PORTO (Ostia) (Portus Ostiensis, Portus Urbis Romae)
Antico nucleo urbano dell'epoca imperiale romana, oggi non più esistente come tale ed il cui territorio è diviso tra la proprietà privata Torlonia-Sforza Cesarini e l'area demaniale dell'Aeroporto Intercontinentale Leonardo da Vinci; zona archeologica di primo piano per la monumentalità dei ruderi relativi ai due grandi impianti portuali di Roma imperiale intorno ai quali ed in funzione dei quali ebbe vita la città di Porto.
Il primo gruppo di abitanti si installò nella zona probabilmente allorché incominciò a funzionare il grande bacino portuale che l'imperatore Claudio volle scavato tra il mare e l'argine destro del Tevere in una zona non particolarmente favorevole per i venti e le correnti marine. Sollecitato dall'urgenza di risolvere il problema del vettovagliamento di Roma, quasi interamente proveniente dal mare, e dallo sfogo delle acque del Tevere in piena, l'imperatore non considerò il pericolo derivato al bacino portuale dal deposito delle sabbie fluviali. Fu questa la causa del suo rapido decadimento e della necessità prospettatasi all'imperatore Traiano di aprire un secondo bacino artificiale più interno corredato da nuove fosse di sfogo per il Tevere. In questo modo il porto di Roma ottenne la massima efficienza marittima e raccolse intorno ai suoi impianti i fondaci, gli uffici, le case dei civili distribuite secondo un preciso piano regolatore.
Dal II sec. d. C. in poi P. accentrò quasi tutto il movimento commerciale di Roma a danno di Ostia, insieme alla quale è però amministrata da un medesimo procurator detto p. portus ostiensis o portus utriusque e con la quale ha in comune alcune corporazioni (per esempio fornai e conciatori) diventando poi sempre più strettamente dipendente da Roma, sotto l'amministrazione, nel IV sec., del suo praefectus annonae e poi nel V sec. del comes Portus Urbis Romae.
È bene precisare che nelle iscrizioni dal I al III sec. non si parla mai di una città di P. ma semplicemente di uno o di due porti ostiensi; la prima volta in cui P. compare come civitas è in un'iscrizione del periodo costantiniano in cui appunto è detto ordo et populus (civitatis) Flaviae Constantinianae Portuensis così come nel Concilio di Arles del 314 appare come Portus Romae rappresentato dal suo vescovo, Gregorio.
In questo periodo infatti il porto ed il suo nucleo urbano subirono ampi restauri e vennero protetti da una forte cinta muraria, quale Ostia non possedette mai, in corrispondenza invece del restauro costantiniano alle mura di Roma.
Le fonti letterarie e le iscrizioni offrono una ricca documentazione sulla vita di P. e sui suoi monumenti; ad esse si affiancano le testimornanze offerte dalle ricerche archeologiche in base alle illustrazioni della zona lasciate dai disegnatori e dagli incisori di varie epoche, nonché dai primi sperimentatori della fotografia aerea dal pallone sino agli attuali studi sull'aerofotografia.
Dopo le esplorazioni del Lanciani ed i sondaggi del Nibby e del Carcopino, le ricerche del Lugli e del Filibeck in occasione della bonifica dell'agro portuense a cura del Principe G. Torlonia, hanno portato alla completa messa in luce del porto di Traiano con gli edifici intorno al bacino poligonale ed il suo collegamento con la zona foranea del bacino portuale di Claudio, appena delineato sotto il secolare, profondo insabbiamento. La ripresa degli scavi nell'ambito di quest'ultimo in occasione dei lavori per l'Aeroporto Intercontinentale di Roma, hanno dato la conoscenza completa dell'impianto di Claudio.
Costruito come attestano le fonti (Cass. Dio, Rom., lx, ii, 1) tra il 42 ed il 64 d. C. (emissione dei sesterzi di Nerone con lo schema del porto sul retro) presso l'argine destro del Tevere, è costituito da un lungo molo foraneo pressoché rettilineo che parte da O, dalle dune del litorale, da un bacino interno scavato artificialmente per una superficie di circa 80 ettari, da un braccio di terra verso E percorso da una larga banchina con edifici per magazzini ed uffici, in collegamento con la sponda di attacco a S sulla terraferma: il bacino è rettangolare con il lato lungo di quasi 1 km e quello breve di circa 700 m, collegato con due fosse-canali al corso del Tevere di cui riceve le acque convogliandole al mare e consentendo uno sfogo del fiume in periodo di piena. Prima di girare ad invito verso l'imboccatura del bacino, ampia circa 200 m, il molo foraneo presenta incorporate nella struttura le fondazioni per il faro e la piccola darsena a mare che lo serviva. Come asserito dalle fonti (Cass. Dio, Rom., lx, ii, 1; Suet., Cl., 20, 3; Plin., Nat. hist., xvi, 40, 201), gli scavi hanno accertato che la gettata cementizia per questa costruzione di notevole imponenza era contenuta nell'invaso di una nave lunga circa 100 m, la storica nave di Caligola che aveva trasportato a Roma l'obelisco per il circo di Nerone. Era evidentemente un sistema di economia costruttiva dato che sono state rilevate nella costruzione del molo altre gettate di tenace conglomerato con tufo e malta pozzolanica in invasi di vecchi natanti lunghi circa 20 m.
La vicinanza alla foce del Tevere condanna però il porto di Claudio ad un rapido insabbiamento; è perciò che Traiano decide a breve distanza di tempo (poche sono le fonti al riguardo: Sch. in Iuvenal, Sat., xii, v. 75; Plin., Pan. Traiani, c. 29; le emissioni di sesterzi con lo schema del porto sul retro) la costruzione di un bacino più interno dove porre al riparo le navi, mantenendo al tempo stesso in efficienza le strutture del porto precedente necessarie al grande movimento commerciale da cui dipendeva il vettovagliamento di Roma. Si ritiene che il nuovo porto sia stato portato a termine tra il 100 ed il 112 d. C.
Il complesso (detto Portus Augusti et Traiani Felicis) vive così per oltre quattro secoli, restaurato ed accresciuto dalle cure imperiali particolarmente all'epoca di Settimio Severo (attestate da un'iscrizione, C.I.L., xiv, n. 113) e Costantino.
Pubblicata già dal Lanciani ed ampliata nei dettagli dal Gismondi, la pianta del porto di Traiano si presenta completa per quanto riguarda l'impianto portuale ed i fabbricati intorno ad esso. Il bacino interno ha forma poligonale per consentire una maggiore capacità ricettiva di sponda; l'esagono che occupa circa ettari 32 di superficie, misura m 357,77 di lato, è profondo m 5, con sponda in opera cementizia portante ad incastro laterale gli ormeggi in pietra per l'attracco delle navi; la sua posizione si giustifica con la presenza nell'area delle due fosse scavate già per il porto di Claudio (attestate da un'iscrizione: C.I.L., xiv, n. 85 dell'anno 46 d. C.) al fine di consentire lo sfogo del Tevere a mare, sistema che viene perfezionato dall'apertura di una unica grande fossa (Plin., Epist., l., viii, n. 17) che unisce il Tevere al mare direttamente (ramo di Fiumicino) con un canale d'apertura verso i bacini portuali (attestata da un'iscrizione: C.I.L., xiv, n. 88, d'epoca traianea); in questo modo è evitato l'insabbiamento del nuovo impianto, dove le navi vengono convogliate per il movimento mercantile ed il disarmo presso gli arsenali.
Ancora oggi accanto al grande porticato a colonnato rustico di travertino dell'epoca claudia (uno dei più forti esempî dell'architettura di quel periodo) rimangono le strutture degli edifici posteriori in opera reticolata di tufo con ammorsature di laterizio, tipica degli inizî del II sec. d. C., in sottile cortina laterizia compatta e rossastra dell'epoca di Settimio Severo, nonché le opere difensive del periodo costantiniano.
Tra i nuclei più interessanti e meglio conservati della edilizia di P., oltre al monumentale colonnato di Claudio, sono notevoli: l'insieme dei magazzini di Traiano (in opus mixtum con vani alti più di 7 m, affiancati, aperti su ampi corridoi o portici che spesso assumono il carattere di mercati veri e proprî con cortili interni e botteghe); un ricco edificio di tipo residenziale, cui è attribuito il nome di Palazzo imperiale, ricostruito ed ampliato sui resti di un precedente complesso d'epoca claudia (con una terrazza a mare sostenuta da un criptoportico, sale di rappresentanza, vani a carattere termale, un piccolo teatro ed un tempietto dedicato ad Ercole); i grandi magazzini di Settimio Severo, classico tipo di costruzione dell'epoca, in cortina rossa laterizia, omogenea, a due piani (articolati internamente in ambienti rettangolari aperti su un porticato e coperti da vòlte a crociera, esternamente fusi in un solo corpo sostenuto probabilmente da arcate cieche altissime a contrasto del gioco interno delle crociere); il tempio rotondo detto di Portuno, caratteristico esempio di pianta circolare con soluzione a cupola portata dal sottostante gioco di nicchie e piccole vòlte; il perimetro delle mura costantiniane, che spesso tagliano e riusano elementi precedenti, con torri quadrate di rinforzo e la porta detta nel Medioevo di S. Maria.
Per quanto riguarda le sepolture, il porto di Claudio si vale del retroterra ancora libero dalle costruzioni traianee; il porto di Traiano invece costruisce la necropoli al di là della grande fossa, nel terreno di risulta tra il Tevere e la medesima, detto da Procopio Isola Sacra; lungo la strada (via Flabia) che la attraversa congiungendo P. al nucleo urbano di Ostia, senza un ordine prestabilito si elevano le tombe, databili tra la fine del I ed il V sec. d. C., appartenenti a famiglie della borghesia commerciale di P., costruite a camere sepolcrali coperte a vòlta a botte o a tetto piano, del tipo a colombari per il rito della cremazione cui spesso dal II sec. in poi si fonde quello dell'inumazione in sarcofagi, attestando una sopravvivenza di usi e di costumi antichi.
Le tombe a camera sono spesso decorate da pitture nelle nicchie e negli arcosoli, con immagini simboliche (le Parche, uccelli e fiori, pavoni affrontati ad una coppa, le Grazie, scene di caccia) (oggi in parte conservate nello Antiquarium ostiense); interessante il ritrovamento di vetri posti sotto i coperchi delle olle funerarie per meglio proteggere le ceneri e quello di tavolette fittili lavorate a rilievo che raffigurano gli arnesi da lavoro e l'attività del defunto e sono inserite nella facciata della tomba; le tombe più ricche hanno intorno il recinto e sono completate pure da banchi in muratura per celebrare accanto alla sepoltura il banchetto; le più povere invece sono a fossa coperta da tegoloni a cappuccina (che spesso hanno vicina un'anfora per le libagioni) o a cassoni in muratura che trovano riscontro in sepolture dell'Africa e della Spagna.
L'indipendenza di P. da Ostia si afferma nel tardo Impero anche per ciò che riguarda la formazione del nucleo cristiano documentato da un ricco corredo epigrafico anteriore all'epoca di Costantino. La diocesi mantiene la sua indipendenza fino al 1120 allorché la sede di P. fu riunita con quella di Silva Candida. Noti sono i vescovi Giovanni, partecipe nel 680 al sinodo di Costantinopoli, Giorgio, che nel 709 accompagna Papa Costantino alla Corte di Bisanzio, Formoso che nell'875 va in Gallia con una legazione romana. Le fonti agiografiche ed epigrafiche attestano in P., oltre ad un notevole numero di sinagoghe ebraiche, alcune basiliche ed aree cemeteriali cristiane, tra cui la basilica di S. Ippolito, quella dei martiri Eutropio, Bonosa e Zosima, entrambe nell' Isola Sacra, che è la zona cemeteriale per eccellenza; in essa, per la conformazione recente del terreno, i cimiteri cristiani si sviluppano, anziché in catacombe, in fosse sovrapposte, protette da tegole e contenenti ciascuna un solo corpo. Importante nell'ambito cittadino lo xenodochio di Pammachio accanto alla basilica portuense, un grande ospedale eretto nel 398 da papa Siricio per ricoverarvi i pellegrini bisognosi di cure dopo i lunghi viaggi per raggiungere Roma dalle varie province dell'Impero. La pianta del complesso, redatta all'epoca degli scavi (1866), consente di conoscere uno dei più completi edifici del genere.
Efficiente fino al IX sec., P. è presa spesso di mira dalle invasioni barbariche (i Goti di Alarico, i Vandali di Genserico, i Goti di Vitige) nel tentativo, occupandola, di affamare Roma; da ciò la parte importante da essa avuta nella lotta dei Bizantini contro i Goti. La sua decadenza ha inizio con le incursioni saracene del IX sec. e l'abbandono dell'abitato e delle opere di manutenzione dei bacini e dei canali da parte dei cittadini con la conseguente diffusione della malaria.
Tentativi di ripopolamento della zona, ampliamenti e privilegi concessi alla diocesi, non riuscirono a restituirla alla vita; nel XV sec. la città era completamente deserta, la sede episcopale feudo privato degli Stefaneschi prima e dei Tozzoli di Sant'Angelo poi. Nel XVI sec. i papi, accanto all'erezione delle torri litoranee a difesa contro i corsari, iniziarono pure la bonifica del retroterra e riattivarono il canale navigabile di Fiumicino (nel 1583 Gregorio XIII e nel 1613 Paolo V coadiuvato dall'architetto C. Maderno); la bonifica completa appartiene all'opera di Giovanni Torlonia tra il 1926 ed il 1935.
Piante e disegni di P.: di Pirro Ligorio, inc. da Giulio De Musis nel 1554, edita in Venezia da Michele Tramezino; di Sebastiano Serlio, ed. in Venezia nel 1566; del Labacco, inc. da Giovanni Boni nel 1567; di Salvestro Peruzzi, anteriori al 1573; di Baldassarre Peruzzi; di Stefano Du Pérac, inc. da Antonio Lafrer, edito dal De Rubeis nel 1575; del Canina nel 1830; del Texier nel 1858; del Lanciani nel 1868; di G. Lugli e I. Gismondi nel 1935, completati nel 1960 da O. Testaguzza per il porto.
Bibl.: C. Fea, Alcune osservazioni sopra gli antichi porti di Ostia, ora di Fiumicino, Roma 1824; id., La fossa Traiana, Roma 1824; L. Canina, Indicazione di Ostia e Porto, Roma 1830; A. Nibby, Analisi dei dintorni di Roma, Roma 1849; Ch. Texier, Ports antiques du Tibre, Parigi 1858; G. B. De Rossi, I monumenti cristiani di Porto, in Bull. Arch. Cristiana, 4, 1886, p. 47; R. Lanciani, Antichità di Porto, in Ann. Ist., 1868, p. 114 ss.; G. Grossi Gondi-Cancani, Descrizione delle rovine di Ostia Tiberina e Porto, Roma 1883; G. Tommassetti, Illustrazione della Via Portuense, in Arch. Soc. Romana di Storia Patria, 1900, p. 143; J. Carcopino, in Not. Scavi, 1907, p. 735 ss.; G. Calza, Ricognizioni topografiche nel porto di Traiano, in Not. Scavi, 1925, p. 45; G. Lugli-G. Filibeck, Il porto di Roma Imperiale e l'Agro Portense, Roma 1935 (compendio esauriente di tutte le precedenti notizie); G. Lugli, in Enc. Ital., XXVIII, s. v.; G. Calza, La necropoli del Porto di Roma nell'Isola Sacra, Roma 1940; G. Lugli, L'iconografia della città di Porto nel secolo XVI, in Rend. Pont., 23-24, 1947-49, p. 187; H. Thylander, Inscriptions du port d'Ostie, 2 vol., Lund 1952; H. J. Leon, The Jewish Community of Ancient Porto, in Harv. Theol. Rev., XLV, 1952, p. 165; P. A. Février, Ostie et Porto à la fin de l'antiquité, in Mélanges, LXX, 1958, p. 295; V. Scrinari, Strutture portuali relative al "porto di Claudio" ecc., in Rassegna dei LL. PP., n. 3, 1960; R. Meiggs, Roman Ostia, Oxford 1960; O. Testaguzza, Il Porto di Traiano, in Ingegneri Architetti (Roma), XIII, 1963, nn. 7-8.