POSIDONIO (Ποσειδώνιος, Posidonius)
Pensatore e scienziato greco, nato ad Apamea in Siria intorno al 135, morto, ottantaquattrenne, verso la metà del sec. I a. C. Scolaro di Panezio di Rodi, fu con lui uno dei massimi rappresentanti della cosiddetta media stoa: per la vastità e l'universalità dell'interesse scientifico superò peraltro di gran lunga il maestro, manifestandosi a noi, più in forza dell'enorme influsso esercitato sul pensiero posteriore che attraverso le esigue reliquie delle sue opere, quale una delle più complesse e imponenti figure di tutta la cultura antica. Dopo avere studiato con Panezio ad Atene e compiuto lunghi viaggi scientifici, fondò una sua scuola a Rodi (donde il nome, che spesso gli vien dato, di P. di Rodi), nella quale ebbe a uditori, tra gli altri, Cicerone e Pompeo.
Degli scritti di P., nessuno dei quali è superstite, sono noti ventitré titoli; i più importanti sono: Περὶ ϑεῶν (Sugli dei), Περὶ μαντικῆς (Sulla mantica), Περὶ παϑῶν (Sulle passioni), Περὶ τοῦ καϑήκοντος (Sul dovere), Λόγοι προτρεπτικοί (Discorsi protreptici, cioè esortativi), e un commentario al Timeo platonico. Gli scarsi frammenti superstiti si trovano raccolti in Bake, P. Rhodii reliquiae doctrinae, Leida 1810 - per i frammenti delle ‛Ιστορίαι (Storie) e del Περὶ ὠκεανοῦ (Sull'oceano), v. C. Müller, Fragmenta historicorum graecorum, III, p. 245 segg. e meglio F. Jacoby, Fragmente der griechischen Historiker, II -. La silloge è però ormai del tutto insufficiente, non tanto per quel che concerne i veri e proprî frammenti posidoniani quanto per l'enorme materiale di testimonianze indirette raccolto dalla critica più recente (le ricerche circa le relazioni del pensiero di P. con la cultura antecedente e susseguente hanno costituito uno dei temi principali degli studî moderni di storia del pensiero antico). Tale materiale è quindi da ricercare attraverso tutta la letteratura critica, per la quale v. più sotto la bibliografia.
Il sistema di P. è caratterizzato in primo luogo dall'intento di conciliare in un grande complesso armonico ogni verità ricavabile dal pensiero precedente. Stoico nella tradizione scolastica e nella sua prima educazione mentale, P. è perciò anche un eracliteo: il concetto della necessaria implicazione degli opposti e del trapasso dell'uno nell'altro è quindi uno degli strumenti più validi di cui egli si serve per conciliare monisticamente ciò che gli si presenta come essenzialmente dualistico. Eracliteo-stoica è d'altronde in P. anche l'idea del fuoco, simbolo e sostanza del divenire e quindi motore e trasformatore perenne dell'universo: donde una teoria degli elementi, in cui tale concetto si fonde con altri motivi della fisica presocratica e con la concezione platonica del "nesso" degli elementi espressa nel Timeo. A questa unificazione materiale si accompagna un'organizzazione gerarchica dell'universo: per sfuggire all'antitesi platonica (e in certa misura anche aristotelica) del mondano e del sopramondano, P. accentua infatti tutti quei motivi che già nel platonismo servivano a colmare la lacuna tra i due mondi assicurando il passaggio dall'uno all'altro. Insiste sulla posizione intermediaria dell'uomo, terreno nel corpo e ultraterreno nell'anima, e perciò capace di volgersi verso entrambe le sfere dell'universo, e contribuisce così (nonostante che in lui sopravviva, pur con le limitazioni temporali che vi arrecava lo stoicismo, una dottrina escatologica circa il destino oltremondano dell'anima di schietto carattere platonico) a tramandare al mondo moderno tale concetto platonico in quella forma in cui s'incarnò poi più tipicamente, nella Rinascita, il senso del valore cosmico dell'uomo. Nel quadro di tale sistema P. procura poi d'inserire e di giustificare le singole dottrine della filosofia e in genere della scienza antica: rielabora la psicologia platonica arricchendola di motivi aristotelici e insieme adattando a essa la teoria stoica delle passioni; ravviva la teologia stoica del fato e della previsione fondendola con l'escatologia platonica; costruisce una complessa teoria dello sviluppo storico dell'umanità; lavora nel campo di quasi tutte le scienze della natura e della storia (matematica, astronomia, scienza naturale, geografia, linguistica, storia letteraria, storia della filosofia, storia politica, retorica, poetica, arte della guerra), con una vastità d'interesse e di lavoro scientifico per cui trova nell'antichità confronto solo in Aristotele.
Le Storie (‛Ιστορίαι) di P. erano una storia universale in 52 libri e continuavano l'opera di Polibio e quindi partivano dal 146 circa a. C. Quale fosse il loro punto terminale è ignoto, non potendo utilizzarsi in proposito una confusa testimonianza di Suida: certo si aggirava attorno all'età di Silla. Quel che ci rimane di esse non solo è assai poco, ma ci proviene quasi sempre indirettamente da scrittori che hanno già riassunto o contaminato le pagine di P. - Diodoro, Strabone, Nicola di Damasco, Flavio Giuseppe, Appiano, Plutarco, il riassunto di Trogo Pompeio in Giustino, ecc. -, sicché diventa impresa quasi disperata sia la ricostruzione del contenuto sia la determinazione dello stile, ciò che per un pensatore così personale avrebbe evidentemente pari valore: per lo stile il passo più caratteristico concerne il tiranno Atenione ed è riportato da Ateneo V, 211 segg. Non deve, comunque, ingannare che P. si riconnetta a Polibio e, come stoico, ne condivida alcuni concetti filosofici fondamentali. Polibio è uno storico prammatico, dominato dall'analisi dei fattori costituzionali e politici della potenza di uno stato. P. sente agitarsi in sé e fuori di sé nel vasto mondo, che egli contempla con una gioia di vedere rara in un antico, una forza cosmica che dall'irrazionalità sale alla razionalità per assurgere alla provvidenza divina, di cui parla Diodoro nel suo proemio certo attinto nelle idee fondamentali da P. Tutta la vivacità dello stile di P. sta nel mimetismo con cui egli aderisce alla. realtà che contempla. E ciò che nella scala degli esseri lo interessa di più è il contrasto fra il ϑυμός e il λόγος, tra il "furore" dei popoli barbari e il "calcolo razionale" dei popoli civili. P. riconosce naturalmente la superiorità del secondo e appunto in funzione sua legittima la dominazione romana e difende quel partito degli ottimati senatorii, con i cui capi egli era in amicizia, quasi incarnazione del λόγος; ma ha poi d'altro lato una simpatia profonda per la selvaggia e quasi pazza energia delle genti barbare, di cui sa dare descrizioni efficacissime. Sebbene tale contrasto non fosse nuovo (è già anche in Polibio), esso divenne attraverso P. una categoria fondamentale della etnografia antica: dai Celti, che P. probabilmente non sapeva ancora distinguere dai Germani, fu poi trasferito da Tacito ai Germani, mentre Flavio Giuseppe se ne valse, non sempre con effetti felici, per contrapporre il modo di combattere degli Ebrei zeloti a quello dei Romani. Tracce di Posidonio sono state riconosciute, tra gli altri, anche in Cesare.
Nella storia della geografia P. ha posto come uno dei maggiori continuatori dell'indirizzo scientifico, che fa capo a Eratostene (v.). Egli aveva molto viaggiato, soprattutto nel Mediterraneo occidentale, in Spagna, dove, a Gades, fece un lungo soggiorno compiendo osservazioni astronomiche e fisiche, in Sicilia e nelle vicine Lipari, nell'Illirico, nell'Italia settentrionale, a Massilia e nella Gallia Narbonese; e ancora in Egitto e nella Nubia. Nei suoi viaggi portò quel profondo spirito di osservazione che è proprio della scuola stoica. Delle sue opere geografiche si ricordano il Περὶ μετεώρων (o Μετεωρολογικὴ στοιχείωσις) in 17 libri almeno e il Περὶ ὠκεανοῦ, la più importante; inoltre la sua storia conteneva molti excursus geografici. È menzionato anche uno scritto astronomico Περὶ τοῦ ἡλίου μεγέϑους. P. era seguace del sistema geocentrico, anzi forse la sua autoritȧ contribuì a far cadere l'ipotesi eliocentrica di Aristarco; si sa da Cicerone (De nat. deorum, II, 34) che aveva costruito un planetario per dimostrare il moto diurno dei pianeti. Aveva fatto a Gades osservazioni sulle stelle e sul sole, allo scopo di determinarne la grandezza; inoltre calcoli di latitudine e importanti osservazioni sulle maree. A P. si attribuisce anche una nuova misura della circonferenza terrestre, ma da una notizia di Cleomede parrebbe che avesse solo indicato un procedimento per arrivarci; il risultato sarebbe stato il valore di 240.000 stadî per l'intera circonferenza. Altre fonti dànno invece 180.000 stadî, forse riferendosi a un diverso valore dello stadio; e quest'ultima cifra in seguito valse, anche perché accolta da Tolomeo.
P. sviluppò la teoria delle zone, trattò della forma dell'ecumene, che ammise unica e circondata da un oceano continuo; mise in luce la corrispondenza fra l'andamento delle maree e le fasi lunari, distinguendo per la prima volta, in modo chiaro, il periodo semidiurno, quello semimensile e quello annuo della marea, si occupò delle profondità oceaniche, studiò e descrisse fenomeni sismici e vulcanici, indagò in genere le trasformazioni che avvengono alla superficie terrestre.
È difficile ricostruire il contenuto della ricostruzione di F. Schühlein, Untersuchungen über Posidonius's Schrift Π. Ω., Friesingen 1901, è poco persuasiva); probabilmente l'opera conteneva, accanto alla trattazione di questioni di geografia generale, una descrizione del mondo conosciuto, fatta forse secondo lo schema dei peripli (onde essa è talora citata col titolo di Periplo), ricca di osservazioni personali e anche di notizie etnografiche. P. si era occupato infatti anche di questioni antropogeografiche, per es. della influenza del clima sui caratteri fisici degli abitanti; inoltre degli usi, costumi, istituzioni dei varî popoli ecc. Gli scritti geografici di P. furono largamente sfruttati da molti autori (Cleomede, Gemino, Strabone, Varrone, Lucrezio, Cicerone, Seneca, Plinio; l'autore del poemetto Aetna, ecc.), ma in confronto a questa ampia utilizzazione, scarsissimo è il numero dei frammenti e delle citazioni testuali, onde la difficoltà di attribuire con sicurezza talune notizie a questa o a quella opera e anche di sapere se talune sue opinioni e concezioni sono tramandate esattamente. Ma certo l'influenza delle dottrine geografiche di P. sulla posterità è stata notevolissima.
Bibl.: Il principale libro d'insieme su P. è sinora quello di K. Reinhardt, P., Monaco 1921, non esente peraltro da difetti metodici. Per la vastissima bibliografia speciale, e soprattutto per quella concernente l'enorme influsso esercitato da P. sul pensiero posteriore e in primo luogo sul neoplatonismo (al qual proposito può ricordarsi, come libro di particolare importanza, W. Jaeger, Nemesios von Emesa, Berilno 1914), v. specialmente G. F. Unger, Unfang und Anordnung der Geschichte des Poseidonios, in Philologus, LV (1896), p. 73 segg.; Anordnung der Geschichte des Poseidonios, in Philologus, LV (1896), p. 73 segg.; E. Schwartz, Charakterköpfe aus der antiken Litteratur, 3ª ed., Lipsia e Berlino 1910, p. 91 segg.; E. Pozzi, Sopra il termine estremo della storia di Posidonio di Apamea, in Riv. filol. class., XLI (1913), p. 58 segg.; K. Trüdinger, Studien zur Geschichte der griech-römischen Ethnographie, Basilea 1918; K. Gronau, Poseidonios und die jüdisch-christliche Genesisexgese, Lipsia 1914; W. Capelle, Die griechische Erdkunde und Poseidonios, in Neue Jahrbücher, 1920, p. 312 segg.; J. Heinemann, Poseidonios metaphysische Schriften, Breslavia 1921-28; R. Munz, Poseidonios und Strabo, Gottinga 1929; K. Reinardt, Kosmos und Sympathie, Neue Untersuchungen über Poseidonios, Monaco 1926; A. Modrze, Zur Ethik und Psychologie des Poseidonios, in Philologus, LXXXVII (1932), pp. 300-331; G. Struempel, Name und Nationalität der Germanen, Lipsia 1932.