Porte e portali d'ingresso agli spazi ecclesiali
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A partire dalla metà dell’XI secolo porte e portali degli edifici sacri accolgono programmi figurativi e rappresentazioni allegoriche, non solo, come ovvio e più comune, di significato catechetico, ma talvolta anche con implicazioni politiche. In Italia centro meridionale si ha una straordinaria diffusione di porte in bronzo illustrate con i più vari temi. Il grande portale figurato si afferma però soprattutto in Francia, da dove prestissimo si diffonde nelle regioni limitrofe.
Questo versetto del Vangelo di Giovanni (10,9) si legge a chiare lettere sul libro esibito dal Cristo nel mosaico posto a coronamento della porta di ingresso alla chiesa abbaziale di Santa Maria di Grottaferrata, con un inequivocabile riferimento al sottostante varco. Al brano evangelico fa da contrappunto l’iscrizione in greco incisa sull’architrave del portale che esorta il fedele ad accedere alla chiesa liberandosi dalla cupidigia terrena per trovarvi propizio il Giudice Eterno. A sua volta quest’apostrofe rinvia al mosaico visibile lì sopra dove il Cristo, affiancato dalla Vergine e dal Battista in veste di intercessori privilegiati, si qualifica appunto come un giudice. Nella retorica della “porta speciosa” di Grottaferrata si esprime con la massima evidenza il nesso tra la porta di accesso allo spazio sacro e la futura salvezza celeste. La “porta speciosa” risale verosimilmente agli anni intorno al 1100. Già a partire dalla metà dell’XI secolo porte e portali iniziano a ricevere un’inedita, crescente attenzione.
Tra il 1060 e il 1076, nel giro di nemmeno venti anni, il duomo di Amalfi, l’abbazia di Montecassino, San Paolo fuori le mura a Roma e il santuario di Monte Sant’Angelo sono dotati di porte di bronzo appositamente importate da Costantinopoli. Si tratta di un boom senza precedenti, innescato da una combinazione di fattori, non ultimi l’emulazione e l’intraprendenza di una famiglia amalfitana dedita ai commerci con Bisanzio. Fino ad allora i battenti in bronzo, materiale costoso e di impegnativa lavorazione, erano stati rarissimi, prerogativa di un numero esiguo di eletti edifici, come il battistero lateranense o la Santa Sofia di Costantinopoli. La prima di questa serie di porte, ancora in opera nel Sant’Andrea di Amalfi, presenta un ridotto apparato iconografico, circoscritto a quattro pannelli rispettivamente dedicati al Cristo, alla Vergine, a san Pietro e a sant’Andrea, raffigurati in agemina e in niello, in linea con la tradizione classica che, con poche eccezioni, ignora le porte figurate e, piuttosto, si affida al prestigio del materiale. Di lì a breve, però, le ante si vanno popolando di immagini.
Sui battenti di San Paolo fuori le mura, commissionati durante il rettorato di Ildebrando di Soana (papa col nome di Gregorio VII), ben 54 formelle espongono un imponente programma figurativo come non si vedeva più dal tempo della porta lignea di Santa Sabina, di iniziale V secolo, con un ciclo cristologico affiancato da profeti vetero-testamentari, secondo l’antica logica della concordanza dei due Libri, e da storie di martiri. L’illustrazione del progetto di salvezza divina si trasferisce dall’interno al varco di accesso, pronto ad accogliere il fedele ricordandogli l’esempio da seguire.
Altrettanto eloquente è l’apparato di immagini esibito dalle poco più tarde ante in bronzo del santuario di San Michele sul Gargano, sempre realizzate in agemina e niello. Vi si celebra il potere taumaturgico dell’arcangelo titolare del santuario con una straordinaria e dettagliata sequenza di miracolose epifanie angeliche tratte sia dai testi biblici che dai racconti agiografici. Giustamente vi trova posto anche il racconto dell’apparizione dell’arcangelo Michele al vescovo di Siponto, Lorenzo (fine V sec.?), all’origine della fondazione del santuario.
Le porte bronzee del duomo di Salerno seguono in scia e, presumibilmente a fine XI secolo, trovano posto nel portale principale, noto come Porta del paradiso. I rilievi di questo portale, sebbene ripropongano il sobrio motivo del tralcio abitato di ascendenza classica, si prestano a qualche interpretazione allegorica: così nelle palme cariche di datteri inserite ai due estremi dell’architrave, un pezzo di spoglio rilavorato, è facile cogliere una valenza paradisiaca, mentre una coppia di leoni scolpiti, posti ai lati, monta la guardia allo spazio sacro. Se si accetta la datazione della “porta del paradiso” entro il 1084, anno di consacrazione del duomo salernitano, è la prima volta che compaiono due fiere apotropaiche di questa evidenza davanti a una porta. La grande lunetta sovrastante accoglie invece un’immagine dipinta.
Più o meno alla stessa altezza cronologica, i portali francesi vanno assumendo una struttura sempre più monumentale, con un aumento di superfici e componenti architettoniche disponibili ad accogliere programmi figurativi scolpiti. La chiesa di Saint-Sernin a Tolosa, custode delle reliquie di san Saturnino e importante tappa dei pellegrini diretti a Compostela, proprio per agevolare la circolazione dei fedeli, nel 1080 circa è dotata di un ampio accesso presso il lato meridionale della testata del transetto. La Porte des Comtes, come viene chiamata, è preceduta da un avancorpo sporgente coronato da una cornice a mensole ed è a due fornici, riflettendo l’articolazione dello spazio interno. Nel complesso sembra riproporre i moduli di un arco di trionfo romano. Il fronte accoglie i pellegrini mostrando le raffigurazioni a rilievo del locale santo martire e dei suoi compagni, mentre sui capitelli si sviluppa un articolato ciclo catechetico incentrato sul tema della salvazione e del peccato, procedendo dalla parabola del povero Lazzaro e dell’epulone (Lc. 16, 19-31) ai castighi degli avari, dei golosi e dei lussuriosi. Nella “porte des Comtes” le sculture sono ancora circoscritte a piccoli elementi, lasciando libero il timpano, magari destinato a immagini dipinte.
Solo una ventina di anni dopo il timpano del portale di accesso della chiesa abbaziale di Saint-Fortunat a Charlieu (Loire) riceve il rilievo di un maestoso Cristo in gloria, assiso in trono e racchiuso nella mandorla portata da una coppia di angeli e circondata dai simboli degli evangelisti. Sul sottostante architrave un consesso di statuari Apostoli assiste impassibile a questa che si presenta come una Seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Un soggetto un tempo prediletto per le absidi, ma che già prima della metà dell’XI secolo aveva fatto la sua timida comparsa sulla facciata di alcune chiese del Roussillon, in forma piuttosto schematica.
Nel giro di una generazione, a partire dal 1120 circa, queste forme ancora acerbe raggiungono vertici di straordinaria complessità. L’introduzione del trumeau, il pilastro centrale di sostegno dell’architrave, permette infatti lo sviluppo di timpani enormi, interamente campiti da articolati programmi visivi, in genere imperniati sul tema del Giudizio Finale declinato nelle più varie maniere, che si espandono anche lungo gli strombi e gli archivolti. Nella chiesa di Saint-Pierre di Moissac (Tarn-et-Garonne) un imponente e severo Cristo occupa quasi l’intera altezza della lunetta del portale meridionale. È circondato dai simboli degli evangelisti, da una coppia di angeli e dai 24 vegliardi dell’Apocalisse, disposti su tre registri, citando in maniera quasi letterale la visione di Giovanni. Il tema del Giudizio alla fine dei giorni è esplicitato dai rilievi scolpiti lungo il fianco sinistro del portico, dove nel registro superiore ricompare la parabola del povero Lazzaro e del ricco epulone, mentre sotto dolenti figure di peccatori patiscono gli adeguati tormenti. Lo stesso trumeau è sfruttato per ricavarne nei fianchi le figure di san Paolo e del profeta Geremia che si trovano rispettivamente a fronteggiare il san Pietro e l’Isaia scolpiti lungo gli stipiti. Le due coppie che introducono il fedele allo spazio sacro sono i progenitori delle statue colonne gotiche. Il Giudizio Universale compare con la massima evidenza nei timpani del Saint-Lazare di Autun (Saône et-Loire), della Sainte-Foy di Conques (Aveyron) e della Madeleine di Vézelay (Yonne), tutti databili attorno agli anni Venti o Trenta del XII secolo. Le sculture del portale occidentale del Saint-Lazare, firmate da un Gislebertus, pongono un particolare accento sul momento della resurrezione dei corpi, con un’umanità varia appena emersa dai sepolcri e in marcia lungo l’architrave, verso la salvezza o la dannazione eterni.
Invece il portale principale della Sainte-Foy espone con straordinaria dovizia di dettagli l’ambientazione paradisiaca e quella infernale, nel registro più basso, il più vicino allo sguardo di chi entra. Il paradiso è rappresentato come un edificio ecclesiastico con arcate a inquadrare le figurette dei beati, immote e frontali come icone in miniatura; l’inferno, sul lato opposto, è dominato da un minaccioso Satana attorno al quale si affollano caoticamente i dannati sottoposti a diversi tormenti, a seconda dei peccati commessi. A enfatizzare l’intenzione edificante di questa rappresentazione allegramente efferata, lungo il bordo inferiore dell’architrave si legge “O peccatori, se non cambierete i vostri costumi sappiate che vi attende un giudizio severo”.
Il fenomeno dei portali figurati, nato in Francia, specialmente nelle regioni di Borgogna e Aquitania, irradia con sbalorditiva rapidità nelle aree limitrofe, spingendosi anche al di sotto delle Alpi. Precoci testimonianze se ne possono trovare nel Mezzogiorno normanno. Un’epigrafe attribuisce la costruzione del duomo di Aversa alla committenza di due principi normanni, Riccardo e il figlio Giordano.
L’edificio presenta alcune soluzioni architettoniche e un corredo scultoreo di chiara matrice transalpina, con agganci a monumenti della Normandia o del Loiret. Nel deambulatorio sono murate due lastre rettangolari scolpite con un piatto rilievo bidimensionale e forme di astratta resa geometrica. Una presenta un motivo ornamentale desunto dalle stoffe rotate, l’altra è occupata per l’intera altezza da un cavaliere in atto di trafiggere con la spada un mostruoso drago. Quest’ultimo è in genere riconosciuto come san Giorgio, ma secondo una proposta alternativa potrebbe rappresentare il Sigfrido della saga dei Nibelunghi. Che si tratti dell’uno o dell’altro, comunque risulta palese la retorica del trionfo del bene sul male. Se le due lastre in origine costituivano gli stipiti di un portale, come il formato e le dimensioni consentono di credere, saremmo di fronte a un episodio unico in questo territorio.
Altrettanto insolito è il caso della cattedrale di Troia. Anche qui a una data alta, ante 1119, troviamo un portale figurato, seppure “dissimulato” tra i motivi ornamentali di ascendenza classica: al centro dell’architrave si colloca un Cristo in trono tra la Vergine e san Pietro, come in una Deesis, cui fanno ala gli evangelisti e i santi vescovi Eleuterio e Secondino, protettori della città. Alla consueta semantica della porta della chiesa come porta per la salvezza eterna si associa l’orgoglio locale. I due sottostanti capitelli lasciano scorgere tra grovigli vegetali una figura demoniaca, a sinistra, e un busto emergente da un calice, dalla parte opposta, che si potrebbero interpretare come allusivi rispettivamente della dannazione e della beatitudine. Lungo il bordo inferiore è scritto: + ISTIUS AECC(LES)IAE P(ER) PORTAM MATERIALIS INTROITUS NOBIS TRIBUATUR SPIRITUALIS (“L’ingresso attraverso la porta di questa chiesa materiale ci procuri quella spirituale”). Il portale racchiude una porta bronzea, datata 1119 e commissionata dal vescovo Guglielmo II, le cui 28 formelle ostentano una sorprendente commistione di stili: una schiera di figure in agemina, del tipo comune alle porte provenienti da Costantinopoli, si alterna a protomi leonine con funzioni di battocchio disposte su ben due registri, dal potente rilievo aggettante caratteristico della plastica sassone. Otto anni dopo lo stesso vescovo commissiona al fonditore Oderisio di Benevento una seconda porta in bronzo per il portale destro. Stavolta si torna alle solite figure piatte per celebrare la serie dei vescovi troiani e rivendicare l’autonomia della sede episcopale e della città dai Normanni, divenuti ostili.
Altrettanto presto in quello straordinario cantiere che è il duomo di Modena il portale figurato viene declinato secondo un’impressionante varietà di schemi monumentali e temi. All’accesso principale è anteposto un protiro a due piani poggiante su leoni stilofori. L’intelaiatura del portale è interamente percorsa da un tralcio abitato che scaturisce da due telamoni alla base degli stipiti, mentre le facce interne degli stipiti, rivolte ai fedeli che entrano, mostrano una sequenza di dodici profeti, proponendo un nesso simbolico tra elementi strutturali e “pilastri” della Chiesa. L’esuberante apparato scultoreo, che culmina nelle celebri lastre con episodi della Genesi inserite sulla facciata, si deve al genio di Wiligelmo, leggendario caposcuola commemorato nella postilla aggiunta all’epigrafe di fondazione del duomo apposta sulla facciata, recante la data 1099. A suoi collaboratori e allievi si devono la Porta dei Principi, nel fianco sud, e quella della Pescheria, sul lato opposto.
L’architrave della Porta dei Principi è istoriato con episodi della Vita di san Geminiano, le cui spoglie nel 1106 sono tumulate nel duomo in pompa magna. L’archivolto della Porta della Pescheria presenta invece un soggetto profano: la più antica illustrazione nota delle gesta di re Artù, addirittura anteriore alla sua prima versione scritta, quindi forse basata su racconti orali tramandati lungo le vie di pellegrinaggio. Alla Porta della Pescheria potrebbe aver collaborato lo scultore Nicolò, che successivamente, nel 1138, realizza il portale principale del San Zeno di Verona. Il varco è preceduto da un protiro a un solo piano sostenuto da leoni stilofori. La grande lunetta è occupata dalla figura quasi a tutto tondo del santo vescovo Zeno, svettante al centro.
Gli fa ala la cittadinanza veronese, divisa in cavalieri, in rappresentanza dell’aristocrazia, e in fanti, ossia il popolo. A chiarire il senso politico della scena, celebrativa del libero comune di Verona, contribuisce l’iscrizione che, tradotta, suona così: “Il Vescovo dà al popolo la bandiera degna di essere difesa / San Zeno dà il vessillo con cuore sereno”. A maggior gloria del santo, sull’architrave si susseguono una serie di suoi miracoli. Il portale è affiancato da una coppia di lastre scolpite da Nicolò e Guglielmo con rilievi dedicati a episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Il portale, non bastasse l’impegnativa iconografia, alloggia una porta in bronzo istoriata da cima a fondo con un densissimo programma figurativo. Le 48 formelle, equamente distribuite tra le due ante, illustrano episodi biblici e brani della vita di san Zeno. Il ripetersi di alcuni soggetti e le nette differenze stilistiche indicano che gli attuali battenti sono il frutto della ricomposizione di almeno due distinte serie di formelle. Un primo set di rilievi in bronzo, dovuto a una bottega gravitante in ambito germanico, doveva far parte di una porta originariamente non destinata al portale figurato di facciata. Quando, dopo il 1178, l’edificio del duomo è prolungato, le precedenti componenti architettoniche sono ricollocate tutte assieme nella nuova facciata. In questa occasione è trasferita anche la precedente porta, reintegrandola con una nuova serie di formelle. Si viene così a creare l’insolito effetto ridondante dell’assieme di porta e portale figurati, altrimenti inspiegabile. Con questo assetto la facciata del San Zeno di Verona si afferma come uno dei più fastosi complessi scultorei dell’epoca in Italia.