PORTIGIANI
(Portiggiani, Portegiani, Porteggiani). – Famiglia toscana di fonditori e architetti. Il primo membro documentato fu Zanobi (o Zenobi), fonditore di campane e statue, il quale entrò nella Compagnia di S. Giovanni Battista, detta dello Scalzo, con buona approssimazione il 25 giugno 1525 (O'Brien, 2013, p. 42) cosa che permette di fissare presumibilmente la data di nascita intorno al 1500 (se la Compagnia accoglieva, come sembra, giovani a partire dai 25 anni circa di età). Il luogo di nascita non è noto, anche se in una lapide ottocentesca murata nella facciata del Palazzo Pretorio di Fiesole (in piazza Mino da Fiesole), Pagno, Girolamo, Domenico e Zanobi Portigiani sono annoverati tra altri artisti nativi di Fiesole.
Operò per il celebre Jean de Boulogne (Giambologna), con il quale è nota la collaborazione iniziata nell’agosto 1563 per la realizzazione della statua del Nettuno in piazza Maggiore a Bologna, mediante la stipulazione del contratto fra il vice-legato Pier Donato Cesi, vescovo di Narni, l’artista fiammingo e il fonditore fiorentino, mentre all’architetto Tommaso Laureti venne affidata la parte architettonica. La fusione del manufatto iniziò dalla parte inferiore, «ove insomma abitano le sirene, le protomi leonine, gli angolari e gli stemmi» (Emiliani, 1999). L’operazione avvenne all’incirca entro la fine del 1564, prima che i contrasti fra lo scultore e il fonditore esplodessero e si trasformassero in dissidio palese (gennaio 1565) e poi in lite aperta. Giambologna si allontanò dal cantiere per lungo tempo, e le autorità bolognesi si attivarono per far rientrare i due artisti, ma il contrasto risultò insanabile. Per questo motivo il solo Giambologna tornò nella città felsinea nel maggio 1566, assumendosi l’onere di fondere la statua e mantenendo a suo carico la penale prevista per l’abbandono dell’opera. Dai fatti sembra dedursi che la ragione fosse dalla parte di Portigiani e il torto da quella di Giambologna, ma si tratta soltanto di un’ipotesi. Inoltre rimane ignoto il motivo dello scontro. I restauri effettuati a partire dal 1989 hanno messo in evidenza, come scrive Andrea Emiliani (1999), che l’abbandono di Portigiani e il suo mancato ritorno non giovarono all’opera del Giambologna.
Sappiamo che Zanobi realizzò anche due fregi o fasce ornamentali per l’altare maggiore di S. Maria del Fiore a Firenze (Waldman, 2004), ma la sua attività è ancora da studiare.
Ignoto è l’anno di morte, ma si può dedurre che fosse già deceduto l’11 agosto 1569, dal momento che a quella data è documentata una messa in suo suffragio (O’Brien, 2013, p. 389).
L’opera di Zanobi fu proseguita dai figli Girolamo (Scotti, 1969) e Bartolomeo, nati dal matrimonio con la moglie Brigida.
Girolamo nacque probabilmente a Firenze nel 1540, da Zanobi e da una Brigida (O’Brien, 2013, p. 389). Vincenzo Marchese lo segnala quale «fratello carnale di Domenico» (1854, p. 332). Fu fonditore come il padre, ma anche architetto civile e militare e ingegnere idraulico. Entrò nella Confraternita dello Scalzo nel 1567 (O’Brien, 2013, p. 403).
A lui sono attribuite le fusioni di due modellini bronzei (Toro, 1573; Cavallo al trotto, 1573-77) nella Frick Collection di New York, derivati da modelli del Giambologna, e la fusione di una Deposizione di Cristo (1578-79), rinettata da Antonio Susini, oggi al Museo del Louvre di Parigi (Zikos, 2014).
Fu al servizio del duca di Savoia Carlo Emanuele I, per il quale lavorò come ingegnere (Marchese, 1854, p. 332; Scotti, 1969). Con questa mansione è indicato in una patente del duca del 20 maggio 1581 (Archivio di Stato di Torino, Camera dei conti, Patenti Piemonte, anno 1581, c. 156rv).
Il 7 ottobre 1585 fu incaricato dal rettore della Camera dei Conti Mattia Lasbianca di esaminare, insieme a Ludovico Transio, l’itinerario della condotta del sale fino al borgo di San Dalmazzo per verificare la possibilità di costruire una nuova strada e nuovi ponti. Di questa missione sembra esistere una traccia grafica nei disegni non firmati – concernenti le singole tratte analizzate – conservati nell’Archivio di Stato di Torino (Tipi e disegni, Art. 664; Signorelli, 1974, p. 652).
Nel Ducato sabaudo entrò in contatto con l’ingegnere Giacomo Soldati, che lo definì suo «amicissimo ex officio» (Actis Caporale, 1998, p. 297), e si scontrò (1587) con Ascanio Vitozzi per problemi inerenti alla sistemazione del Tanaro ad Asti (Signorelli, 1975 e 1978-1980).
Fu autore di un trattato di architettura militare, intitolato Prospettiva di fortificazioni dell’ingegnere et capitano Girolamo Portigiani fiorentino (ante 1591), stampato a Roma nel 1648, ricco di tavole di bastioni prive di legende. In esso si recupera non soltanto un suo ritratto, ma anche la data di morte, fissata al 1591 e avvenuta forse durante le azioni belliche per la conquista del Marchesato di Saluzzo.
Il dato sembra trovare conferma in una patente della duchessa Caterina di Savoia del 2 dicembre 1591, dove viene menzionata una 'Gioanina' vedova di Girolamo (forse la sua seconda moglie), alla quale si concedevano 50 scudi «a ricordo [del] buon servigio prestato da suo marito» (Archivio di Stato di Torino, Camera dei conti, Patenti Controllo Finanze, anni 1591-1593, c. 37; Alana O’Brien, 2013, 2014, p. 403 segnala per Girolamo una moglie di nome Lucrezia (nel 1567): l’artista potrebbe essere rimasto vedovo ed essersi risposato).
Sappiamo inoltre che il 25 agosto 1594 il duca Carlo Emanuele I stabiliva che si pagassero 30 scudi a Rodolfo Portigiani, figlio di Girolamo, perché restasse al suo servizio (Archivio di Stato di Torino, Camera dei conti, Patenti Controllo Finanze, anni 1594-1595, c. 110) e altri 10 scudi affinché potesse continuare la professione paterna sotto la guida di Ascanio Vitozzi (c. 117).
È questa l’ultima notizia sui Portegiani nel Ducato sabaudo. Nulla si sa di Rodolfo.
Bartolomeo, altro figlio di Zanobi, entrando nei domenicani avrebbe più tardi mutato il nome in Domenico. Nacque intorno al 1536 a S. Miniato al Tedesco (Foratti, 1933) oppure a Firenze (nel contratto per la fusione delle porte del Duomo di Pisa è definito «fiorentino»: Marchese, 1854, p. 298, nota 1). Fu il padre a insegnargli come interpretare i disegni, formare i modelli in terra, fondere e pulire i getti, e come impiegare olio, aceto e vernice per colorare le fusioni (pp. 298-301). Bartolomeo si dedicò anche allo studio delle «belle lettere» (p. 299); chiese di entrare nel convento fiorentino di S. Marco, e qui vestì l’abito domenicano il 5 agosto 1552, quando aveva soltanto quindici anni e mezzo (p. 299). A lui sono attribuite costruzioni e restauri di edifici dei domenicani, come il grande chiostro del convento di S. Domenico a Fiesole (1588-90), ma soprattutto fusioni in bronzo.
Leopoldo Tanfani Centofanti (1897, ed. 1898) attribuì a Domenico l’esecuzione del capitello «et casa» per la colonna che era sulla piazza dinanzi al convento di S. Marco, e riferì che egli ancora negli ultimi tempi della sua vita lavorava per un manufatto vicino alla chiesa di S. Spirito e per le finestre di bronzo a «nichia et nodi» che erano «a Pitti in sul piano della sala» (pp. 155-157): di queste opere vi è traccia nella lettera scritta da Portigiani ai deputati del Duomo di Pisa il 24 febbraio 1595 (Tanfani Centofanti, 1898, pp. 155-157). Uno dei lavori più noti di Domenico fu la cappella Salviati in S. Marco a Firenze, che ospita le sepolture di alcuni dei membri di quella importante famiglia e quella del santo vescovo domenicano Antonino Pierozzi. La cappella fu iniziata nel 1579 e terminata nel 1588. Le fusioni furono eseguite da Domenico Portigiani, che annotò su un prezioso quaderno gli incassi e le spese effettuate (cfr.: Il quaderno della fabbrica della cappella di Sant’Antonino in San Marco a Firenze…, a cura di E. Karwacka Codini - M. Sbrilli, Pisa 1996; Cornelison, 2012).
Elisabeth Dhanens (1971) riteneva che la cappella Salviati fosse «quasi completamente opera di bottega»; di parere diverso si è mostrata Sally J. Cornelison (2012), che ha segnalato il ruolo centrale di Giambologna, affiancato da un esperto fonditore quale Portigiani, che in alcuni casi agiva anche come pagatore, alla stessa stregua di Antonio Susini, retribuito nel luglio del 1581 per «una storia» in bassorilievo (p. 133).
La Cornelison (p. 141) ha anche precisato che Portigiani, per quanto non risulti fondamentale nella letteratura del Giambologna, si trova associato in due progetti molto importanti di quest’ultimo, che vanno ad aggiungersi ai bronzi Salviati. Il primo di questi due fu la fusione bronzea da parte del frate domenicano del dossale scolpito a bassorilievo dal Giambologna, raffigurante l’Unzione del Cristo morto. Questo manufatto, che si trova a Gerusalemme nella chiesa del S. Sudario, come risulta dall’iscrizione posta ai piedi dell’altare, fu un dono (1588) del granduca Ferdinando I de’ Medici (Ronen, 1969-1970). Inizialmente l’opera doveva essere situata nei pressi della 'Pietra dell’Unzione'; dopo vari spostamenti fu sistemata, negli anni Trenta del Novecento, nella limitrofa cappella della Crocifissione, con restauro dell’architetto Antonio Barluzzi. Un dossale gemello, ma più piccolo di dimensioni, è esposto al Metropolitan Museum di New York (inv. 55.72), sempre con attribuzione a Giambologna per l’invenzione e a Domenico Portigiani per la fusione.
La seconda opera menzionata dalla Cornelison, decisamente più importante, e che vide impegnato il frate fonditore sino alla fine della vita, fu la fusione delle imposte delle porte per il Duomo di Pisa dopo il disastroso incendio che colpì l’edificio fra il 24 e il 25 ottobre 1595, e che distrusse, tra le altre cose, le tre porte in facciata (tra cui quella antica, del portale centrale, di Bonanno Pisano). Per la ricostruzione fu allestito un grandioso cantiere; il granduca Ferdinando I de’ Medici e il figlio naturale Giovanni coordinarono i lavori provvedendo ai finanziamenti e predisponendo la riapertura di miniere chiuse all’Elba e l’arrivo di rame e stagno necessario per la rifusione dei battenti. I disegni del progetto delle porte furono eseguiti da Raffaello Pagni. Per la fusione delle nuove porte del Duomo si pensò a Portigiani come al più qualificato dei fonditori presenti sotto la supervisione del Giambologna. Il domenicano si recò a Pisa nel febbraio 1596, esaminò i disegni di progetto di Pagni, e richiese ai committenti 1800 scudi per un’opera comprensiva delle 'storie' inserite nelle formelle dei battenti, oppure 1300 scudi senza la fusione delle stesse 'storie'.
Per quest’opera grandiosa Domenico dovette allestire una speciale fonderia, in uno dei cameroni del convento di S. Marco, con l’aiuto di suo nipote Zanobi, figlio del fratello Gerolamo, che firmò con lui il contratto con gli operai del Duomo di Pisa. L’opera, che avrebbe dovuto essere compiuta in due anni, proseguì per vari motivi – tra i quali le difficoltà per i finanziamenti e i contrasti fra i delegati al restauro del Duomo e Portigiani – sino a dopo la morte di Portigiani stesso, che avvenne a Firenze il 5 febbraio 1602 (Tanfani Centofanti, 1898, pp. 31, 176).
Il suo necrologio si trova negli Annalia conventus Sancti Marci (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, c. 264). La sua opera a Pisa venne proseguita e terminata dal 'maestro di getti' Angelo Serani (tra il 1602 e il 1604), aiutato da alcuni allievi e dal nipote di Domenico, Zanobi. Nello stesso 1602, alcuni mesi dopo la morte di frate Domenico, Zanobi fu allontanato dalla bottega di Serani dal provveditore alle fortezze Giambattista Cresci perché sospettato di furto (il provveditore venne a conoscenza del fatto «che lui pigliava della materia che se le consegnava per getare»; Tanfani Centofanti, 1898, pp. 163 s., nota 1).
Fu eseguito contestualmente l’inventario del lavoro effettuato, e si constatò che erano stati terminati soltanto due sportelli grandi della porta maggiore, oltre ad altre parti per 20744 libbre di bronzo, equivalenti a meno della metà dell’opera pattuita. La fusione dei manufatti aveva dato un’ottima riuscita. Tanfani Centofanti (1898, pp. 31 nota 2, 32) segnala due lettere piuttosto irritate di Cresci sul comportamento dei domenicani di S. Marco, che volevano che le porte centrali già fuse fossero impiegate per la basilica fiorentina di S. Maria del Fiore. Il granduca ordinò però che le parti fuse fossero trasferite a Pisa. Il trasporto avvenne in parte su carro e in parte su barca (via Arno), e le porte furono poste in opera, a Pisa, nel 1604.
Fonti e Bibl.: V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani del padre Vincenzo Marchese dello stesso istituto, II, Firenze 1854, pp. 297-312; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1898, ad ind.; A. Foratti, Portigiani Domenico, in U.Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVII, Lipsia 1933, pp. 289 s.; A. Scotti, Ascanio Vitozzi ingegnere ducale a Torino, Firenze 1969, ad ind.(Girolamo Portigiani); E. Dhaneens, Boulogne, Jean, in Dizionario Biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 519-523; A. Ronen, Portigiani’s bronze “Ornamento” in the church of the Holy Sepulchre, Jerusalem, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XIV (1969-1970), 4, pp. 415-442; B. Signorelli, Le lettere missive alla Camera dei Conti presso l’Archivio di Stato di Torino, in Galeazzo Alessi e l’architettura del Cinquecento, Genova, 1975, pp. 605-612 (in partic. pp. 606 s.); R.A. Goldthwaite, The economy of Renaissance Florence, Baltimore-London, 1980, p. 370; B. Signorelli, Progetti, attività, realizzazioni di ingegneri militari nell’ambito dei territori sabaudi e della “Padania” subalpina, in Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, n.s., XXXII-XXXIV (1978-1980), pp. 39-52 (in partic. p. 48); Z. Waźbiński, Adriano de Vries e Domenico Portigiani: un contributo alla collaborazione fra scultore e fonditore intorno al 1588, in Scritti di storia dell’arte in onore di Roberto Salvini, Firenze 1984, pp. 449-453; L. Ferretti, La chiesa e il convento di San Domenico di Fiesole, Siena 1992, ad ind.; Il duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, Modena 1995, ad ind.; A. Actis Caporale, Uno spaccato di storia vercellese: la realizzazione del Roggione di Vercelli, in Vercelli dal Medioevo all'Ottocento. Atti del Convegno… 1991, a cura di M. Cassetti, Vercelli 1998, p. 297; A. Emiliani, Il Nettuno del Giambologna, in Il restauro del Nettuno, la statua di Gregorio XIII e la sistemazione di piazza Maggiore nel Cinquecento…, Bologna 1999, p. 92; L.A. Waldman, Baccio Bandinelli and art at the Medici court: a corpus of early modern sources, Philadelphia 2004, p. 416; D.N. Dow, Benvenuto Cellini’s bid for membership in the Florentine Confraternity of San Giovanni Battista dello Scalzo, in Confraternitas, XX (2009), pp. 3-4; S.J. Cornelison, Art and the relic cult of St. Antoninus in Renassaince Florence, Farnham 2012, pp. 3, 126, 133, 136, 141 nota 57, 201, 204; A. O’Brien, ‘Maestri d’alcune arti miste e d’ingegno’: artists and artisans in the Compagnia dello Scalzo, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, LV (2013, ma 2014), pp. 359-433; D. Zikos, in Baccio Bandinelli scultore e maestro (1493-1560), a cura di D. Heikamp - B. Paolozzi Strozzi, Firenze 2014, pp. 300 s. (scheda 15).