potere debole
loc. s.le m. Potere in grado di esercitare un’azione di contrasto e che, tuttavia, non riesce a imporre una propria strategia.
• Il Pdl manifesta alcune incertezze e le maschera dietro la distinzione tra poteri forti da liberalizzare e poteri deboli (leggi tassisti ed altri) da risparmiare o postergare. La risposta di [Mario] Monti è ineccepibile: le liberalizzazioni riguarderanno tutte le categorie, poteri forti e poteri diffusi. Tutti nello stesso decreto. Osservo dal canto mio che i tassisti sono un potere diffuso ma non un potere debole. Come lo sono i camionisti. Come lo sono gli allevatori di mucche inadempienti alle regole comunitarie. Chiamarli poteri deboli è un errore lessicale e alquanto demagogico. (Eugenio Scalfari, Repubblica, 15 gennaio 2012, p. 1, Prima pagina) • Parliamo molto e spesso di «poteri forti». Ma dovremmo parlare piuttosto degli infiniti «poteri deboli» che non possono governare il Paese, ma sono perfettamente in grado d’impedire che venga governato. (Sergio Romano, Corriere della sera, 26 ottobre 2013, p. 61) • In una buona organizzazione, la morfologia del potere non coincide con la morfologia della saggezza; e se le persone più sagge vengono collocate tutte nei ruoli apicali centrali ci si ritrova sguarniti nelle periferie, che sono i luoghi dei «poteri deboli» dove penetrano le malattie più gravi. La saggezza periferica è decisiva sempre, ma soprattutto quando si è circondati da falsi cantastorie in cerca di «re» da incantare. (Luigino Bruni, Avvenire, 17 dicembre 2017, p. 3, Idee).
- Composto dal s. m. potere e dall’agg. debole, ricalcando l’espressione ingl. soft power.
- Già attestato nella Repubblica del 31 marzo 1985, p. 6, Commenti (Ida Magli).