POSIDONE (Ποσειδῶν; po-se-da-o nella Lineare B)
Divinità preellenica passata poi nel pantheon greco come dio dell'elemento liquido, figlio di Kronos e di Rhea, fratello di Zeus, sposo di Anfitrite.
L'etimologia del nome che presenta variazioni da regione a regione, viene collegata sia con ποτός, ποταμός (fiume), sia con πότης -ιδ (ingrassare), -δο, δίδωμι (perchè dà la sposa allo sposo) -ἴτονος (signore dell'isola Ton = Creta), ποτι -ἴδα (montagna boscosa), sia con πόσις- δᾶ (= γῆ) e in questo ultimo caso quale "sposo della terra" (a cui talora si accompagna in rappresentazioni ceramografiche come nella coppa di Aristophanes a Berlino) sarebbe da annoverare in origine fra le divinità ctonie. Ipostasi di Zeus, uno dei suoi attributi, il tridente, non sarebbe altro che la trasformazione del fulmine, mentre un altro, il cavallo, indicherebbe non già le onde del mare ma un rapporto con l'Oltretomba e coi suoi demoni, ai quali quest'animale viene spesso congiunto. All'oracolo di Gea P. era ancora associato in Delfi, ove, nel tempio di Apollo, ancora in epoca storica possedeva un altare. La tradizione vuole che il culto di P. sarebbe stato diffuso nel mondo greco dai Mini della Tessaglia; in Attica giunse probabilmente dalla Beozia e ad Atene da Eleusi, ove aveva nei tempi più antichi un posto preminente. Il conflitto con Atena per il dominio di Atene adombra l'antagonismo fra due culti, ove quello di P. ha l'aspetto più antico. Ipostasi di P. fu considerato spesso Eretteo. Sede principale del culto di P. fu la Beozia, ma egli era molto venerato anche nel Peloponneso tanto che intorno a lui si raggruppò una delle più antiche Anfizionie; ricorderemo ancora il tempio che gli era dedicato al capo Sunio e all'Istmo e il particolare onore di cui godeva nella Magna Grecia, a Taranto ed a Posidonia, la città che recava il suo nome. Ma come uno degli dèi maggiori il suo culto fu largamente diffuso in tutto il mondo classico.
Le più antiche rappresentazioni di cui abbiamo memoria risalgono agli albori della plastica greca e lo presentano secondo un'iconografia che lo accosta al dio dell'acqua (Ea) frequente su sigilli mesopotamici, ma gli aggiungono l'attributo specificamente ellenico del tridente. Le fonti parlano di un altare di P. opera di Dedalo, di un rilievo bronzeo di Gitiadas nel tempio di Atena Chalkioikos a Sparta (fine VII-inizio VI sec. a. C.); anche sul trono di Apollo ad Amicle, opera di Bathykles di Magnesia (circa 530 a. C.), fra tanti altri miti era illustrato anche quello di P. e Alcione.
Se di tutte queste opere non ci rimane però che la descrizione degli antichi, in una testa dipinta in terracotta rinvenuta nel santuario submiceneo di Asine, che esibisce un volto barbuto di singolare espressività, si è voluto riconoscere la più antica effigie conservata di Posidone. Seguono a questa, in ordine cronologico, degli ex voto provenienti dal santuario di Artemide Orthìa a Sparta (fine VIII sec. a. C.). Un'eco dello stile della famosa pittura di Kleanthes di Corinto (metà VI sec. a. C.) nel tempio di Artemide Alpheionèia ad Olimpia (Strab., C, 343) si può cogliere certamente sui pìnakes corinzî (Musei di Berlino e Louvre), ove P. compare spesso sia solo con Anfitrite, sia in compagnia di altri dèi, vestito di lungo mantello o, più raramente, con tunica corta e quasi sempre barbato (c'è una sola eccezione). Suoi attributi sono, come di consueto, il tridente ed il tonno, cui qui si comincia a sostituire ancora saltuariamente il delfino, che lo accompagnerà, in seguito, definitivamente, meglio prestandosi a motivo decorativo. Sul vaso François, opera di Kleitias ed Ergotimos (550 a. C. circa), P. partecipa con Anfitrite alla sfilata delle divinità olimpiche ed è ritratto, secondo l'iconografia più comune, col lungo mantello e distinto da Zeus solo per gli attributi: iconografia consueta in tutti i vasi attici a figure nere (ad esempio vaso di Sophilos ad Atene, ove è con Anfitrite e altri dèi, anfore di Amasis a Boston e alla Bibliothèque Nationale di Parigi con Atena, altro vaso pure di Amasis al Louvre, ove si accompagna a Hermes e ad Atena, idria daVulci, ove P. sale su un cocchio tirato da cavalli alati, ecc.). Le rappresentazioni ceramografiche sono suffragate dall'illustre esempio del Tesoro dei Sifnî (525 a. C.) che mostra P. assiso fra le altre divinità sul fregio E. Particolare importanza è destinata ad assumere, allorchè sarà resa nota, la statuetta in bronzo, di notevoli dimensioni e di tipologia ancora arcaica, recentemente (1962) trovata ad Ugento (Lecce). La fedeltà alla tradizione iconografica propria a tutta l'arte arcaica perpetua il tipo anche nella ceramografia attica a figure rosse del V sec. a. C., qui il dio compare sia nelle assemblee di divinità, sia nell'illustrazione dei suoi miti e di quelli dei suoi eroi (ad esempio cratere di Agrigento, di stile severo, ove il dio in trono stringe la mano a Teseo, mentre Anfitrite attende dietro con la corona che consegnerà all'eroe e rappresenterà il prezzo di una sfida di Minosse; coppa di Hieron con la missione di Trittolemo (Pfuhl, Mal. u. Zeichn., fig. 437, paragr. 504).
A quest'iconografia di P. in attitudine statica, maestosa o addirittura teofanica se ne contrappone un'altra, quella del dio in azione, quale compare nelle scene di gigantomachia ove a volte è ignudo, altre vestito di pelli ferme o di una corta clamide e maneggia i massi contro gli avversari (una volta scaglia addirittura l'intera isoletta di Nisiro) e nella gloriosa monetazione della sua città omonima dalla metà del VI alla fine del V sec. circa (quando cioè Posidonia, conquistata dai Lucani, divenne Paestum). Il dio è ignudo con la clamide intorno alle braccia, col braccio sinistro teso in avanti e il destro sollevante il tridente, a volte barbato e altre imberbe (sulle monete più antiche è rappresentato in rilievo sul diritto ed incuso sul rovescio). Imberbe era anche il P. che si venerava a Patrasso. Il tipo ha una palese ascendenza statuaria; nel campo della plastica ci soccorre un'immagine non lontana forse dall'area culturale nel cui ambito poteva essere nato il tipo posidoniate. Si tratta di una statua bronzea di arte sicionia, o comunque peloponnesiaca, databile al primo venticinquennio del V sec., rinvenuta a Livadostro (Beozia) e conservata al Museo Nazionale di Atene; il dio è rappresentato in piedi, nudo, con una rigida barba (le braccia monche dovevano reggere degli attributi, probabilmente il tridente e forse ancora il tonno), ed è riconoscibile da un' iscrizione sulla base. Si è dubitosamente riconosciuto un P. nella statua bronzea rinvenuta presso il Capo Artemisio, di un personaggio ignudo, barbato, rappresentato in atteggiamento simile a quello delle monete di Posidonia e dello Zeus di Dodona. L'esame accurato della mano destra, che reggeva un attributo in posizione orizzontale, ha fatto pensare ad alcuni ad un atleta mortale, mentre altri vi riconoscevano lo Zeus Ithomàtas di Hageladas; così che questa statua, che è venuta a rinsaldare uno dei più preziosi anelli della lacunosa storia della plastica greca, e precisamente quello della generazione prima di Fidia (465-460 a. C.), non viene però a recare per ora un sicuro contributo alla iconografia del dio. Con Fidia tale iconografia subisce un mutamento: mentre al centro del frontone O del Partenone P. è rappresentato ignudo, in violento movimento; nell'atto di impugnare il tridente nella gara di prodigi con Atena, e rimane quindi fedele al tipo di P. in lotta, fra le divinità del fregio della cella egli è assiso, col petto nudo e lo himàtion intorno alla parte inferiore del corpo, con lo stesso aspetto, quindi, che Fidia aveva dato al suo Zeus e che resterà esemplare per tutto il resto dell'età antica. Così ritroviamo ancora P. nei monumenti gravitanti intorno all'arte fidiaca, nei fregi del tempio di Atena Nike e dell'Eretteo, in quello dell'Hephaisteion e nella produzione ceramografica della fine del V secolo. Si è voluto riconoscere un ricordo della pittura di Mikon nel Theseion di Atene in un cratere attico di Bologna, ove il dio appare negli abissi marini sdraiato su un letto, mentre Anfitrite consegna a Teseo la corona aurea secondo un mito oggetto già di molte antiche illustrazioni. L'altro mito poi, che illustra gli amori di P. con Amimone, troverà una sua grande diffusione e addirittura una sua iconografia particolare nella ceramica dell'Italia meridionale.
Sappiamo che quasi tutti gli scultori del IV sec. lasciarono statue di P.; la figura del dio dell'elemento liquido e signore delle tempeste ben si addiceva ai caratteri di quell'espressionismo che cominciava già a rappresentare una delle esigenze dell'arte di questo periodo. Plinio parla di un gruppo di Skopas, ove P. era rappresentato con un corteggio di Nereidi, delfini, ecc. e che fu portato a Roma, nel Circo Flaminio da G. Domizio Enobarbo. Se ne è riconosciuto un frammento in un Tritone di Berlino e varie rielaborazioni in altre opere fra cui un mosaico ad Olinto in Macedonia e specialmente in un rilievo di età repubblicana romana noto come l'ara di G. Domizio Enobarbo (v. nettuno). Plinio menziona anche un P. opera di Prassitele, ma non ne è rimasta traccia. Nel santuario dell'Istmo Lisippo aveva consacrato una statua di bronzo. Se ne era riconosciuta una replica in un colossale P. del Museo Laterano, ma l'attribuzione è dubbiosa e accanto al nome di Lisippo si è accennato a quello di Bryaxis o ad anonimi scolari dell'uno o dell'altro. Comunque dell'opera esistono tante repliche su rilievi, vasi, mosaici, gemme, monete da autorizzare senz'altro l'ipotesi di un originale illustre. Il dio è, secondo un'iconografia del tutto originale, in posizione di temporaneo riposo, col ginocchio destro flesso e il piede appoggiato sulla prua della nave, mentre nella destra regge l'aplustre, il capo è un poco inclinato, la chioma e la barba prolisse e agitate.
Si è voluto riconoscere la testa del P. creato da Lisippo per il santuario dell'Istmo anche in una testa marmorea dei Musei Vaticani, appartenente certo ad una statua (P. Chiaramonti), ove le ciocche disordinate e scomposte, la mobilità dei piani del volto, la fronte maestosa e corrucciata ben richiamano l'immagine del dio degli abissi, mentre d'altro canto l'ascendenza lisippea trova stilisticamente qualche maggiore suffragio.
Monete del IV sec. della Beozia, di Corinto, di Nisiro e di Demetrio Poliorcete danno un P. seduto o in trono o su una roccia con tridente, delfino e la prua della nave, e presuppongono uno o due tipi statuari, dei quali oltre che dalla numismatica è serbata eco dai vasi di questo e del periodo più tardo.
All'età ellenistica appartiene la colossale statua marmorea del P. di Milo (Museo Nazionale di Atene). Il dio è in piedi con la destra appoggiata al tridente e il corpo panneggiato nello himàtion dalle anche in giù, mentre la parte superiore è ignuda tranne un lembo di mantello sulla spalla sinistra: è ancora in sostanza l'iconografia fidiaca, ma si tratta qui di un'opera già classicista ove l'ellenismo è presente con i violenti chiaroscuri, l'impostazione elicoidale della figura, i "ritmi centrifughi", una magniloquenza superba ed una certa ipertrofia espressiva propria della sua "barocca" fase di mezzo. La stessa iconografia ritroviamo in un P. da Pergamo a Berlino, di tipica arte pergamena, il quale, attraverso una sua analogia con la statua di Mausolo di Alicarnasso e la avanzata attribuzione di questo a Leochares, può, in qualche modo giustificare la paternità a questo artista, al quale alcuni hanno anche attribuito il P. di Milo.
Nella gigantomachia dell'Altare di Pèrgamo P. era presente sulla quadriga accanto ad Anfitrite, sul lato N (lastre 27 e 28), ma la sua figura è andata perduta.
All'arte alessandrina è probabilmente da ascrivere una statuetta bronzea di P. entrata di recente nelle collezioni del Louvre (J. Charbonneaux, in Mon. Piot, xlvi, 1952, p. 25-37) e a quella tardo-ellenistica appartiene la statuetta di P. già nella Collezione. Loeb a Monaco (J. Sieveking, Die Bronze-Samml. Loeb, Monaco 1913, tavv. 17-18).
I tipi creati nel mondo greco e nell'ellenismo, nonché adattamenti e variazioni di tipi originariamente nati per Zeus, come ad esempio quello di Bryaxis di cui si riconosce una versione in un P. romano da Cherchel, furono quelli che si diffusero anche nel mondo romano sia sotto forma di repliche, sia in una loro trascrizione più o meno corsiva in mosaici ed affreschi, sicché si può dire che nell'ellenismo la figura di P. conobbe le sue ultime immagini originali.
L'ultima grande composizione monumentale fu probabilmente un gruppo in oro e avorio dedicato da Erode Attico (II sec. d. C.) nel santuario dell'Istmo, ove P. e Anfitrite erano rappresentati su un cocchio tirato da quattro cavalli e accompagnati da due tritoni e del quale forse si può cogliere un'eco imbarbarita in un tardo mosaico da Costantina al Louvre.
Bibl.: E. H. Meyer-H. Bulle, in Roscher, III, 2, 1902-9, c. 2788-2898, s. v. Poseidon; F. Durrbach, in Dict. Ant., IV, p. 59 ss., s. v. Neptunus; E. Wüst, in Pauly-Wissowa, XXII, 1953, c. 446-557, s. v. Poseidon; B. V. Head, Historía numorum, Oxford 1911; E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., Monaco 1923, passim; C. Picard, Manuel, Parigi 1935-39, passim; G. De Sanctis, Storia dei greci, Firenze 1939; L. A. Stella, Mitologia greca, Torino 1956, p. 387-404; F. Schachermeyer, Poseidon u. die Entstehung des griech. Götterglaubens, Berna 1951; E. Thiemann, Hellenistische Vatergottheiten, Münster 1959. Sulla statua di Livadostro: E. Langlotz, Frühgr. Bildhauerschulen, Norimberga 1927. Statua di Capo Artemisio: E. Curtius, Interpret. v sechs gr. Bildwerken, Berna 1947, pp. 69-82; H. G. Beyen-C. W. Vollgraff, Argos et Sicyone, L'Aia, 1947, p. 41 ss. Sul thìasos di Skopas: P. E. Arias, Skopas, Roma 1952, pp. 112-114.