POZZO e CISTERNA
Il p. e la cisterna rappresentano due delle componenti essenziali nei sistemi di raccolta delle acque potabili. Nel Medioevo occidentale si identificarono genericamente come p. tutte le strutture connesse con la pratica di attingere acqua sia dalle falde acquifere sia da serbatoi sotterranei, le cisterne, utilizzate per immagazzinare l'acqua piovana.Il collasso progressivo delle reti distributive idriche che rifornivano per mezzo degli acquedotti le città dell'Occidente romano fu la causa, già a partire dal sec. 5°, della diffusione sempre più capillare di strutture di questo tipo per usi pubblici e privati (v. Idraulica).Per quanto riguarda i p., mentre la tipologia strutturale appare sostanzialmente unitaria e legata alla realizzazione di una perforazione a pianta circolare o quadrangolare, con successivo rivestimento delle pareti con materiali diversi (pietra, laterizi, legno, cementizio), più articolate appaiono la tipologia funzionale, con diverse varianti nel sistema di recupero del contenitore utilizzato per raccogliere l'acqua, e quella decorativa, per lo più legata alla morfologia e alla decorazione della vera o puteale (v.), il parapetto di forma cilindrica o poligonale che proteggeva l'imboccatura del p. stesso.Per quel che riguarda invece le cisterne, una prima valutazione della casistica sembra indicare l'esistenza di due tipi fondamentali, che la storiografia tedesca distingue in Tankzisterne e Filterzisterne.Il primo tipo è rappresentato dai serbatoi sotterranei - generalmente di forma quadrangolare - entro i quali affluiva l'acqua, adeguatamente filtrata, da attingere mediante pozzi. Casi esemplari ne sono la singolare cisterna a due navate (sec. 12°) dell'abbazia di Vézelay (dip. Yonne) e la grande cisterna ad aula unica (m 136,5 ca.) dislocata sul lato meridionale della basilica di S. Giovanni a Castelseprio (prov. Varese). In quest'ultimo caso, solo parzialmente è ancora conservata la volta a botte, costruita con mattoni posti di taglio in duplice fila; la profondità del vano, misurato dal supposto colmo della copertura a botte, doveva essere di ca. m 6. Un'apertura sul fondo, oggi tamponata, comunicava con un adiacente p., attraverso il quale si attingeva l'acqua; scendendo lungo il p. era dunque possibile, per la manutenzione, accedere al serbatoio vero e proprio, una volta svuotata la cisterna. La struttura viene datata al sec. 5°-6°, in accordo con la cronologia della basilica; essa doveva servire per le esigenze liturgiche e lustrali della chiesa, ma non è da escludere che funzionasse eventualmente anche per le esigenze della comunità sepriese.Cisterne di questo tipo incameravano l'acqua piovana raccogliendola dal tetto: come mostra la struttura ancora funzionante nel chiostro del priorato di St. Alban a Basilea, essa veniva convogliata fino alla cisterna mediante speciali colonne o pilastri cavi posti a sostegno del tetto, paragonabili ai moderni pluviali. Manufatti del genere, seppur frammentari, sono stati rinvenuti anche in Italia, per es. negli scavi della chiesa paleocristiana di S. Nazaro Maggiore a Milano e della chiesa di S. Maria Maggiore a Gazzo Veronese (sec. 8°): in quest'ultima località i singoli dadi dei sostegni cavi recano significativamente un'iscrizione allusiva alle virtù purificatrici dell'acqua.Il secondo tipo di cisterna è quello rappresentato dagli invasi con sistema di filtraggio e pozzo centrale per attingere l'acqua, così come risulta applicato per es. nell'abbazia di Westminster a Londra, adottato in varie aree europee, ma sviluppato sistematicamente soprattutto a Venezia e nelle zone da essa controllate o influenzate, come l'entroterra veneto (Udine), l'Istria (Pirano e Capodistria) e la Dalmazia (San Lorenzo del Pasenatico e Zara).Le cisterne alla veneziana sono costituite da un invaso sotterraneo con sezione a forma di tronco di piramide rovescia, da un pozzo centrale e da piccoli raccoglitori laterali dell'acqua piovana, detti 'cassettoni'. Scavato l'invaso, esso veniva rivestito internamente con uno spesso strato sigillante di argilla e poi riempito di sabbia. L'acqua, scendendo attraverso tombini e raccogliendosi nei cassettoni, passava attraverso lo strato filtrante di sabbia e raggiungeva, purificata, l'interno della canna del pozzo centrale.Questo sistema ha rappresentato a lungo l'unico mezzo di rifornimento idrico di Venezia; la sua applicazione accompagna l'intera storia urbana veneziana fin dalle prime fasi insediative, come testimoniano le innumerevoli vere da pozzo decorate (nel 1858 se ne contavano 6782), databili in un ampio arco cronologico a partire dall'8° secolo. Una cisterna alla veneziana è stata rinvenuta recentemente nel corso dello scavo della Rocca di Asolo (prov. Treviso). Un sistema di questo tipo è anche quello dell'abbazia cistercense di Fiastra, nelle Marche (Righetti Tosti-Croce, 1993).
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Il termine bizantino per indicare il p. è phréar (con la variante phréas) o pegádi(n), probabilmente da péghe 'fonte, sorgente', con riferimento allo strato acquifero sotterraneo trovato. La cisterna è denominata kinstérna (con le varianti stérna, ghistérna) o lákkos phréatos, báratron, býthos, oppure ombrodéktes; nel linguaggio religioso, con una certa regolarità, si hanno rispettivamente phréar e lákkos, quest'ultimo secondo un'accezione semanticamente allontanantesi dal lacus romano (Du Cange, 1688; Kukules 1936, pp. 135-136). La necessità di cercare una falda o costruire una cisterna deriva dal bisogno naturale di approvvigionamento idrico, risolto mediante l'impiego di tecniche di tradizione romana o anche di tecniche proprie delle culture autoctone nei territori dell'impero d'Oriente. In genere si può ritenere che il p. abbia avuto una funzione domestica e un uso regolare in territori agricoli: vari, infatti, sono i p. che punteggiano l'interno di case, di atri monastici, di basiliche e di siti rurali isolati. Resta comunque difficile stabilire, in taluni casi, se si tratti di p. o di piccole cisterne a sezione circolare. Altresì incerte sono datazione e identificazione di un p. all'interno di un insediamento bizantino stabilitosi su un sito preesistente: una margella, nuova o riutilizzata, è sufficiente per il riuso di un antico pozzo.La cisterna si sviluppò in dimensioni e tipologie soprattutto nei grandi siti urbani, quando questi aumentarono le loro diversificate esigenze idriche. Il caso di Costantinopoli nel sec. 5°, all'apice dell'espansione urbanistica, è esemplare: enormi cisterne a cielo aperto, come quella c.d. di Ezio (capacità m3 270.000), quelle di Aspar e di S. Mocio - quest'ultima forse ascrivibile all'epoca di Anastasio I (491-518) -, furono pensate come grandi serbatoi, posti su colline, da utilizzarsi in caso di assedio; grandi cisterne sotterranee - fra cui quella di Filosseno, od. Binbirdirek (capacità m3 40.000), e l'od. Yerebatan Saray (capacità m3 78.000) - vennero quindi costruite nei secc. 5° e 6° (ne sono state identificate ca. ottanta) per soddisfare le esigenze delle terme, dei complessi chiesastici e monastici. La cisterna, anche di grandi dimensioni, diveniva necessaria nei centri di pellegrinaggio: ovunque era prevista un'assemblea di visitatori o di residenti, i fondatori, più che ai p., si rifecero alla creazione di cisterne, più o meno grandi, aperte, come in numerosi esempi siriani, o voltate secondo una ricorrente tradizione costantinopolitana. Nel periodo medievale bizantino è più frequente l'evidenza archeologica della cisterna in siti senza acquedotto. Nelle città classiche si rinnovarono cisterne antiche, domestiche e pubbliche, e se ne costruirono di nuove, al di sotto dei percorsi viari cittadini, sotto o intorno alle chiese, vicino alle terme; nelle città o nei siti di dimensioni più ridotte e di nuova fondazione, e soprattutto nelle cittadelle fortificate, le cisterne punteggiavano tutta l'area abitata, accompagnate da p. collettori.Lentamente, nei siti urbani, la cisterna divenne privata e domestica, giacché edifici pubblici, quali fontane e terme, erano ormai divenuti desueti.Il p. è usualmente a sezione circolare, pur se non regolare, e nel periodo bizantino, per la delimitazione della sponda, si andò perdendo l'uso del puteale cilindrico e rifinito in favore di una semplice margella. La margella, marmorea o semplicemente calcarea, era sostenuta da un muretto quadrato in opus incertum (altezza cm 40-60) o poggiava direttamente sul terreno, incassata a delimitare la bocca del p. stesso. Vari sono i casi in cui la margella è pervenuta segnata da più solchi causati dallo sfregamento della corda o della catena della situla. Raramente, e si tratta più propriamente di cisterne a sezione circolare rivestite internamente di cocciopesto, si ha un tipo di puteale (altezza media cm 60-70) in calcare che si eleva sulla bocca circolare: si tratta di p. collettori ricavati nel calcare della collina, ove alla bocca, lasciata nel corso dello scavo intenzionalmente alzata dalla sponda, si aggiunge una sezione muraria circolare costituita di pietre cementate con malta; il p. collettore presenta sottili canalizzazioni che tagliano anche la margella calcarea per immettere direttamente il liquido nella bocca. Usualmente il p. era coperto da una lastra calcarea, sottile e a sezione circolare.Le cisterne si dividono in aperte e coperte. Le prime sono tali soprattutto per le loro grandi dimensioni, che rendevano pressoché impossibile, o comunque enormemente dispendiosa e laboriosa, una qualsiasi forma di copertura. Tale tipologia di cisterna era costruita fuori dai quartieri urbani popolati (per es. a Costantinopoli nelle zone non propriamente parcellate urbanisticamente, nell'area compresa tra la cinta costantiniana e quella teodosiana), nei grandi monasteri siriaci o, in dimensioni più ridotte, in città medievali fortificate e lungo le stationes commerciali - innumerevoli sulle coste asiatiche - che servivano di scalo sulla linea commerciale marittima che da S saliva verso Costantinopoli. In ragione dell'enorme quantità di acqua che esse contenevano, le cisterne aperte presentavano muri di contenimento molto robusti (quella c.d. di Ezio conserva muri dello spessore di m 5,50), con apparecchi murari in laterizio o a corsi alterni di laterizi e pietra; le cisterne siriane sono spesso scavate nel calcare sfruttando gli avvallamenti naturali dei declivi; quelle più tipicamente commerciali presentano muri in opus incertum e conci squadrati (spessore di m 1,10-1,50), anche in questo caso in ragione del volume previsto.Elemento comune a tutte le cisterne è l'opus signinum per il rivestimento interno. Esso consiste di laterizi più o meno finemente triturati frammisti a calcare polverizzato: si creava così un amalgama duro, di ottima presa e impermeabile, dal colore rossiccio, usato in uno spessore variabile da cm 2 a cm 3,5, in relazione alla regolarità dell'apparecchio murario verticale.Molto più variegata è la tipologia della cisterna coperta: essa si presenta molto spesso rettangolare, a volte quadrata, o di forma ovale, assomigliando così a un pozzo. Fermi restando il rivestimento interno di cocciopesto e la variabilità dello spessore dei muri in riferimento al volume, il sistema di copertura e di divisione interna è caratterizzato da una certa fantasia esecutiva. A Costantinopoli, oltre a quelle menzionate, sono da ricordare le cisterne di Santa Sofia e di Santa Irene, quella di Teodosio, del parco di Gülhane, quelle dei palazzi del Bukoleon, delle Mangane, di Botaniate, nonché quelle di Beyazit, del Myrelaion, dell'od. Fethiye Cami e di S. Giovanni di Studios, tutte di dimensioni considerevoli. A queste vanno aggiunte quelle provinciali della Bitinia, di S. Tecla a Meriamlik, in Cilicia (dove forse si hanno influenze costantinopolitane, per i paramenti in laterizio, e di scuola siriaca, per la volta a conci), di Korykos, in Cilicia, e di Side, in Panfilia, che propongono dimensioni notevoli dovute all'importanza della città o del centro; inoltre va ricordato il grande numero di impianti meno importanti (con dimensioni da m 3 a m 14 di lunghezza, da m 2 a m 12 di larghezza, e con altezze da m 1,50 a m 4) sparsi nei numerosi siti ancora inediti o poco studiati. Su superfici molto ampie, serie di colonne di riuso sostenenti capitelli, anch'essi di reimpiego e con imposta, creano corridoi divisi in campate voltate a crociera o a cupola. L'uso di colonne, capitelli e pulvini è indizio di un patronato ricco e facoltoso, per lo più imperiale a Costantinopoli, nei principali monasteri della città come in provincia. La copertura, soprattutto a Costantinopoli e nella sua zona d'influenza, era affidata al mattone, mentre nelle aree provinciali più lontane, dal fabbisogno idrico inferiore, le dimensioni erano più ridotte, la copertura a botte era quasi sempre in conci (aree isaurica e mesopotamica) o nella più comune muratura in pietre (schegge litiche o pietra tagliata a tufelli a guisa di mattone).Ancora più comuni sono le cisterne, di dimensioni più ridotte, divise internamente da pilastri in muratura raccordati da archi e sostenenti volte a botte (per es. a Osmanyie, in Caria, e sull'isola di Tavşan, nel mar di Marmara). La cisterna a dimensioni domestiche (mediamente m 31,51,5-2) è molto semplice nelle sue linee: una 'cassa' affondata nel terreno, a metà fuori dal piano di calpestio, con volta a botte e piccola apertura su un lato corto per attingere l'acqua. Un tipo diverso di copertura è quella piana, fatta con lastroni di calcare su pilastri (a Tavşan, a Qal῾at Sim῾ān, in Siria, nella cisterna ellenistica riutilizzata in epoca bizantina a Syllion, in Panfilia), oppure con lunghe lastre tufacee incastrate in cavità poste sui bordi dei muri (Afyon, in Frigia, Tell 'Ada, in Siria). La cisterna coperta richiede ovviamente una superficie di raccolta esterna: essa può essere il tetto stesso della cisterna, appositamente preparato, o quello di altri edifici, per es. chiesastici, sotto cui la cisterna è posta. Canalizzazioni su questa superficie indirizzano l'acqua verso le fistule che immettono nella cisterna. Il fondo è usualmente a forma concava - le sezioni concave del pavimento corrispondono quasi simmetricamente alle campate sovrastanti - per facilitarne lo spurgo (la sistematica pulizia delle cisterne era prevista anche da diversi typiká monastici); sia pur raramente, anche i Bizantini usarono il sistema di due cisterne accoppiate e comunicanti per far decantare e depurare l'acqua (Plinio, Nat. Hist., 36, 52, 173; Eyice, 1973, pp. 305-306).La necessità di tenere l'acqua in movimento è sottolineata con attenzione dallo Strateghikón (X, 4, 41-62), un trattato militare attribuito all'imperatore Maurizio (582-602). Prima della costruzione di una cisterna, l'acqua veniva raccolta in píthoi e botticelle ove si trovavano ciottoli di fiume puliti; l'acqua veniva lasciata lentamente gocciolare in un vaso posto sotto la botticella: una volta pieno, il contenuto veniva riversato ancora nella botticella. In questi casi, qualora l'acqua avesse cominciato a stagnare emettendo cattivo odore, si aggiungeva a essa dell'aceto. Nei siti strategici di nuova edificazione e sprovvisti di cisterne in muratura, prima di costruirne di nuove erano previste cisterne lignee (xylínai kinstérnai) create con larghe assi di legno fissate in una fossa, legate da giunchi e impermeabilizzate con pece, stoppa o vimini. Un'ulteriore caratteristica delle cisterne coperte è la creazione, nella volta, di aperture circolari, essenziali per l'aerazione: esse possono essere sia puramente funzionali, creando con l'accesso di ispezione, servito da una scalinata, una corrente continua sulla superficie dell'acqua, sia utilizzabili anche per attingere direttamente acqua con la situla.La quotidiana e assoluta necessità del p. e della cisterna venne recepita e sacralizzata dai Bizantini in varie cerimonie paraliturgiche. In un eucologio del sec. 10° (S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 958; Dmitrievskij, 1901, p. 34) si trova la preghiera per lo scavo di un nuovo p., o, come più frequente negli altri eucologi, la preghiera per il pozzo. La prassi cerimoniale ecclesiastica per lo scavo di un p. - legata, nel caso specifico, alla ricerca di una falda - è un'evidenza facilmente riscontrabile nelle fonti agiografiche bizantine: il miracolo causato dall'intervento di Nicola di Sion, nella Licia del sec. 6°, non resta il solo paradigmatico. Il santo scava con una zappa a due punte (díkella) e miracolosamente rinviene la falda "per la vita e il diletto delle creature di Dio" (Anrich, 1913, p. 20), espressione che cristianizza quella vitruviana "(aqua) est enim maxime necessaria et ad vitam et ad delectiones et ad usum cotidianum" (Vitruvio, De arch., VIII, 1, 1); un'icona, calata in un p. secco, fa sgorgare acqua copiosa producendo gioia agli uomini e gloria a Dio, secondo quanto si legge nel Prato di Giovanni Mosco (sec. 6°-7°). La preghiera dell'eucologio, dopo aver richiamato figure scritturistiche, domanda a Dio acqua potabile, abbondante e innocua, dalla buca praticata nel terreno. Più elaborata è la cerimonia per la purificazione dell'acqua in un p. o in una cisterna, quando qualcosa di immondo o di impuro sia caduto all'interno. Inizialmente si trattava di una semplice preghiera che divenne poi una táxis (cerimonia) più elaborata: essa comportava, a parte l'estromissione dell'impurità, una serie di preghiere e di azioni atte a purificare nuovamente l'acqua, che veniva subito assaggiata dal sacerdote celebrante e poi dagli astanti (Anrich, 1913, p. 18; Ruggieri, 1986, pp. 352-354).
Bibl.:
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Letteratura critica. - C. Du Cange, Glossarium ad scriptores mediae et infimae Graecitatis, Lyon 1688; P. Forchheimer, J. Strzygowski, Die byzantinischen Wasserbehälter von Konstantinopel (Byzantinische Denkmäler, 2), Wien 1893; A. Dmitrievskij, Opisanie litugičeskich rukopisej [Descrizione dei manoscritti liturgici]. Εὐχολόγια, II, Kiev 1901; P. De Meester, Liturgia Bizantina, II, 4, Rituale-benedizionale bizantino, Roma 1930, pp. 252-259; E. Herzfeld, S. Guyer, Meriamlik und Korykos (mon. Asiae Min. Ant. III), Manchester 1930; J. Du Plat Taylor, A Water Cistern with Byzantine Paintings, Salamis, Cyprus, AntiqJ 13, 1933, pp. 97-108; P.I. Kukules, Πεϱὶ τὴν βυζαντινὴν οἰϰίαν [La casa bizantina], EEBS 12, 1936, pp. 76-138; S. Eyice, Istanbul. Petit guide à travers les monuments byzantins et turcs, Istanbul 1955; R.J. Forbes, Studies in Ancient Technology, Leiden 1955; E. Yücel, Istanbul'da Bizans sarnıçları [Cisterne bizantine a Istanbul], Istanbul 1967; S. Eyice, La fontaine et les citernes byzantines de la citadelle d'Afyon Karahisar, DOP 27, 1973, pp. 303-307; W. Müller-Wiener, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls, Tübingen 1977; K.M. Kiefer, W. Loerke, s.v. Constantinople Cisterns, in The Oxford Dictionary of Byzantium, New-York-Oxford 1991, I, pp. 518-519; A. Trevor Hodge, Roman Aqueducts and Water Supply, London 1992.V. Ruggieri
In una tipologia d'uso dei p. e delle cisterne nel mondo islamico si possono distinguere alcune categorie principali: p. e cisterne destinati al rifornimento idrico delle città e all'uso corrente delle abitazioni; impianti per l'uso dei viaggiatori lungo percorsi stradali e piste carovaniere; strutture per l'uso agricolo; infine, p. e cisterne per uso religioso e rituale. Quest'ultima categoria è particolarmente interessante, giacché l'acqua assume una grande importanza nella vita religiosa del credente musulmano, dal momento che per accedere alla preghiera gli viene richiesta una purezza in cui l'acqua ha un ruolo fondamentale e non soltanto simbolico.I termini arabi per designare il p. e la cisterna sono rispettivamente bi᾽r (pl. bi ᾽ar, ābār) e ḥawḍ (pl. aḥwāḍ, ḥiyāḍ), parola quest'ultima con cui si indica qualunque tipo di serbatoio artificiale, ma anche un abbeveratoio o una conca naturale. Sorta di cisterne naturali possono essere considerate le depressioni che al Cairo venivano periodicamente riempite dalle acque del Nilo in piena mediante l'apertura del Khalīj: le principali erano la Birkat al-Fīl ('stagno dell'Elefante') e la Birkat al-Ḥabash ('stagno degli Abissini'), ma ne esistevano altre all'interno e all'esterno della città.I p., che ebbero ovviamente un ruolo di particolare rilievo nell'approvvigionamento idrico soprattutto della regione arabica e di quella maghrebina, in larga misura prive di acque superficiali, assunsero sempre nel mondo islamico un carattere spiccatamente utilitaristico e di grande semplicità costruttiva: benché frequentemente citati nelle fonti, anche in relazione alla ricchezza di significati simbolici legati al reperimento, alla conservazione e all'uso dell'acqua, di essi non si sono di fatto conservate testimonianze monumentali degne di nota.Per quanto riguarda invece le cisterne, tra gli esempi più antichi di struttura sotterranea va citata quella di Ramla, in Palestina, conosciuta localmente come Bi᾽r al-῾Anaziyya (Vogüé, 1914; Creswell, 1940, pp. 161-164). La sua costruzione risale al 789, all'epoca del califfato di Ḥārūn al-Rashīd, come attesta un'iscrizione in caratteri cufici situata al suo interno. Gli archi a sesto acuto che fanno parte della sua struttura, e che sono di alcuni secoli anteriori ai più antichi archi ogivali dell'architettura europea, ne costituiscono uno degli elementi più interessanti. La cisterna è formata da una struttura sotterranea di forma quadrangolare (m 2420,50), di m 8 di profondità, suddivisa in sei navate da cinque serie di quattro archi ciascuna, poggianti su pilastri cruciformi, su cui si appoggia una serie di volte, anch'esse a sezione ogivale, che costituiscono la copertura. Una scala, su due semiarchi contro la parete nord, consentiva la discesa sul fondo, mentre diverse aperture al centro delle volte di copertura permettevano di attingere l'acqua con corde e secchi: una descrizione seicentesca riferisce che tali aperture erano coronate da basi marmoree di colonne forate al centro - come vere da p. - e lascia supporre che l'intera area al di sopra della cisterna fosse in origine spianata e pavimentata.Il tema costruttivo della cisterna coperta con strutture di sostegno ad archi e volte, a tutto sesto o a sesto acuto, si ritrova nei primi secoli dell'Islam sia nell'Oriente sia nell'Occidente musulmano. Cisterne di questo tipo, risalenti al sec. 9°, si incontrano a Susa e in altri punti della costa tunisina, in particolare nel ribāṭ di Maharès.Nell'Occidente musulmano la tradizione attribuisce agli Almohadi (1130-1269) la costruzione di opere di pubblica utilità, e in particolare di sistemi di raccolta delle acque, in tutti i territori posti sotto il loro controllo, dalla penisola iberica alla Tripolitania: lungo le strade percorse dai corrieri, le cisterne dovevano costituire punti di arresto e di tappa. All'epoca almohade, e in particolare al regno del califfo Abū Yūsuf Ya῾qūb al-Manṣūr (1184-1199), sono state attribuite le cisterne di Sīdī Bū ῾Uthmān, nei pressi di Marrakech (Allain, 1951). Si tratta di nove cisterne, che formano un insieme di lunghe camere parallele coperte da volte a botte (lunghezza m 49; larghezza m 25; profondità media m 4,5 ca.), comunicanti tra loro attraverso aperture praticate nei muri di separazione. Esse facevano parte di un sistema idraulico costituito tra l'altro da una diga di sbarramento del corso di un wādī e da un canale che conduceva l'acqua alle cisterne attraverso una vasca di decantazione scavata nella roccia. Il particolare interesse delle cisterne di Sīdī Bū ῾Uthmān consiste in una cospicua serie di vere da p. cilindriche in terracotta (ne sono state raccolte sessantacinque) che, inserite nella muratura delle volte, costituivano gli orifici attraverso cui si attingeva l'acqua. Alte mediamente cm 70 ca. e con un diametro di cm 50 ca., quasi la metà delle vere sono decorate a stampo con motivi epigrafici, floreali o geometrici e sono smaltate di verde scuro, costituendo una testimonianza di grande rilievo della produzione ceramica del Marocco medievale.Databile probabilmente ai primi secoli dell'espansione islamica, ma con una struttura assolutamente diversa da quelle finora citate, è la cisterna della Alcazaba di Mérida, in Spagna, che dovrebbe essere assegnabile a non oltre il sec. 10° (Creswell, 1940, pp. 202-205): nessun riferimento archeologico o storico sicuro permette tuttavia di datare con certezza il monumento. Si tratta di una struttura sotterranea con pianta a forma di T, costruita con materiali appartenenti a edifici dell'epoca visigota e composta da tre parti: un passaggio d'ingresso con porte di entrata e di uscita, due scalinate parallele di discesa e risalita e infine, in fondo a queste ultime, il bacino vero e proprio della cisterna. Questo impianto, alimentato dalle acque della Guadiana, avrebbe dovuto assicurare il rifornimento della cittadella in caso di assedio e la sua costruzione potrebbe essere contemporanea a quella della Alcazaba stessa.Tra le cisterne a cielo aperto vanno ricordate quelle realizzate in Ifrīqiya sotto la dinastia degli Aghlabidi (sec. 9°): tali impianti facevano parte di un complesso sistema di lavori di pubblica utilità destinati a conservare l'acqua, e si ritrovano soprattutto nella regione centrale e intorno alla capitale, Kairouan. Le ricerche condotte da studiosi francesi (Enquête sur les installations hydrauliques, 1897-1902; Solignac, 1936; 1952-1953) hanno portato a identificare una grande quantità di opere idrauliche realizzate nei primi quattro secoli della conquista islamica a beneficio della capitale dell'Ifrīqiya e delle città residenziali a essa prossime: la memoria di alcune di queste grandi realizzazioni è stata tramandata da scrittori e da geografi arabi, mentre altre restano in perfetto stato di conservazione.Le c.d. cisterne degli Aghlabidi di Kairouan sono l'esempio più importante e meglio conservato di questo tipo di strutture. Il primo bacino, circolare nella descrizione fornita da al-Bakrī (Kitāb al-masālik wa᾽l-mamālik; sec. 11°), è di fatto un poligono di quarantotto lati (diametro m 128): in corrispondenza di ciascuno degli angoli è posto un doppio contrafforte, all'interno e all'esterno, di sezione approssimativamente semicircolare. Al centro del grande bacino si trova un pilastro formato da un nucleo quadrato cui, su ciascuno dei lati, si addossa una semicolonna cilindrica: probabilmente al di sopra di questo pilastro (larghezza massima m 2,85) era posto un padiglione, descritto da al-Bakrī, forse sostenuto da mensole e dunque di maggiori dimensioni. Il secondo serbatoio, più piccolo, è un bacino di decantazione poligonale a diciassette lati (diametro m 17,40), anch'esso fornito di contrafforti, comunicante con il maggiore attraverso un'apertura ad arco posta ad alcuni metri dal fondo.Il rifornimento delle cisterne avveniva attraverso un acquedotto su arcate - che portava a Kairouan l'acqua di sorgenti, captate già in epoca romana, situate a km 36 di distanza - di cui rimangono oggi le rovine. Altre opere idrauliche permettevano di convogliare verso le cisterne le acque di scorrimento superficiale e quelle del wādī Marj al-Layl durante i periodi di piena. Una cisterna coperta a volta raccoglieva infine l'acqua in prossimità del bacino maggiore; secondo Ibn ῾Idhārī (Kitāb al-bayān al-mughrib fī akhbār al-Andalus wa᾽l-maghrib; sec. 13°-14°) i lavori durarono due anni e si conclusero nell'862.Molte altre cisterne di grandi dimensioni furono costruite durante il dominio degli Aghlabidi nella regione di Kairouan: al-Bakrī parla di quindici bacini all'esterno della città, mentre a Raqqāda, città residenziale creata nel sec. 9° dagli stessi emiri a S della capitale, sono state ritrovate le strutture di un serbatoio di forma trapezoidale, il cui lato maggiore misura m 180 ca. di lunghezza, forse identificabile con il bacino che dava il suo nome al Qaṣr al-Baḥr ('castello del lago'), noto da diverse descrizioni medievali.Un altro bacino a cielo aperto identificava uno dei palazzi della Qal῾a dei Banū Ḥammād, capitale della dinastia hammadita nel Marocco centrale nel sec. 11°: si trattava di un bacino rettangolare il cui lato principale misurava m 65 ca. e dove, secondo il Kitāb al-Istibṣār (seconda metà del sec. 12°), si tenevano dei giochi nautici. Bacini di questo genere non erano necessariamente solo cisterne: la loro funzione non era soltanto quella di assicurare una riserva di acqua per gli usi correnti ed è difficile distinguere nei diversi casi la ragione utilitaria dalla ragione ludica, che probabilmente spesso risultavano associate.Ragioni decorative e nello stesso tempo funzionali, in paesi per natura aridi, rivestivano per es. gli ampi bacini per la raccolta dell'acqua, parte integrante dei giardini persiani e di quelli dell'India islamica, che da questi derivano.Tra i grandi bacini a cielo aperto va ricordata la cisterna di Bosra (Siria), nota come Birkat al-Ḥajj ('cisterna del pellegrino'), vasca rettangolare costituita da blocchi di basalto, attribuita al periodo ayyubide (secc. 12°-13°). Come indicato dal suo stesso nome, la cisterna di Bosra era destinata soprattutto a rifornire i pellegrini che transitavano per la città in un'epoca in cui questa si trovava lungo la via del pellegrinaggio ai luoghi santi delle popolazioni musulmane della Siria e degli altri territori settentrionali. I governanti musulmani prestarono una particolare attenzione ad attrezzare in questo modo i più importanti percorsi che raggiungevano la Mecca dai differenti paesi del mondo islamico: si tratta in genere di opere di non particolare rilievo architettonico, poste a intervalli regolari a costituire luoghi di tappa.Oltre che a sopperire ai bisogni delle città e dei palazzi principeschi, le cisterne assolvevano in molte situazioni urbane la funzione di raccolta dell'acqua necessaria alla purificazione che precede la preghiera. Ciò spiega la presenza di cisterne, a volte di dimensioni notevoli, all'interno o nelle vicinanze immediate delle moschee e di altri luoghi di preghiera. In molti casi erano realizzate sotto il livello del ṣaḥn (cortile prospiciente la sala di preghiera) e raccoglievano in questo modo sia l'acqua piovana, che vi penetrava attraverso fori nella pavimentazione, sia l'acqua condotta mediante canalizzazioni dall'esterno.È questo il caso della Grande moschea di Kairouan, la cui prima cisterna fu creata all'epoca del califfo omayyade Hishām (724-743), e della cisterna coperta da un'unica volta - oggi parzialmente crollata e visibile dall'esterno - della Grande moschea della Qal῾a dei Banū Ḥammād. A Mahdia (Tunisia), una cisterna sotterranea (larga m 8 ca. e profonda m 9) è situata lungo il muro orientale della Grande moschea: essa faceva parte di un vasto complesso idraulico creato, secondo al-Bakrī, per ordine del fatimide ῾Ubaydallāh, detto il Mahdī (909-934), fondatore della città, e che comprendeva trecentosessanta cisterne rifornite da un acquedotto: la principale era appunto quella della Grande moschea, dalla quale, mediante un sistema di sollevamento a ruota, l'acqua era poi distribuita al vicino palazzo, che era situato a una quota più elevata.
Bibl.:
Fonti. - al-Bakrī, Kitāb al-masālik wa᾽l-mamālik (Description de l'Afrique septentrionale), a cura di W. Mac-Guckin de Slane, Paris 1859 (nuova ed. 1965); Kitāb al-Istibṣār, a cura di E. Fagnan, Recueil des notices et mémoires de la Société archéologique de Constantine 33, 1899; Ibn ῾Idhārī, Histoire de l'Afrique du Nord et de l'Espagne intitulée al-Bayano᾽l-Magrib, a cura di E. Fagnan, Alger 1901.
Letteratura critica. - M. Jomard, Description de la ville et de la citadelle du Caire, in Description de l'Egypte, XVIII, Paris 1829, pp. 119, 297; Enquête sur les installations hydrauliques romaines en Tunisie, a cura di M. Gauckler, 2 voll., Tunis 1897-1902; M. de Vogüé, La citerne de Ramleh et le tracé des arcs brisés, MAIP 39, 1914, pp. 163-180; J.M. Solignac, Travaux hydrauliques hafsides de Tunis, Revue africaine 79, 1936, pp. 517-580; C. Schweitzer, Muslim Waterworks, Islamic Culture 13, 1939, pp. 79-82; K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, II, Oxford 1940, pp. 161-164, 202-205, 289-290; C. Allain, Les citernes et les margelles de Sidi Bou Othman, Hespéris 38, 1951, 3-4, pp. 423-440; J.M. Solignac, Recherches sur les installations hydrauliques de Kairouan et de la steppe tunisienne du VIIe au XIe siècle (J.C.), Annales de l'Institut d'études orientales 10, 1952, pp. 5-273; 11, 1953, pp. 60-170; G. Puglisi, Le cisterne di Dahlac Chebir e di Adal nell'arcipelago delle Dahlac, Bollettino dell'Istituto di studi etiopici 1, 1953; G. Marçais, L'architecture musulmane d'Occident. Tunisie, Algérie, Maroc, Espagne, Sicile, Paris 1954; A. Lézine, Mahdia. Recherches d'archéologie islamique, Paris 1965; A.B.M. Husain, s.v. Ḥawḍ, in Enc. Islam2, III, 1971, pp. 295-297; A.U. Pope, P. Ackerman, Gardens, in A Survey of Persian Art. From Prehistoric Times to the Present, a cura di A.U. Pope, P. Ackerman, III, Teheran 19773 (London 1938-1939), pp. 1427-1445; S.῾A. al-Rashìd, Ancient Water-Tanks on the Hajj Road from Iraq to Mecca and their Parallels in other Arab Countries, Atlal 3, 1979, pp. 55-72; P.M. Costa, Notes on Traditional Hydraulics and Agriculture in Oman, World Archaeology 14, 1982-1983, pp. 273-295.F. Cresti