POSIDONE (Ποσειδῶν)
Divinità degli antichi Greci: nella divisione dell'impero del mondo fra i tre figli di Crono, spettò a lui il regno del mare e delle acque in genere, come a Giove era toccato quello del cielo e a Plutone la signoria degl'inferi. A tale sua qualità di re delle acque accenna chiaramente il suo nome che, formato dalla stessa radice ποτ-, che si ritrova, per esempio, nelle parole πότος, ποταμός, ecc., richiama la potenza e l'azione delle acque, non soltanto di quelle raccolte negli sconfinati bacini del mare, ma anche di tutte le altre che, suddivise in infiniti rivi e torrenti, intersecano e letificano tutta la superficie della terra. Altri, come Hoffnann, Kretschmer e Wilamowitz, interpretano il nome come "sposo della Terra" da πόσις e δᾶ = γῆ, spiegando naturalmente in modo del tutto diverso da quello che qui è preferito il significato originario del nome e riferendosi in specie alla diffusione e alle peculiari caratteristiche che il suo culto ha in Arcadia.
Nell'epica, egli è però soprattutto il dio del mare: nelle profonde cavità dell'oceano, egli abita uno splendido palazzo, dal quale esce, montando l'aureo cocchio, tirato dai veloci cavalli dall'aurea criniera e dalle unghie di bronzo: quando egli scorre così sulla superficie delle onde, gli saltano intorno tutti i mostri del mare, che lasciano libera la via al loro signore: e i destrieri balzano innanzi veloci e nemmeno una goccia bagna il bronzeo asse del carro (Iliade, XIII, 10 segg.).
Nei cavalli di P. erano simboleggiate evidentemente le onde del mare, che rotolano e s'inseguono come una mandria di cavalli al galoppo; e il dio del mare era riguardato come il creatore e il domatore del cavallo. S'intende del resto che le relazioni tra P. e il cavallo vengono spiegate in modo assai diverso da quelli che considerano P. come una divinità ctonia tenendo conto cioè dei rapporti che il cavallo ha con l'oltretomba e con i suoi demoni. Le più antiche sedi del suo culto furono Ege (Αἰγαι) ed Elice (Ελίκη) d'Acaia: due città, i cui nomi si richiamano evidentemente al mare e alla sua natura; il primo, derivato dalla stessa radice che ritorna nel nome Egeo e nella parola αἰγιαλός "lido, costa", il secondo formato dalla stessa radice del verbo ἑλίσσω e perciò alludente al movimento delle onde marine avvolgentisi su sé stesse e fissatosi poi nell'epiteto di Eliconio (‛Ελικώνιος), col quale si appellava P. nel culto acheo e ionico.
Ancora al mare ci richiamano gli altri simboli, che ordinariamente accompagnavano o richiamavano la figura o la presenza di P. E, prima di ogni altro, il tridente, che P., come tutte le altre divinità marine, impugna nell'una o nell'altra mano; tridente, che in origine non rappresentò certo altra cosa che la fiocina o il rampone usato dai pescatori di tonni e di delfini (altri ha voluto vedervi, meno probabilmente, il simbolo del fulmen trisulcum), ma che, in possesso del signore potente del mare, diviene la magica arma, con la quale egli doma i giganti, scuote la terra, fa zampillare fuori dalle rupi le fresche sorgenti. E poi il toro, la cui natura sembra richiamare la violenza delle onde e delle acque correnti, simbolo anch'esso di altre divinità dell'elemento liquido e specialmente degli dei fluviali; perciò si sacrificavano spesso a Posidone tori bruni e con lotte di tori si solennizzavano le sue feste, nei culti della Tessaglia e di Efeso. Infine il delfino, simbolo del mare quieto e placido, caro alle Nereidi, e, in leggende ben note (come, per esempio, in quelle famose di Arione e di Falanto), apportatore di salvezza dai pericoli del mare. A tale carattere marino di P. si ricollega anche il suo aspetto di "scuotitor della terra" (ἐννοσίγαιος, σεισίχϑων), così per costruire come per distruggere: poiché si pensava che tutte le terre emerse poggiassero sul mare, che tutte quante le conteneva e le avvolgeva, nel profondo, sostenendole galleggianti; sicché veramente P. è il dio "che tiene e sostiene la terra" (γαιήοχος), che accumula gli ammassi scogliosi, ma che anche, col terribile tridente, colpisce le coste delle isole e dei continenti e ne fa tremare la superficie e ne abbatte al suolo tutti gli edifici.
Il mito, fin dalle sue versioni più antiche, insiste sulla natura violenta e baldanzosa di P. In Omero, se egli è considerato meno potente del suo maggior fratello, Zeus, maggiore di anni e di senno, signore del cielo e del fulmine, è rappresentato però come un dio fiero e talora crudele, immane nell'aspetto e nella statura, con le chiome brune e gli occhi color del mare, col largo petto sempre avvolto da uno scuro mantello. Dopo aver lottato insieme con gli altri dei contro i Giganti, egli gareggiò a sua volta con l'una o con l'altra divinità per il possesso di qualche regione: con Pallade, per il regno su Atene e Trezene; con Elio per Corinto; con Era per Argo; con Zeus per Egina; e così via. Dal suo connubio con Anfitrite erano nati giganti e mostri, che infestavano il mare e le terre: sono suoi figli o suoi discendenti i giganteschi Lestrigoni e Orione e il possente Cicno, e quell'Anteo, con cui Eracle ebbe a sostenere aspra battaglia, e l'egizio Busiride, e il ciclope Polifemo, per l'accecamento del quale Ulisse attirò su di sé l'odio del dio; e sono del pari sua prole i mostri che hanno tanta parte nelle leggende di Esione e di Andromeda, liberata quella da Eracle, questa da Perseo.
In altri miti, P. compare come suscitatore o pacificatore delle onde e delle procelle marine. È P. che perseguita con le tempeste e coi naufragi Ulisse, che annichila con una spaventosa procella Aiace Oileo, che distrugge la flotta persiana sulle coste del capo Sepia; ma a lui anche si raccomandano i naviganti, perché li salvi dalle furie dei marosi e dei venti tempestosi.
Ma se, come abbiamo detto, la caratteristica più antica e più propria di P. è quella di dio del mare, è anche vero che la sua sfera d'azione si è allargata ben presto a comprendere tutto l'elemento liquido, e quindi anche le acque scorrenti sulla superficie delle terre emerse: e ciò, in dipendenza dell'opinione stessa dei Greci, che tutte queste acque dall'oceano avessero origine e nell'oceano ritornassero. Sotto questo secondo aspetto, come dio delle acque dolci, P. ci si presenta come una divinità mite e benefica della fertilità della terra, simile dunque, nella sua natura, al bonario Oceano, agli dei fluviali, alle ninfe delle fonti e delle sorgenti. Le terre che egli predilige, sono rese fertili dall'abbondanza di rivi e di sorgenti ch'egli fa scaturire dal suolo col suo magico tridente, le regioni ch'egli non preferisce rimangono aride, prive dei benefici delle acque scorrenti. Così P. diviene anche, in qualche parte della Grecia, un dio dell'agricoltura; nel culto arcade è fatto sposo di Demetra; in taluni culti eolici si trova venerato come protettore della pastorizia.
Ed ecco come il cavallo, originariamente sacro a P. come dio del mare, ritorna ancora, sotto altro punto di vista, ad essere l'animale da lui preferito. Là dove erano in pregio i cvalli, dove più se ne curava l'allevamento, ivi maggiore fu la venerazione di questa divinità. Si moltiplicarono le saghe che narravano la creazione del cavallo per opera di P., e, come in Atene si raccontava che P. avesse creato il cavallo in occasione della sua contesa con Pallade per il possesso dell'Attica, in Beozia e in Arcadia gli si attribuiva la creazione di Areio, il destriero invincibile in guerra, che l'Iliade conosce come il cavallo di Adrasto e che anche la Tebaide più volte celebrava; a Corinto invece si favoleggiava che dal connubio di P. con Medusa fosse nato il famoso cavallo Pegaso.
Nel culto di Posidone il cavallo aveva naturalmente parte notevole: tori e cavalli gli si offrivano in sacrificio, spesso gettandoli vivi nelle onde. Le sue feste si celebravano spesso con corse di cavalli, e delle gare ippiche in genere egli veniva riguardato come protettore: gli si erigevano altari negli stadî e gli aurighi lo onoravano, prima della corsa, con preghiere e sacrifici.
Iconografia. - Soltanto a partire da Omero, P. possiede una individualità morale e plastica spiccata: osservando che nell'ampiezza del tronco P. supera lo stesso Zeus (Il., II, 474), Omero fornisce agli artisti greci la base per una concezione plastica del dio non molto diversa da quella del maggiore di tutti gli dei.
Nella sfilata delle divinità olimpiche alle nozze di Peleo e Tetide sul vaso François (550 c. a. C.), P., insieme ad Anfitrite, guida il carro di parata al seguito di quello con Zeus ed Era. A cominciare dai vasi arcaici a figure nere, P. si presenta come un personaggio barbato, drappeggiato nel chitone e nel manto al pari di Zeus, da cui si distingue soltanto per gli specifici attributi nelle mani: il tridente o il delfino, o l'uno e l'altro insieme. Il delfino caratterizza la posizione di riposo del dio, il tridente è l'arma della quale P. si serve contro i suoi avversarî, impugnandola sempre con la destra: lo si vede nelle gigantomachie, dove P. è presentato in singolar tenzone con un Gigante: per lo più Polibote, talora Efialte. Nella statuaria arcaica P., presentato di solito in aspetto aggressivo, in atto di brandire il tridente, dovette essere concepito sin dalle origini completamente nudo nella persona, o con la clamide avvolta intorno alle braccia: come si vede su monete di Posidonia del sec. VI a. C., e come appare rappresentato nella statua di Livadostro al Museo nazionale di Atene. Su vasi dipinti a figure rosse, fino al 450 c. a. C., il dio appare sempre ampiamente ammantato.
Un momento decisivo nella iconografia del dio è rappresentato dalle sculture del Partenone. Nella theoxenia del fregio ionico del tempio, P. è seduto, drappeggiato nel manto, col petto nudo al pari di Zeus. Al centro del frontone occidentale, poi, P. rappresentato in gara con Atena, appariva nudo e in energico movimento, nell'atto appunto di impugnare il tridente. Un manto svolazzante dietro le spalle del dio si vede nella riproduzione del motivo sulla nota idria a rilievi, proveniente da Panticapeo (Kerç). Il tipo iconografico di età e arte fidiaca fa testo per l'arte classica più recente. Completamente nudo è rappresentato P. nella gigantomachia sulla coppa attica di Aristofane a Berlino (fine sec. V; v. fig. vol. IV, p. 34). Variamente drappeggiato nel manto è su pitture vascolari attiche del sec. V, e italiote del secolo successivo, illustranti gli amori di P. con Etra, Amimone, Anfitrite.
L'arte greca del sec. IV inoltrato porta un rinnovamento nel tipo statuario di P. Si fa risalire a Lisippo l'originale in bronzo da cui deriva il P. notissimo del Museo Lateranense: col piede destro sollevato e piantato sulla prua di una nave, stringendo con la sinistra il tridente, con la destra un aplustre, con il tronco lievemente reclinato in avanti, e l'avambraccio appoggiato contro la gamba sollevata (v. fig. vol. XVIII, p. 872). Il volto è incorniciato da una chioma e una barba folte. Una corona più caratteristica formano la barba e i capelli intorno alla faccia del dio nella testa mutila di P. che è al Museo Vaticano (Chiaramonti; v. fig. vol. XXI, p. 265) e che viene riferita pure all'arte di Lisippo. Quivi i riccioli appaiono infoltiti e appesantiti come a causa della salsedine marina. Insieme con i tratti non idealizzati del volto, ciò contribuisce ad accentuare il carattere veristico del tipo e la specifica sua natura marina.
Veramente classico e grandioso torna ad apparire P. nella statua di Milo, pure al Museo nazionale di Atene, dove la figura è presentata in in movimento, nell'atto di reggere con la destra il tridente, con la sinistra il manto intorno alla persona, riflettendo nell'aspetto solenne il tipo tradizionale di Zeus. Sul grande fregio della gigantomachia dell'Ara di Pergamo la figura di P., completamente perduta, occupava l'estremità destra del lato nord. Nel fregio scolpito dell'altare detto di Domizio Enobarbo alla Gliptoteca di Monaco (sec. I a. C.), P. è presentato seduto a sinistra di Anfitrite sul carro tirato da Tritoni, e porta impressi sul volto tuttora i caratteri dell'arte ellenica. Nessuna innovazione viene portata al tipo di P. nella piccola statuaria in bronzo, di età ellenistico-romana. Su pitture pompeiane è sviluppato il motivo degli amori di P. Su mosaici romani, tra cui importante quello delle Terme di Ostia, ricorre frequente l'apoteosi di P. su quadriga, in mezzo a un'assortita fauna marina.
Tra i culti più antichi di P. in Grecia, sono anzitutto da ricordare quelli di Beozia e di Tessaglia. Si onorava il dio dell'elemento liquido nella Beozia ricca di acque correnti e di vasti bacini lacustri; lo si onorava nella Tessaglia, assegnandogli l'epiteto di Petreo, perché si credeva che egli avesse aperto, con un colpo del suo tridente, la rupestre valle di Tempe, dando così uno sfogo alle acque del fiume Peneo, le cui inondazioni affliggevano prima la regione.
Diffusissimo troviamo il culto del dio anche in tutto il Peloponneso, nsn meno nelle regioni dell'interno che in quelle costiere. Indubbiamente però la religione di Posidone ebbe qui sua sede preferita nelle città dell'Istmo, dove, in progresso di tempo, assunse importanza panellenica, quando appunto in onore del dio furono istituiti i giuochi istmici (vedi istmie): Corinto, Nauplia, Trezene venerarono al massimo grado, fra gli altri dei, Posidone, e la vicina isola di Calauria fu centro di un'antica e famosa Anfizionia, che riconosceva Posidone per patrono e che riuniva le città di Ermione, Epidauro, Egina, Atene, Prasie, Nauplia e la beotica Onchesto: in questo santuario di Calauria, Demostene, come è noto, si diede la morte. Sempre nel Peloponneso, tiene un posto importante il culto acheo di P.: due città dell'Acaia, Ageae ed Helike, appariscono già nell'Iliade (VIII, 203) come antiche sedi della religione di P.
Già abbiamo ricordato l'importanza del culto di P. nell'Arcadia, dove questa divinità veniva onorata soprattutto come patrona dei cavalli e del loro allevamento e come protettrice dell'agricoltura, unitamente a Demetra; e profonde radici mise la religione di questo dio nell'Attica e nelle isole ioniche, dove penetrò probabilmente dall'Acaia e da Trezene.
Fra le colonie greche, furono specialmente quelle doriche che praticarono più intensamente la religione di P. Basterà ricordare l'importanza che il culto di P. ebbe, fra le città della Magna Grecia, a Taranto e a Posidonia; nella prima, esso era legato alla saga di Taras, il mitico fondatore della città, che si riteneva figlio di P.; la seconda aveva avuto il suo nome stesso formato su quello del dio, la cui venerazione avevano portato seco dalla madre patria quei Trezenî che, dopo aver partecipato insieme con gli Achei alla fondazione di Sibari, avevano abbandonato questa città ed erano andati a fondare la nuova, fiorente colonia sul Tirreno.
Bibl.: E. David, Neptune, recherches sur ce dieu, sur son culte et sur les principaux monuments qui le représentent, Parigi 1839; F. W. E. Gerhard, Über Ursprung, WEsen und Geltung des Poseidon, in Abhandlungen d. bayer. Akad. d. Wissensch., 1850, p. 198 segg.; E. H. Meyer, in Roscher, Lexicon der griech. und römischen Mythologie, III, col. 2788 segg.; L. Preller-C. Robert, Griechische Mythologie, 4ª ed., Berlino 1887, p. 421 segg.; O. Gruppe, Griechische Mythologie und Religionsgeschichte, Monaco 1906, p. 1137 segg.; W. Otto, Die götter Griechelands, 2ª ed., Francoforte 1934, pp. 33 segg., 200 segg.; U. v. Wilamowitz, Der Glaube der Hellenen, I, Berlino 1931, p. 212 segg., II, ivi 1932, p. 144 segg.; G. Furlani, Sulla preistoria del tridente di Posidone, in Studi e materiali di storia delle religioni, VIII (1932), p. 42 segg.