POSSIBILITÀ
. Il concetto filosofico della possibilità ha una storia assai complessa e importante, che si riconnette strettamente a quella del più generale concetto della "realtà" o dell'"essere". Il "possibile" non è infatti un "reale" o "ente", appunto perché deve ancora giungere a tale grado ontologico; ma non è neppure senz'altro un "irreale" o "non ente", appunto in quanto non è escluso il suo raggiungimento di quel grado. Questo suo carattere di medietà tra l'essere e il non essere fa quindi comprendere come la sua autonomia ideale sia inizialmente negata dai pensatori che in nome dell'assolutezza dell'essere escludono ogni sua mescolanza col non essere: come accade implicitamente nell'eleatismo, ed esplicitamente nella eleatizzante scuola megarica, che con Diodoro Crono esclude senz'altro la sussistenza di una possibilità che si distingua dalla realtà. Suo è infatti il famoso argomento, detto "il dominante" (κυριεῦον), che nega l'esistenza di un possibile che non si realizzi, osservando come un possibile da cui nasce l'irreale sia un possibile da cui nasce, contraddittoriamente, l'impossibile. Questa negazione megarica del possibile è, del resto, pienamente consona con la sostanziale identificazione di realtà e necessità che è propria dell'eleatismo, per cui è veramente solo ciò che è necessariamente: mentre il principio della possibilità manifesta, di riflesso, la sua ragion d'essere nelle concezioni che mirano ad intendere e giustificare, contro la necessaria e immutabile realtà dell'essere, la contingente e mutevole realtà del divenire. Così in Platone, che concepisce in termini eleatici il mondo dell'essere ideale, e in termini eraclitei quello del divenire reale, esclude dal primo ed ammette nel secondo il principio della possibilità.
Ma il vero creatore del concetto della possibilità è naturalmente quel pensatore, che è nello stesso tempo il massimo teorico del divenire e dell'evoluzione, Aristotele. Egli discerne anzi due aspetti di tale concetto, distinguendo l'idea del δύνασϑαι da quella dell'ἐνδέχεσϑαι. Il δύνασϑαι è l'"aver capacità", il "potere", come concreta attitudine all'assumere una data forma o all'effettuare una data opera: la "potenza" (δύναμις) è quindi quella possibilità positivamente orientata verso l'essere, che si presenta come elemento essenziale del divenire, eterno passaggio dalla "potenza" all'"atto". L'ἐνδέχεσϑαι è invece il puro "poter essere", senza alcuna predeterminazione né in senso positivo né in senso negativo: la pura pensabilità di ciò che può accadere, senza peraltro che ci sia alcuna ragione per prevedere che esso accada piuttosto che per prevedere che non accada. Questo carattere puramente logico del possibile come ἐυδεχόμενον spiega quindi come ad esso si riferisca quella parte della sillogistica modale aristotelica che studia le forme deduttive costituite di proposizioni "possibili", cioè tali che il rapporto, affermativo o negativo, collegante il predicato al soggetto sia enunciato come meramente possibile. Di fatto questa pura possibilità, nella sua intrinseca indeterminatezza, riesce affatto inafferrabile alla determinata razionalità del pensiero logico, e tutta la sua sillogistica si riduce in realtà, in ciò che ha di solido e sussistente, alla stessa sillogistica semplice. Il puro possibile è infatti, per definizione, ciò che non è ancora determinato perché può determinarsi in sensi opposti, e in tale sua libertà sfugge a ogni determinazione razionale. Per ragione analoga, nel campo del reale la perfezione non è veduta nella potenza, ma nell'atto, in cui questa si è realizzata e dissolta: e così la suprema perfezione di Dio è, come atto scevro di ogni potenza, un puro essere, la cui piena positività non è interrotta da alcuna sopravvivenza di poter essere.
S'intende quindi come il concetto della possibilità debba venire invece in primo piano nella nuova concezione cristiana di Dio, che alla greca negazione della prassi contrappone l'ideale dell'amore, dell'azione e della potenza. Nel suo contrasto col predeterminato mondo della verità razionale (in cui realtà e necessità s'identificano), l'impreveduto mondo del possibile è infatti il mondo della libertà, la sfera del pensabile futuro in cui si disegnano i programmi del volere. Problema massimo della teologia medievale (anche in quella sua forma avant la lettre che fu il neoplatonismo) diviene così quello della conciliazione del razionalismo greco, nella sua sostanza negatore di ogni possibilità e potenza in seno al divino, e del volontarismo cristiano, che nella potenza scorge invece il massimo attributo di Dio: e da tali opposti motivi derivano le opposte tendenze di tutto il pensiero teologico cristiano. All'uscire dal Medioevo, Nicolò da Cusa riassume in una formula tipica i due motivi contrastanti, definendo la divinità come possest, cioè come unità metafisica del posse e dell'esse; e ancora nell'età moderna Spinoza e Leibniz si ripropongono il problema, l'uno risolvendo sostanzialmente il posse nell'esse (quidquid concipimus in Dei potestate esse, id necessario est) per la stessa ragione per cui risolve la libertà dell'azione nella razionalità della causa, l'altro concependo invece la divina ragione come sede delle infinite possibilità, di cui realizza soltanto quelle rispondenti al suo perfetto disegno cosmico. Col Kant il concetto della possibilità si distacca dal problema teologico, e ritorna nella sfera della gnoseologia, come una delle tre categorie della modalità: ché se "reale" è ciò che nell'esperienza è dato dall'influsso della cosa in sé, e "necessario" ciò che è imprescindibile condizione soggettiva di tale esperienza, "possibile" è tutto ciò che, accordandosi con quelle condizioni formali dell'esperienza, può presentarsi in essa. Nella filosofia postkantiana il problema della possibilità si trasforma di conseguenza in quello della sintesi dialettica, che leghi in unità le tre categorie modali.
Bibl.: Per la storia del concetto di possibilità è principalmente da vedere: A. Faust, Der Möglichkeitsgedanke. Systemgeschichtliche Untersuchungen, di cui è finora uscito il vol. I (Heidelberg 1931) concernente il pensiero antico.