POTSDAM (XXVIII, p. 125)
La conferenza di Potsdam. - Ebbe luogo nel palazzo di Cecilienhof, dal 17 luglio al 2 agosto 1945; vi parteciparono Stalin, Truman e Churchill con i rispettivi ministri degli Esteri (per l'Inghilterra anche Attlee, capo dell'opposizione, che insieme a Bevin prenderà poi il posto di Churchill e di Eden dopo le elezioni inglesi); si riallaccia direttamente alla riunione di Jalta, di cui fu il naturale sviluppo per i problemi che la fine della seconda Guerra mondiale aveva ormai portato a maturazione.
Su proposta di Truman sin dalla prima seduta fu data vita al Consiglio dei ministri degli Esteri, espressione concreta del direttorio mondiale delle maggiori potenze. Il primo urto scoppiò violento fra Truman e Churchill, da un lato, Stalin e Molotov dall'altro, quando da parte americana si propose la revisione della dichiarazione di Jalta sulle zone liberate d'Europa, con conseguente riorganizzazione dei governi di Ungheria e Romania, su base più democratica. Molotov non rispose direttamente, ma preferì svolgere aspre critiche per la situazione in Grecia, con conseguente vivace reazione di Eden. Comunque, oppose un rifiuto alla proposta di controllo delle elezioni da parte di osservatori stranieri. Il problema italiano fu poi motivo di un nuovo urto: contro la richiesta degli S. U. di apportare "alcune modifiche ai termini dell'armistizio, in considerazione dell'aiuto prestato contro la Germania e della dichiarazione di guerra al Giappone", da parte sovietica si fu irremovibili nel nfiutare qualsiasi trattamento speciale che non fosse garantito anche all'Ungheria, alla Romania e alla Bulgaria. Alla fine il par. IX del protocollo finale riconobbe come primo compito la conclusione con l'Italia di un trattato di pace che avrebbe dovuto "rendere possibile ai tre governi di soddisfare il loro desiderio di appoggiare una domanda da parte dell'Italia per l'ammissione come membro (membership) delle N. U". Si raccomandava la conclusione dei trattati con Bulgaria, Finlandia, Romania e Ungheria.
Il problema mediterraneo prese corpo il giorno stesso dell'apertura della conferenza, con la richiesta di stalin di avere in amministrazione fiduciaria "qualche territorio degli stati vinti", cioè una colonia italiana e, con particolare intenzione, la Tripolitania. Churchill si rifiutò nettamente di discuterne perché "la Gran Bretagna ha grandi interessi nel Mediterraneo e qualsiasi mutamento nello status quo doveva essere vagliato ed esaminato". Dopo altre insistenze russe, il problema venne rinviato, e allora i Sovieti diressero i loro sforzi verso i Dardanelli. Unanimi tutti nel desiderare una revisione della convenzione di Montreux del 1936, mentre da parte degli S.U. si intendeva che "la libertà degli Stretti fosse garantita dalle N.U.", i Sovieti intendevano che la libertà di navigazione fosse garantita da loro, soli o insieme alla Turchia. La questione fu rinviata a conversazioni dirette col governo turco. Sospese le trattative in conseguenza delle elezioni britanniche che portarono a Potsdam Attlee e Bevin, venne quindi affrontato il problema dei confini occidentali della Polonia. Contro il punto VII convenuto a Jalta, la Russia aveva trasferito a questa, col pretesto di motivi di sicurezza militare, tutto il territorio tedesco ad oriente della Nisa, semza consultare la Gran Bretagna e gli S. U., ai quali n0n rimase altro che riconoscere de facto la virtuale annessione. Koenigsberg fu però attribuita alla Russia. Venne poi sanzionato il trasferimento di popolazioni tedesche dall'Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, la continuazione del regime internazionale a Tangeri; fu deciso il ritiro delle truppe da Ṭeherān, e di non esigere riparazioni dall'Austria il cui governo avrebbe esteso i suoi poteri su tutto il paese dall'ingresso di guarnigioni inglesi e americane a Vienna.
A parte la questione delle riparazioni (v. riparazioni di guerra, in questa App.), la politica da adottare in Germania fu il punto più gravido di conseguenze future della conferenza. I suoi obiettivi possono ridursi a tre: a) disarmo e smilitarizzazione; b) denazificazione; c) ricostruzione politica del paese su basi democratiche. Attraverso essi era intenzione delle potenze occupanti di toglier di mezzo le cause profonde dell'imperialismo tedesco: militarismo prussiano, centralismo, grande concentrazione capitalistica e industriale, diseducazione delle masse, ecc. Oltre alle varie misure per il risanamento dell'educazione, la riorganizzazione del sistema giudiziario, la rottura dei cartelli e trusts, circa la riorganizzazione politica e amministrativa della Germania le tre potenze si trovarono d'accordo nel senso che "per il momento nessun governo centrale tedesco dovesse costituirsi, giusta la decisione di Jalta di attribuire la suprema autorità e responsabilità al consiglio alleato di controllo". Altro accordo d'importanza fondamentale e che aprì la strada a interpretazioni divergenti, sino alla odierna aspra tensione tra la Russia e gli occidentali, fu quello che indirizzava l'amministrazione pubblica "verso il decentramento" con sviluppo di un autogoverno locale, ispirato a principî democratici, attraverso consigli, eletti quando lo avesse consentito la sicurezza militare. Potsdam lasciò però aperta la questione della base costituzionale del decentramento, non chiarì cioè se essa dovesse risiedere nel potere centrale, espressione della volontà di tutto il popolo tedesco, con deleghe parziali agli stati, o nel potere degli stati, espressione della volontà popolare dei Länder, con deleghe parziali al governo centrale. Ogni occupante poteva trarre - come poi avvenne - le conclusioni più opposte, anche perché dall'inizio alla fine dei colloqui non vi fu nessuna preoccupazione dei tre Grandi di mettere in rapporto la ricostruzione politica della Germania con quella dell'Europa e chiarire quale funzione assegnare ad essa nella comunità internazionale. Condizione, in ogni caso, necessaria al funzionamento degli accordi di Potsdam era il mantenimento dell'unità fra i tre Grandi. Una volta venuta a mancare questa, come appariva a chiari segni già da Jalta e come venne confermato nella sala di Cecilienhof, i risultati conseguiti si sarebbero presto rivelati fallaci. Ben a ragione J. Byrnes poteva osservare che "gli accordi raggiunti determinarono il successo della conferenza, ma la loro violazione ha mutato il successo in fallimento".
Bibl.: J. Byrnes, Speaking frankly, New York 1948 (traduzione italiana, Carte in tavola, Milano 1948); B. G. Ivanyi e A. Bell, Route to Potsdam, Londra 1945.