagliente), sul quale si costruisce un primo tratto di rivestimento e sul cui orlo si pone un'altra corona rilegata a quella inferiore per mantenere la rigidità al rivestimento; il sovraccarico posto sull'orlo superiore fa scendere l'anello fino al fondo del tratto scavato e poi si prosegue scavando e costruendo un altro tratto di rivestimento fino a raggiungere lo strato acquifero.
Il rivestimento di questo genere di pozzi è generalmente di mattoni dello spessore di due teste per diametri fino a metri 1 ÷ 1,50; di tre teste per diametri superiori; può essere anche realizzato con anelli di cemento alti un metro che vengono collocati uno sopra l'altro. Giunti col rivestimento allo strato acquifero esso viene interrotto; se, invece, data la natura del terreno, si ritiene opportuno prolungarlo, si debbono lasciare numerose aperture perché l'acqua possa affluire con facilità nell'interno.
I pozzi forati sono di due tipi: a percussione e trivellati. Quelli a percussione sono i pozzi Norton o abissini (fig. 4), noti per l'estesa applicazione fattane dagl'Inglesi nella campagna del 1869; hanno un campo di azione limitato, dànno portate generalmente piccole e possono servire per profondità non superiori a 7 ÷ 8 metri. Sono formati da tubi della lunghezza di 2 ÷ 3 metri, del diametro da 3 a 10 cm., che vengono infissi nel terreno a percussione a mezzo di un martino a mano o meccanico. Il primo tubo che viene infisso ha la punta di acciaio e per l'altezza di un metro circa è forato; quando questo tubo ha raggiunto lo strato acquifero l'acqua risale nell'interno e se la falda è artesiana può formare un getto al disopra del terreno.
I pozzi trivellati si usano quando il terreno è costituito da ciottoli o da roccia dura e quando lo strato acquifero che si vuol raggiungere è molto profondo. Con questi pozzi sono state raggiunte, per ricerche d'acqua, profondità di qualche centinaio di metri e nelle ricerche petrolifere anche alcune migliaia.
La trivellazione si fa in varî modi: a percussione con aste e a secco (sistema canadese), a percussione con corda di manilla a secco (sistema pensilvano), a percussione con aste cave e circolazione d'acqua in pressione (Alicante) e a rotazione con aste cave a circolazione d'acqua (Rotary; vedi perforatrice). Per la trivellazione occorre disporre di un castello o capra, in legno o ferro, munito di una puleggia, entro la cui gola si fa passare il cavo di manovra di cui un capo è fissato alla sonda e l'altro ad un verricello. Se la trivellazione è fatta a percussione, la sonda è costituita da uno scalpello della lunghezza di uno o due metri la cui parte inferiore è in acciaio ed ha appunto la forma di uno scalpello tagliente per frantumare il terreno. A questo primo pezzo vengono avvitate le aste che possono avere ognuna una lunghezza fino a dieci metri e l'ultima delle quali è fissata a mezzo di uno snodo al cavo di manovra. Dopo un certo numero di percussioni il foro deve essere pulito a mezzo della curetta; nei sistemi ad aste cave la pulizia si può fare con iniezioni di acqua in pressione, ciò che elimina l'interruzione della perforazione. I materiali che si estraggono durante la perforazione vengono conservati segnandone la profondità a cui sono stati trovati; si ha così il modo di ricostruire il profilo geologico del terreno attraversato, che è di grande importanza ed utilità nello studio delle acque sotterranee.
Il sistema a rotazione che ha avuto grande diffusione e notevoli perfezionamenti in Italia, differisce da quello a percussione per il fatto che la perforazione viene fatta a mezzo di asta cava la cui estremità è munita di denti di acciaio e, per terreni molto duri di punte di diamante. Il movimento di rotazione è impresso al tubo mediante un argano disposto sotto la capra, manovrato a mano o con motore. I pozzi trivellati hanno un diametro di 150 ÷ 600 millimetri e sono quasi sempre rivestiti con tubi di acciaio che vengono infissi nel foro; i primi tubi, cioè quelli che pescano nella falda acquifera, sono forati. Particolari attenzioni e cure si debbono avere nelle trivellazioni quando vengono fatte in terreni sabbiosi per evitare il franamento delle sponde; si dispongono poi nel loro interno degli speciali filtri per non sollevare, insieme all'acqua, la sabbia.
Quando le trivellazioni sono molto profonde si possono incontrare, superiormente a quella che interessa, altre falde freatiche che dovranno essere isolate, specie quando quella profonda è artesiana, poiché si può correre il pericolo di vederne diminuita la forza ascensionale e la portata o di vederla disperdere.
Portata e curva caratteristica. - La potenza di un pozzo e di una falda acquifera è data dalla portata (litri per secondo) che da esso si può estrarre con continuità. Un procedimento approssimato per misurare tale portata consiste nell'estrarre il più rapidamente possibile l'acqua che vi si è raccolta fino a prosciugarlo, misurarne il volume V e il tempo t che intercede tra l'inizio della vuotatura e quello in cui l'acqua torna a riempire di nuovo il pozzo. La portata è data dal rapporto q = V/t.
Si determina più esattamente in base a formule ricavate dallo studio del movimento dell'acqua nei mezzi filtranti (v. idraulica; idrologia) e dalle quali risulta che la portata è funzione della depressione che l'estrazione produce nel livello che l'acqua ha nel pozzo rispetto al livello statico della falda, dalla natura del terreno ove ha sede la falda acquifera e nel quale è scavato il pozzo o più precisamente dalla composizione granulometrica del terreno stesso e, in misura molto minore, dal diametro del pozzo. Per un pozzo (fig. 5) il cui fondo arrivi allo strato impermeabile di sostegno e di raggio r la portata q è data da:
dove M è il coefficiente detto di permeabilità o costante del mezzo filtrante, che dipende, a parità di temperatura del mezzo e dell'acqua, dalla composizione granulometrica del terreno e per il quale alcuni autori hanno dato anche le espressioni analitiche (Hazen, Slicter, ecc.). Per mezzi filtranti costituiti da sabbie vulcaniche con porosità da 34 al 42% il Masoni ha trovato valori di M compresi tra cm./sec. 0,011 e 0,015.
Costruendo un pozzo è facile produrvi, a mezzo di una pompa, successive depressioni δ del pelo d'acqua fino a raggiungere il fondo cioè sino ad asciugarlo; si può allora costruire la curva caratteristica del pozzo cioè la relazione q = f (δ), curva che ha per ordinate i valori q corrispondenti alle depressioni δ che sono le ascisse.
Questa curva (fig. 6), il cui andamento dipende dal tipo del pozzo (cioè se è alimentato dal solo fondo, dal fondo e dalle pareti, dalle sole pareti ecc.) e dalla natura del terreno in cui è scavato, permette di conoscere quale depressione si dovrà provocare nel pozzo per avere la portata richiesta q e se, producendo in esso la massima depressione possibile, si può sollevare una portata prestabilita.
In molti casi della pratica, detta curva è una retta passante per il punto (q = 0, δ = 0) o si può ridurre a tale mediante una linea di compenso. La pendenza di detta retta sull'asse delle ascisse fornisce quella che si chiama portata specifica del pozzo cioè la portata ritraibile con una depressione di un metro.
Nello scavo di pozzi per emungimento d'acque dal sottosuolo occorre tenere presenti alcune norme nei riguardi sia della loro ubicazione sia della loro reciproca distanza.
Prima di fissare il punto o i punti per le trivellazioni, sarà opportuno a mezzo di fori preliminari o usufruendo di pozzi esistenti, determinare la pendenza superficiale della falda, dalla quale conoscendo la natura del sottosuolo, si possono avere indicazioni molto approssimate sulla potenzialità della falda stessa; non solo, ma conosciuta la pendenza della falda si conoscerà anche la direzione del movimento dell'acqua, ciò che permetterà di fissare il modo di ubicare i pozzi, i quali dovranno sempre essere disposti trasversalmente alla direzione del movimento e mai longitudinalmente, poiché in tal caso i pozzi a valle non darebbero che uno scarso contributo. Occorre poi che i pozzi siano scavati a distanza opportuna in modo che non si influenzino reciprocamente. È bene poi tener presente, quando si tratta di utilizzare una falda acquifera, di non esagerare moltiplicando il numero dei pozzi, poiché è facile che un eccessivo emungimento provochi un impoverimento della falda e quindi una diminuzione della portata dei pozzi e talvolta anche l'esaurimento e quindi l'inutilizzazione dei pozzi.
Bibl.: M. Canavari, Manuale di geologia tecnica, Pisa 1928; G. De Marchi, Idraulica, Milano 1930; G. Di Ricco, Cenno sullo stato attuale delle ricerche sulle acque sotterranee, Bollettino n. 15 del Comitato naz. ital. geodetico e geofisico, Venezia 1927; M. Gortani, Saggio bibliografico dell'idrologia sotterranea d'Italia dal 1870 al 1920, in Giornale di geologia pratica, XIX (1924); I. D. Massarenti, Petrolio e acque sotterranee in Italia, Milano 1927; C. Mistrangelo, Provvista e distrib. di acqua potabile, ivi 1928; H. Darcy, Les fontaines publiques de la Ville de Paris, Parigi 1856; A. Debauve e E. Imbeaux, Assainissement des villes. Distrib. d'eau, II, ivi 1906; E. A. Martel, Noveau traité des eaux souterraines, ivi 1921; E. Imbeaux, Essai d'hidrogéologie, ivi 1930; J. Gilbert e E. Mondon, Traité d'addutions et de distrib. d'eau, ivi 1928; W. Koehne, Brundwasserkunde, Stoccarda 1928; G. Richert, Die Grundwasser, Monaco e Berlino 1911; E. Prinz, Handb. d. Hydr., Berlino 1929; G. Thiem, Hydr. Methoden, Lipsia 1906; T. C. Chamberlin, Requisite and qualifying conditions of artesian wells, U. S. Geological Survey, 1883-1894; A. Hazen, Some phys. properties of sands and gravels with reference to their use in filtration (24 an. Report Massachusetts State Board of Health) 1892; F. H. King, Principles and conditions of the mouvements of grandwater, U. S. Geol. Survey, 1899; C. S. Slichter, The motions of underground Waters. Water Supply and Irrig. (n. 67 U. S. Geol. Survey) 1902.
Archeologia e architettura.
Antichissimo è l'uso di praticare presso le case, in città e in campagna, un pozzo (puteus o puteum, ϕρέαρ), scavando un ampio foro nel terreno o nella roccia, di sezione quadrata, rotonda o ellittica, per raggiungere una vena d'acqua, o per raccogliere l'acqua piovana. La parete interna era ricoperta di mattoni o intonacata con cocciopesto per renderla stagnata e impermeabile. La bocca del pozzo o era a livello del suolo, chiusa da una pietra, o era protetta da un muretto basso circolare (puteal), per impedire di cadervi. Spesso i puteali erano in pietra e in marmo e riccamente decorati con bucranî, festoni e figure (putealia sigillata). L'acqua si attingeva per mezzo di un cilindro (girgillus) girato da una manovella, con una corda e un secchio, nel modo stesso con cui ancor oggi si usa tirare su acqua dai pozzi nelle campagne. Si usava anche il sistema di far scorrere la corda nel solco di una rotella appesa sopra il pozzo. Dopo quella attinta direttamente alle fonti e quella convogliata dagli acquedotti, la migliore acqua potabile era quella di pozzo. Oltre che presso le case, nelle corti e nelle ville rustiche, si avevano pozzi anche presso i templi e i sacelli, nei quali il consumo dell'acqua era notevole. Così ogni stabilimento pubblico, quali i ginnasî, le palestre, i mercati e le pubbliche piazze, avevano uno o più pozzi. Così si trovavano pozzi presso le residenze dei collegi (scholae), e anche presso gli edifici di carattere funebre. In progresso di tempo si costruirono pozzi più ampî e meglio intonacati, con pedarole per discendervi, e talvolta perfino con strette scale a volticella che andavano fino al livello dell'acqua. Anche le margelle dei pozzi divennero sempre più eleganti e di migliore fattura. La lunga durata del loro uso è testimoniata dai solchi prodotti dallo sfregamento della corda o della catena che serviva a far discendere o risalire la secchia (cadus, situla). Un altro mezzo molto usato per attingere acqua, specie nelle campagne, era di tenere in bilico una lunga spranga di legno recante ad una delle estremità la secchia e all'altra un contrappeso.
Presso i Romani si chiamavano putei anche dei larghi fori scavati nella terra per conservarvi il grano, come oggi si fa per le patate. Si dicevano putei anche quelle aperture o spie in muratura, praticate a intervalli lungo una conduttura d'acqua per rendere più agevole la visita dell'interno, simili ai lucernarî delle gallerie sotterranee. Anche gli spechi degli acquedotti avevano in alto aperture dello stesso genere. Quando lo stesso acquedotto portava due o più condutture, le spie delle inferiori erano praticate sul fianco dei canali, sopra il livello dell'acqua di ciascuno; se lo speco era unico, i putei si aprivano soltanto al sommo dell'acquedotto. Si dicevano inoltre puticoli o pozzetti, quelle fosse comuni ove si gettavano i cadaveri di servi e di poveri; molto noti sono quelli che numerosi furono aperti nell'Esquilino in Roma, prima che con Mecenate e Augusto quel colle divenisse uno dei quartieri più belli e più sani. Il luogo colpito da un fulmine, divenuto perciò sacro, si circuiva con una piccola costruzione a forma di margella di pozzo (puteal), in muratura e in marmo, decorata con rami di alloro e le tenaglie, attributo di Vulcano.
Non si posseggono testimonianze monumentali di putealia in età anteriore ai tardi tempi repubblicani romani. Poiché le fonti nell'antichità assumevano facilmente carattere sacro, così i puteali dell'età classica assumono spesso un aspetto artistico e decorativo speciale. Come un esempio del genere può essere considerato il puteale del Foro Triangolare di Pompei, presso il tempio gpeco: un cilindro marmoreo con zoccolo e cornice, collocato su gradino, al centro di un piccolo perittero circolare coperto. Sull'architrave del perittero è ricordato, in lingua osca, il nome del magistrato, meddix tuticus, Numerio Trebio. Di pozzi più o meno antichi, pubblici e privati, era ricca la città di Pompei; ma dopo che fu messa in opera la canalizzazione urbana di acqua potabile, la quasi totalità dei pozzi passò in disuso. I relativi puteali andarono perciò distrutti in antico. Dallo scavo di una casa in Via dell'Abbondanza ritornò alla luce, pochi anni or sono, un puteale di terracotta, decorato intorno da doppia fila di protomi leonine. Anche dagli scavi di Ostia si sono recuperati alcuni puteali. Il più artistico dei puteali ostiensi fin qui rinvenuti fu quello ritrovato nel 1797, poi andato disperso, portante scolpita intorno una scena figurata in cui era illustrato il mito di Ila rapito dalle Ninfe. Un altro puteale ostiense, rinvenuto pochi anni dopo, portava scolpita nel giro superiore la dedica a Cerere e alle Ninfe, e sulla parete esterna i nomi di tre magistrati dedicanti.
Numerosi puteali scolpiti, di provenienza varia, si trovano in musei e collezioni pubbliche e private. Ma la forma cilindrica e cava non è sempre sufficiente a definire la natura di quegli oggetti come "vere da pozzo". Si è già detto infatti come nella religione romana fosse frequente il caso di inibire l'uso di certe aree di terreno considerate sacre per qualche motivo speciale, specialmente quei luoghi dove si era abbattuta la folgore, e come il punto considerato sacro venisse perciò isolato e protetto mediante un recinto, vero e proprio puteale (oidental o puteal). Notissimo nel Foro repubblicano di Roma il puteal Libonis o puteal Scribonianum, eretto dal magistrato Scribonio Libone per ordine del Senato, e riprodotto su un denaro argenteo del 54 a. C. Rimane controverso il punto dove sorgeva. Nello stesso Foro, presso il Comitium, si indicava inoltre il puteale dell'augure Atto Navio, racchiudente il luogo dove era stato sepolto il rasoio di Atto Navio e la pietra che si diceva egli avesse con quello tagliata. Anche l'ubicazione del leggendario Lacus Curtius del Foro era indicata in età storica per mezzo di un puteal. Infine davanti all'edicola di Giuturna, presso il tempio dei Dioscuri, si conserva un puteale vero e proprio, marmoreo, con dedica scolpita sul giro e ripetuta sul piano dell'orlo. Non si può perciò sempre definire con assoluta sicurezza la natura e la destinazione, sacra o profana, di parecchi puteali antichi scolpiti: la cui importanza intrinseca, del resto, risiede nella loro decorazione sculturale. È famoso il puteale di Madrid (Collezione Medinaceli), con la scena, a bassorilievo, della nascita di Atena, ispirata dal frontone orientale del Partenone. Un altro puteale pure artisticamente importante è quello di Marbury Hall (Inghilterra), istoriato col mito di Elena e Paride. Altri interessanti puteali scolpiti si trovano nella Collezione Albani (Roma): uno con figure di divinità eleusine e un altro con scena di pigiatura dell'uva. Una scena affine si osserva su un puteale del museo di Napoli. Due puteali del Museo Vaticano sono decorati con scene ispirate dal mondo infero. Con particolare frequenza s'incontrano scolpite, intomo a puteali classici, teorie e processioni di divinità olimpiche: come si vede intorno a un puteale del Museo Capitolino, in uno del museo di Napoli (di provenienza Farnese) e in un terzo in Inghilterra, proveniente da Corinto: tutti di arte neoattica.
Bibl.: J. A. Hild, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire s. v. Puteal; R. Cagnat e V. Chapot, Manuel d'archéol. romaine, II, Parigi 1920, p. 169 segg.; L. Paschetto, Ostia, colonia romana, Roma 1912, p. 252 segg.; A. Mau, Pompeji, 2ª ed., Lipsia 1913, p. 139; A. Maiuri, Pozzi e condutture d'acqua nell'antica città di Pompei, in Notizie scavi, 1929, p. 414; 1931, p. 546 segg.; D. Vaglieri, ibid., 1912, p. 440; per i putealia del Foro v. H. Thédenant, Le Forum Romain, Parigi 1908, passim; L. Du Jardin, I pozzi della valle del Foro Romano, in Rend. Pont. Acc. di Arch., VII (1932), pp. 129-191; per i puteali scolpiti: S. Reinach, Répert. de Reliefs, II e III, alle località citate.
Medioevo ed età moderna. - Durante l'alto Medioevo, allora che gli acquedotti erano quasi dappertutto in completa rovina, l'uso dei pozzi andò sempre più diffondendosi; le cisterne sotterranee divennero più vaste, e più ampî i puteali. Già verso il sec. VIII-IX essi erano decorati con quei tipici fregi a intrecci viminei e figurazioni simboliche faticosamente incise nella pietra come a sottosquadro, caratteristici delle decorazioni plastiche di quell'età; ne abbiamo esempî a Roma, nella piccola corte che precede l'ingresso alla chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, in un puteale oggi nel Museo artistico industriale, in un altro che è nel chiostro di S. Giovanni in Laterano, attribuito al sec. X. Anche a Venezia e nel territorio della laguna se ne possono vedere di molto antichi e decorati approssimativamente allo stesso modo. Ricorderemo tre pozzi di schema cubico: quello nel palazzo della Frescada a San Tomà, decorato con croci e incavi a spina di pesce, attribuito al sec. VIII, l'altro nel museo civico, di qualche tempo posteriore, ricavato in un blocco di marmo romano decorato a croci e tondi con figurazioni di animali, l'altro ch'è in casa Barozzi a S. Maria Formosa de' Frari, attribuito al sec. IX, con tondi e croci sotto arcatelle. Non molto diverse sono le decorazioni di puteali a questi contemporanei o di qualche tempo posteriori, che si conservano in altre regioni europee; citeremo l'esempio di quello conservato a Canterbury nella chiesa di S. Martino.
Al principio del sec. XIII, Iacopo di Lorenzo e Cosma figlio di Iacopo e i suoi figli costruirono il chiostro del monastero di Santa Scolastica a Subiaco e collocarono nel bel mezzo della corte quadrangolare, chiusa dal ritmo serrato e classicissimo delle arcatelle a tutto sesto, una margella poligonale. Il pozzo diviene così motivo architettonico dominante in un complesso costruttivo e acquista l'importanza che, nelle antiche case romane o nei quadriportici preludenti le basiliche, aveva la fontana. Intonazione classica e rinascimentale che solo gli architetti del Cinquecento seppero raccogliere e sviluppare.
Ma la forma poligonale del pozzo cosmatesco, comune anche alle fontane che nell'età romanica sorgono ormai sulle pubbliche piazze, è già diffusa durante il sec. XIII e il XIV per tutta Italia; la ritroviamo a Firenze nel pozzo nel Cortile del Bargello, nei chiostri e nelle corti di castelli e di palazzi. Ma presto alla semplice margella si aggiunge un elemento nuovo: quello delle due colonne che sostengono l'architrave ove è applicata la carrucola per sollevare il secchio. Rocchi di colonne, resti di edifici classici, erano già stati usati a tal fine nel Lazio e in tutta l'Italia centrale fin dall'alto Medioevo, ma è nel Rinascimento che queste colonne, le quali vengono a sostituire supporti in ferro battuto o semplice legname, sono disposte in armonia con la margella e l'architrave soprastante. L'esempio del pozzo che è sulla piazza della cattedrale di Pienza, opera di Bernardo Rossellino, è fra quelli della metà del Quattrocento senza dubbio il più illustre
Ma a Venezia durante il Quattrocento e il Cinquecento, troviamo le margelle o vere da pozzo più ricche e decorate: a Venezia, ove ogni cortile, ogni giardino, ogni campo e campiello ha ancor oggi il suo pozzo caratteristico. Quasi tutte le vere da pozzo veneziane del Quattrocento hanno la forma di grandi capitelli scavati. Dopo i puteali cubici di cui abbiamo parlato più sopra, e quelli cilindrici dei secoli XII, XIII e XIV, alcuni decorati a fregi e arcatelle di gusto orientale, quale quello ch'è nella corte Cornaro a S. Samuele, si diffuse dappertutto, sul finire del Trecento, il tipo del grande capitello con fogliame arricciato e figurazioni a rilievo.
Lo spunto può essere stato dato dall'uso che venne fatto in realtà a tal uopo di grandi capitelli antichi; e di vere ricavate da capitelli corinzî dell'età classica ve ne sono ancora; ne vediamo una ai Ss. Filippo e Giacomo nella Calle degli Albanesi, un'altra nella corte degl'Incurabili ai Gesuati, e altre ve ne sono anche fuori Venezia, nel territorio della laguna. Fra quelle lavorate sul finire del '300 rammenteremo la vera del pozzo ch'è nel chiostro di S. Caterina, ora Convitto Marco Foscarini, e fra quelle quattrocentesche, la vera bellissima nel palazzo della famiglia Amati, ove tra ricchi fogliami aderenti al fusto del grande capitello appaiono figurazioni allegoriche. E lo schema fu conservato pure nel Cinquecento, quando apparivano altrove più complessi motivi, come nella vera in campo Ss. Giovanni e Paolo coi putti reggifestoni.
Il tipo della vera da pozzo veneziana, s'arricchisce di due splendidi esemplari alla metà del Cinquecento con le vere in bronzo, lavorate con squisitezza da orafo e splendidi motivi cinquecenteschi l'una da Alfonso Alberghetti e l'altra da Nicolò de' Conti nel gran cortile del Palazzo Ducale.
Nel Lazio, frattanto, Antonio da Sangallo aveva collocato nel mezzo del cortile della rocca di Civitacastellana una robusta vera da pozzo, ottagona, bellissima per gli stemmi di Giulio II che la adornano e l'iscrizione latina che rammenta i lavori fatti dal pontefice nel munitissimo fortilizio. Ma nel Cinquecento e nell'età barocca, mentre i pozzi divenivano sempre più rari per lo sviluppo degli acquedotti e il nuovo gusto per le fontane, allorché per necessità di cose se ne dovevano costruire, venne quasi ovunque ripreso il motivo del puteale fiancheggiato dalle due colonne e sormontato dall'architrave. E il pozzo nel mezzo dei cortili acquistò un'importanza sempre più determinante nello svolgimento dell'ambiente architettonico. Ecco difatti un grande pozzo poligonale domínare lo svolgimento architettonico nel grande chiostro di Montecassino; e divenire grandi e pesanti, per solennissime colonne e grevi architravi, perfino i pozzi veneziani, come quello cinquecentesco che è nel gran cortile della Zecca e l'altro seicentesco ch'è nell'Ospedale dei Ss. Giovanni e Paolo nella scuola di S. Marco, e quello del Settecento, bello per le molli volute dei mensoloni che ne spartiscono gli specchi, nel palazzo Grimani a S. Luca.
E lo stesso pozzo ch'è nel mezzo dell'antico chiostro dei Frari, oggi archivio generale di stato, che è settecentesco ma che appare già neoclassico per la vera semplicissima, lineare, negli armonici spartimenti, non s'allontana dal prototipo cinquecentesco ed ha colonne abbinate e fasciate su cui imposta un architrave coronato da un fastigio, ove appaiono la Trinità su cumuli di nuvole e due angioletti in adorazione. (V. tavv. XXVII-XXXII).
Bibl.: F. Ongania, Raccolta delle vere da pozzo in Venezia, Venezia 1911; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927; G. T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda, Milano 1908.
Pozzi di miniera.
I pozzi di miniera (in ted. Schacht) possono essere adibiti a varî scopi: al passaggio delle persone addette ai lavori, all'estrazione dei minerali e dei materiali sterili, alla ventilazione e al passaggio delle condutture. Quando un pozzo deve servire contemporaneamente a più scopi, viene diviso con tramezzi in legname, per modo che i varî servizî che si svolgono in esso non si rechino intralcio a vicenda. La sezione più comunemente adottata per i pozzi di miniera è la rettangolare con i lati di 2 ÷ 3 m. e 6 ÷ 8 m., preferita perché richiede le armature più semplici; la sezione circolare, con diametro di 3 ÷ 5 m., è adottata quando si debbono attraversare terreni fortemente spingenti e imbevuti d'acqua, perché è quella che offre la maggiore resistenza. La sezione circolare è anche adottata ogni volta che è previsto per il pozzo il rivestimento in muratura. In taluni casi si adotta anche la sezione policentrica. I pozzi terminano al fondo con un tronco cieco, in cui si convogliano le acque d'infiltrazione per sollevarle poi all'esterno a mezzo di pompe, cassoni ecc.
Pozzi che non sboccano alla superficie del suolo, ma sono limitati da due gallerie a livelli diversi, si dicono pozzi interni o ciechi.
Affondamento dei pozzi. - Lo scavo dei pozzi si eseguisce con procedimenti diversi secondo la natura dei terreni che si attraversano.
Quando il terreno è sufficientemente solido da permetterlo, si preferisce scavare direttamente il fondo del pozzo o col piccone o con l'impiego di escavatori meccanici, che forniscono un lavoro più celere; per rocce dure e compatte si ricorre all'uso delle mine. L'uso del filo a piombo durante lo scavo è necessario per conservare la verticalità delle pareti. Nei pozzi a sezione circolare si sospende un solo filo a piombo al centro del pozzo e da esso si riporta nei varî sensi la misura del raggio. Nei pozzi a sezione rettangolare si sospende un filo a piombo per ciascuno dei quattro angoli. Man mano che procede lo scavo si sostengono provvisoriamente le pareti con un rivestimento in legname formato da un'ossatura di telai e da una parete di tavole. In taluni casi tale rivestimento può rimanere definitivo, ma generalmente, terminata una tratta di scavo, esso viene sostituito da un rivestimento in muratura o in cemento armato.
In terreni che facciano temere franamenti delle pareti se lasciate nude sia anche per breve tratto, s'impiega il procedimento di scavo col marcia avanti, che consiste nell'affondare entro il terreno lungo tutto il perimetro del fondo delle tavole tagliate a becco di flauto, le quali vengono a costituire una parete protettiva, entro cui è possibile eseguire lo scavo con ogni sicurezza. Affondando le tavole obliquamente rispetto all'asse del pozzo, come indicato in fig. 10, si può conservare la stessa sezione di scavo per tutta la profondità.
In terreni sciolti e acquiferi e per profondità non superiore a 50 ÷ 80 metri, è usato il procedimento con sottoscavo e con anello tagliente. Sul fondo del pozzo e lungo il suo perimetro è disposto un anello con bordo tagliente, formato da segmenti di ghisa, sul quale poggia la colonna di rivestimento, che può essere di muratura ordinaria, di cemento armato o composta di anelli metallici (fig. 11). Il peso proprio del rivestimento, spesso aiutato da presse a vite o idrauliche, produce l'affondamento dell'insieme contemporaneamente al procedere dello scavo. Il fondo del pozzo si può allora scavare con i mezzi ordinarî: se l'acqua è troppo abbondante perché riesca conveniente esaurirla si ricorre all'impiego delle draghe (scavo a livello pieno).
Le draghe a tazze si usano solo per piccole profondità; per grandi profondità si preferisce l'impiego delle draghe a sacco (fig. 12) o dell'apparecchio di Pattberg a percussione (fig. 13), che consiste in uno scalpello di diametro eguale a quello del pozzo, col quale si scava il fondo per percussione; i materiali di scavo si scaricano all'esterno per mezzo di pompe a sabbia. A misura che procedono l'affondamento dell'anello e lo scavo del fondo, si prolunga all'esterno la colonna di rivestimento.
Talvolta all'uso dell'anello tagliente si associa quello dell'aria compressa, la cui pressione, equilibrando quella dell'acqua, impedisce a quest'ultima di invadere lo scavo (sistema Triger). Poiché non è conveniente ricorrere a pressioni superiori alle 3 atmosfere, l'uso dell'aria compressa è possibile fino alla profondità massima di 30 metri sotto il livello idrostatico. Per evitare agli operai che lavorano nel pozzo i disturbi che verrebbero causati da una brusca variazione di pressione, si stabilisce la comunicazione tra la camera di lavoro e l'esterno attraverso una camera di equilibrio in cui la pressione si fa variare per gradi.
Quando un pozzo deve attraversare zone talmente acquifere che non sia economico o possibile procedere all'esaurimento dell'acqua, e perciò non si possa eseguire direttamente lo scavo sul fondo, si può ricorrere al procedimento Kind-Chaudron. Questo consiste nello scavare alternativamente un pozzo di diametro ordinariamente di metri 1,20 ÷ 1,50, e nell'allargarlo sino ad avere il diametro che si vuol dare in definitiva al pozzo. Il pozzo preliminare precede quello definitivo in genere di 10 ÷ 30 metri; esso si eseguisce con il trapano indicato in fig. 14. Gli scalpelli a sono fissati in alveoli cilindrici; il pezzo trasversale b, munito di due taglienti, serve a regolarizzare le pareti del foro; la traversa c serve di guida. Per l'allargamento si usa lo scalpello indicato in fig. 15 che ha diametro uguale a quello del pozzo definitivo; l'appendice centrale a di diametro un po' minore di quello dello scavo preliminare serve di guida allo scalpello.
Gli scalpelli sono portati da aste di legno e sono comandati da un bilanciere come negl'impianti di trivellazione. Il numero di colpi è di 20 ÷ 30 al minuto primo. Ad intervalli si sgombra il foro dai detriti, sollevando lo scalpello e abbassando una speciale campana costituita da un cilindro di lamiera di ferro, con il fondo munito di due valvole a cerniera. Traversati i terreni acquiferi e giunti alla roccia solida, si scava con scalpelli orizzontali la sede per la base del rivestimento. Questa è costituita dalla cosiddetta scatola a muschio, che è così composta (figura 16): in un anello di ghisa CD, munito alla base di un orlo esterno, penetra il primo anello del rivestimento propriamente detto, esso pure con un orlo esterno alla base; lo spazio che rimane tra i due anelli è riempito di muschio vegetale, il quale, compresso dal peso del rivestimento, costituisce una chiusura ermetica. Il rivestimento è composto di anelli metallici, solitamente ghisa, ed è chiuso nella parte inferiore da un falso fondo GG, dal cui centro s'innalza un tubo HH che vien detto colonna di equilibrio. Con tale dispositivo il rivestimento sceso a contatto dell'acqua galleggia e il suo affondamento si può regolare zavorrando il falso fondo con l'acqua del tubo di equilibrio, per modo che l'intera colonna scenda gradatamente a stringere la scatola a muschio. Terminato l'affondamento, si versa del calcestruzzo nello spazio tra il rivestimento e la parete del pozzo. Quando il calcestruzzo ha fatto presa, si estrae l'acqua dall'interno del pozzo e si toglie il falso fondo.
In terreni estremamente mobili e acquiferi si adoperano anche i procedimenti Honigmann, Thyssen e Stockfisch, la cui caratteristica consiste nell'uso di acqua fangosa densa (argilla o polvere di barite) per mantenere in posto le pareti dello scavo fino alla posa in opera del rivestimento.
Altro mezzo per eseguire lo scavo dei pozzi attraverso terreno con abbondanti venute acquifere è quello di rendere impermeabile all'acqua il terreno per una zona convenientemente estesa intorno al pozzo da eseguire. Si può ricorrere ai metodi di congelazione o di cementazione.
Col primo dei due metodi menzionati, si eseguisce tutt'attorno all'asse del pozzo progettato una serie concentrica di fori di sonda, che si fanno affondare sino allo strato impermeabile. Questi fori distano l'uno dall'altro circa un metro e sono disposti lungo una circonferenza il cui diametro si tiene di 5 ÷ 6 metri maggiore di quello del pozzo. Nei fori s'introducono i tubi congelatori nell'interno dei quali si fa circolare un liquido frigorifero, in genere una soluzione di cloruro di magnesio raffreddato per mezzo di anidride carbonica a −40° ÷ −50° o per mezzo di ammoniaca fino a −28°. A tale scopo i tubi congelatori sono composti di due tubi coassiali; il tubo esterno è chiuso in basso; il liquido frigorifero scende lungo il tubo interno e risale nello spazio anulare compreso tra i due tubi. Si ottiene così il congelamento dell'acqua che imbibisce il terreno e quindi una parete impermeabile per tutta la profondità del pozzo. Lo scavo può allora procedere con i mezzi ordinarî; col piccone se il nucleo centrale del terreno non è congelato, altrimenti con l'uso degli esplosivi. Di pari passo con lo scavo procede il rivestimento; raggiunto il terreno impermeabile si rende stagna l'unione con esso del rivestimento e si riempie con cemento l'intercapedine tra rivestimento e roccia. Terminate queste operazioni si ricuperano i tubi congelatori. Il metodo per congelamento fu applicato dal Poetsch (1883) per attraversare uno strato di sabbia acquifero nella miniera Douglas in Germania, strato che non era stato possibile attraversare con altro metodo. Anche col metodo di cementazione (sistema Portier) si eseguiscono i fori di sonda intorno all'asse del pozzo, ma, a differenza del sistema precedente, si inietta in essi latte di cemento fino ad otturare completamente i vani esistenti nel terreno. Avvenuta la presa del cemento (dopo quattro o cinque giorni) lo scavo del pozzo può eseguirsi al riparo dalle invasioni dell'acqua.
Armature dei pozzi. - Il legno è il materiale più usato per costituire le armature dei pozzi; esso ha il pregio di una grande adattabilità, però non offre sufficiente resistenza alle forti pressioni, quali spesso si possono incontrare nello scavo dei pozzi, e non ha lunga durata. Spesso si usano legnami imbibiti di sali metallici, di sale comune o di olî di catrame, perché si conservino più a lungo; un'impregnazione efficace si ottiene col metodo di assorbimento ad alta pressione. Il rivestimento in legname si può applicare soltanto a pozzi di sezione rettangolare: è composto di un tavolato sostenuto contro la roccia da quadri collegati tra loro con ritti e tiranti in ferro; ogni 15 ÷ 20 metri viene intercalato un quadro ad elementi più lunghi che penetrano nel terreno e fa da quadro portante. Per le armature di ferro s'impiegano telai di profilati ad ??? o a ???, simili ai telai di legno per le sezioni rettangolari; le sezioni circolari si armano con anelli di profilati ad ??? composti da segmenti uniti con piastre.
Rivestimento dei pozzi. - I pozzi che debbono avere lunga durata si fanno generalmente a sezione circolare. Il rivestimento definitivo può farsi di muratura, di calcestruzzo, di cemento armato o con anelli di ghisa. Il rivestimento di muratura si eseguisce a tratte di 30 ÷ 50 metri, a seconda della consistenza del terreno; ogni tratta poggia su un anello portante, incastrato nella roccia (fig. 17 a sinistra). Lo spessore del rivestimento è in genere di 30 ÷ 50 centimetri. I rivestimenti di calcestruzzo e di cemento armato offrono maggior resistenza di quelli di muratura e permettono di adottare spessori minori e quindi una sezione minore di scavo. Essi si possono anche rendere impermeabili all'acqua aggiungendo all'impasto speciali sostanze. Nelle pareti di cemento armato si dispone un doppio reticolato di ferri nei pressi delle facce, o meglio, l'armatura a traliccio di Breil con la quale si consegue una maggiore resistenza (fig. 17 a destra). I rivestimenti di ghisa sono usati per pozzi che attraversano zone acquifere e in cui si generano forti pressioni. Si usano due specie di anelli: gli anelli inglesi, alti dai 300 ai 700 millimetri, sono rinforzati con costole esterne ed hanno flange grezze di fusione; l'unione di un anello al precedente viene eseguito con cunei di legno forzati nei giunti; gli anelli tedeschi hanno maggiore altezza, in genere 1500 millimetri, sono rinforzati con costole interne e hanno flange lavorate; l'unione di due anelli si eseguisce facendone combaciare le flange e collegandole con bulloni. Ogni 20 ÷ 40 metri di profondità s'interpone un anello di maggior robustezza, incastrato nella roccia, e che serve di sostegno alla tratta di tubazione che poggia su di esso. Per resistere a pressioni molto forti che richiederebbero spessori eccessivi di rivestimento, si usano anelli con speciali sezioni, atte a offrire grande resistenza pur conservando spessori relativamente limitati.