Posidonio Filosofo e scienziato (Apamea di Siria 135 a.C. ca
Rodi 51 a.C.). Allievo di Panezio ad Atene, compiuti lunghi viaggi scientifici (non prima del 96 si colloca il grande viaggio in Occidente, fino in Spagna, a Cadice e in Turdetania, e lungo le coste settentrionali dell’Africa), fondò una sua scuola a Rodi (da cui il nome che spesso gli viene dato di P. di Rodi), nella quale ebbe come uditori, tra gli altri, Cicerone e Pompeo. Esplicò la sua attività anche nel campo della storia e di quasi tutte le scienze della natura, con tale vastità di interessi e di lavoro da poter essere paragonato sotto questo aspetto al solo Aristotele. Grande fu l’influenza delle opere di P. sul pensiero posteriore (anche se la storiografia più recente tende a ridimensionarla); tuttavia dei suoi scritti, di cui sono noti ventitré titoli, si conservano soltanto scarsi frammenti e testimonianze riportati dalle fonti antiche. Tra le opere più importanti si segnalano: Περὶ ϑεῶν («Sugli dei»); Περὶ μαντικῆς («Sulla mantica»); Περὶ παϑῶν («Sulle passioni»); Περὶ τοῦ καϑήκοντος («Sul dovere»); Λόγοι προτρεπτικοί («Discorsi protreptici», cioè esortativi); un commentario al Timeo platonico; ῾Ιστορίαι («Storie») e Περὶ ᾿Ωκεανοῦ («Sull’Oceano»). Alla vecchia edizione complessiva dei frammenti di J. Bake, Posidonii Rhodii reliquiae doctrinae (1810), si è sostituita (1972) quella di L. Edelstein e J.G. Kidd; i frammenti storici sono raccolti anche nei Fragmente der griechischen Historiker di F. Jacoby. La concezione filosofica di P. è caratterizzata dall’intento di conciliare in un grande complesso armonico ogni verità ricavabile dal pensiero precedente. Nelle sue posizioni si coglie soprattutto l’influsso del pensiero stoico di cui P. condivide i principi fondamentali, ma anche di quello eracliteo, presocratico e platonico (è soprattutto della cosmologia e del latente misticismo del Timeo che egli sente la suggestione). Così egli insiste sulla posizione intermedia dell’uomo, terreno nel corpo e ultraterreno nell’anima, e perciò capace di volgersi verso entrambe le sfere dell’Universo (contribuendo a tramandare al mondo moderno tale concetto platonico in quella forma in cui si incarnò poi tipicamente, nel Rinascimento, il senso del valore cosmico dell’uomo). Le «Storie» erano una continuazione, in 5 libri, dell’opera di Polibio e quindi partivano dal 146 a.C. ca. per giungere poco oltre la fine (85) della prima guerra mitridatica; un’appendice era dedicata alle guerre di Pompeo. Nonostante la larghissima utilizzazione che delle «Storie» fu fatta, dal pochissimo che resta di accenni diretti e di frammenti è impossibile una ricostruzione. Pare tuttavia che uno dei suoi canoni storiografici sia il contrasto tra il furore (ϑυμός) dei popoli barbari e il calcolo razionale (λόγος) dei popoli civili, che egli riconosce superiore e con cui giustifica la dominazione romana e la preponderanza del partito degli ottimati, senza tuttavia celare una profonda simpatia per le forze primitive e selvagge dei barbari. Anche i suoi scritti geografici e astronomici sono di difficile ricostruzione. Durante i suoi viaggi aveva fatto molte osservazioni astronomiche e fisiche. Seguace del sistema geocentrico, pare che abbia calcolato una nuova misura della circonferenza terrestre; studiò inoltre la corrispondenza fra l’andamento delle maree e le fasi lunari, e si occupò di questioni etnografiche. La sua etnografia influenzò la rappresentazione dei popoli nordici in Strabone; è oggetto di discussione il grado di dipendenza di Cesare e di Tacito da P. nella rappresentazione dei Germani. Tutte le sue opere furono ampiamente utilizzate ed esercitarono largo influsso sulle posteriori dottrine geografiche. Il suo ritratto è noto da un busto (conservato nel Museo archeologico di Napoli), copia di un originale bronzeo dell’80-70 a.C., di stile classicistico e accademico.