PORTO
. I Romani chiamarono per antonomasia con questo nome la città che sorse nell'impero intorno al porto fondato da Claudio e restaurato da Traiano alla foce del Tevere. In origine la nuova città non ebbe una costituzione propria, ma fu aggregata alla colonia ostiense dipendendo per alcune funzioni da Ostia e per altre direttamente da Roma, sotto l'autorità del prefetto dell'annona. Ma in seguito, aumentata l'efficienza dei magazzini e dei fabbricati di uso pubblico, come anche delle abitazioni civili, si ritenne più opportuno di farne un centro indipendente con magistrati e con leggi proprie. Ciò sembra che sia avvenuto sotto l'impero di Costantino, quando la città acquista il titolo di civitas Flavia Constantiniana Portuensis. Tuttavia il nome più comune è quello di Portus Urbis Romae o semplicemente Portus, che prevale nelle fonti cristiane e del tardo impero.
Le imponenti rovine che si osservano presso le banchine del porto di Traiano, il solo che ci sia conservato, dimostrano una vita molto florida, specialmente nel periodo tra Settimio Severo e l'invasione gotica. Procopio ne parla ancora nel sec. VI come di una città in piena efficienza, circondata da valide mura e fornita di importanti edifici. Porto infatti accentrò durante l'impero quasi tutto il movimento granario della capitale, non solo per servire come approdo alle navi che giungevano da ogni parte del mondo, cariche di cereali, vino, olio e di altre derrate alimentari, ma anche per custodire le derrate stesse entro ben capaci horrea, organizzati e diretti dallo stato, fino allo smistamento verso Roma.
Delle mura resta un notevole tratto con una porta, detta Arco di S. Maria, entro la pittoresca tenuta del principe Torlonia: numerosi sono gli avanzi di magazzini, sviluppati intorno ad ampî cortili o piazze, tra cui primeggiava il Foro cittadino, che, insieme con il cosiddetto palazzo imperiale, hanno fornito gran copia di materiale statuario, conservato ora nel museo Torlonia. Un solo tempio rimane in piedi ed è quello arbitrariamente detto di Portuno, all'ingresso della città verso Roma, elegante costruzione rotonda già contornata da un periptero di colonne corinzie: si osservano inoltre le rovine di un faro, all'imbocco del molo di Traiano; di una lunga banchina ad archi, costruita da questo imperatore verso il porto di Claudio; di una darsena, o bacino secondario, parallela al canale di Fiumicino e già comunicante con esso per mezzo di un canale trasverso; di vaste terme, portici e terrazze. Nel sec. IV vi fu fondato dal patrizio Pammachio uno xenodochio, od ospedale, annesso a una basilica per i pellegrini che sbarcavano malati, ed erano diretti a Roma, per venerare le tombe dei martiri.
Le iscrizioni ci parlano di varie corporazioni di operai, carpentieri, calafati, scaricatori, tabularii, conciatori di pelli, fabbri, ecc., addetti al movimento del porto. Ci ricordano inoltre alcuni magistrati, tra cui un certo P. Lucilio Gamala che restaurò molti templi ed edifici pubblici, un tal L. Crepereio Madaliano che fu addetto (consularis) alla manutenzione del faro e dei moli e alla purgatura del bacino portuale sotto Costantino, e T. Flavio Ingenuo, che fu tabulario, cioè archivista dell'amministrazione dei magazzini statali, oltre a parecchi funzionarî minori.
Sempre dalle iscrizioni siamo informati di templi eretti alle divinità dell'Olimpo: Giove, con gli epiteti di Eliopolitano e Dolicheno, Bacco, Ercole, Diana, Magna Mater, Minerva, ecc.
Molto numerosa era la comunità cristiana, che diede alla Chiesa martiri tra i più venerati, tra i quali S. Ippolito, che la tradizione dice anche vescovo della città prima del 229; certamente Porto fu sede episcopale al tempo di Costantino, poiché nel concilio di Arles del 314 figura tra i firmatarî un tal Gregorius episcopus de loco qui est in Portu Romae. Nel 1120 la diocesi di Porto fu dal papa Callisto II riunita con quella di Silva Candida, chiamata anche delle Sante Rufina e Seconda.
Porto ebbe una particolare importanza durante le guerre gotiche, quando passò più volte dalle mani degl'imperiali in quelle dei barbari e fu saccheggiata per i suoi ricchi granai, che costituivano l'ultima risorsa di Roma abbandonata dagl'imperatori. Poi decadde insieme con la città capitale e fu abbandonata durante le invasioni saracene, salvo un piccolo presidio che vi dimorava per avvertire Roma in caso di una minaccia improvvisa. I pochi abitanti che ancora restavano sul luogo preferirono ritirarsi nell'Isola Sacra, meglio difesa dal doppio braccio del fiume, raccolti intorno alla basilica di Sant'Ippolito, di cui oggi rimane in piedi il bel campanile romanico.
Bibl.: A. Nibby, Della via Portuense e dell'antica città di Porto, Roma 1827; Ch. Texier, Les ports antiques situés à l'embouchure du Tibre, Parigi 1857; R. Lanciani, Antichità di Porto, in Annali dell'Inst. di corrisp. archeol., 1868, p. 114 segg.; G. Tomassetti, Illustrazione della via Portuense, in Arch. Soc. rom. di storia patria, 1900, p. 143; G. Lugli e G. Filibeck, Il porto di Roma Imperiale e l'Agro Portuense, Roma 1935.