PORCELLANA (fr. porcelaine; sp. porcelana; ted. Porzellan; ingl. porcelain, china)
Genere di ceramica durissima, a corpo bianco. Rilucente, translucida, sonora, impermeabile all'acqua anche allo stato di biscuit, cioè priva di rivestimento (coperta), compatta, a frattura concoide, non si lascia intaccare dalle punte di acciaio né dai reattivi chimici (eccetto gli alcali caustici e l'acido fluoridrico), ha resistenza elettrica, rigidità dielettrica, resistenza meccanica e agli sbalzi di temperatura.
È formata da una pasta artificiale cotta ad alta temperatura (da 1300° a 1500°), la cui composizione può variare entro limiti estesi sulla base ternaria di caolino, feldspato e quarzo.
Il caolino (silicato di allumina infusibile e cocente perfettamente bianco) dà gli elementi plastici atti a legare la pasta durante la lavorazione; il feldspato serve da fondente e forma la massa vetrosa che cementa il magma della porcellana; il quarzo dà l'ossatura alla pasta e impedisce la deformazione dei prodotti. I Cinesi distinguevano questi elementi con i nomi di kao-ling e di pai-tun-tzŭ (petuntse), che consideravano come lo "scheletro" e la "carne" della porcellana.
Se ne ha di più varietà: dura o caolinica (tipo fondamentale), tenera o vetrosa, calcarea, magnesiaca.
L'etimo risale all'appellativo di una conchiglia dei mari orientali (Concha venerea) detta appunto "porcellana", la quale, avendo il colore e lo splendore di questa ceramica, in lingua portoghese le avrebbe dato il nome. È peraltro da escludersi la supposta priorità della voce lusitana, perché quei navigatori trovarono la rotta per le Indie soltanto nel 1498 e visitarono la Cina nei primi decennî del Cinquecento, mentre già nel sec. XIII Marco Polo, che fu ai servizî di Qūbilāy khān dal 1271 al 1295, aveva impiegato chiaramente la voce "porcellana" in ambedue le accezioni di conchiglia e di ceramica. Infatti, parlando degli usi dell'impero mongolo, il viaggiatore veneziano ricorda che in qualche luogo si spendeva come moneta la "porcelaine blanche, celle que se troven en la mer" (l'erronea lettura delle successive parole del testo forse fece dipoi credere che di tali conchiglie si cavassero scodelle); e, a proposito della città di Tiungiu, egli avverte anche con particolari di ordine tecnico, che ivi "se font escuelle de porcelaine grand et pitet; les plus belles que l'en peust deviser.... Et d'iluec se portent por mi le monde" (Il Milione, ed. a cura di L. F. Benedetto, Firenze 1928, capitoli CXIX e CLVII). Il che viene confermato dal trattato didascalico del poeta persiano Sa‛dī (1193-1291), il Gulistān, dove, accennandosi agli elementi dei grandi traffici internazionali del tempo, si menziona la porcellana di Cina come merce da esportarsi nei "paesi di Rūm" (Asia Minore, Bisanzio, ecc.). Nei secoli dell'erudizione poi si disputò, sulla scorta delle osservazioni del Cardano (De Subtilitate, V) e dello Scaligero (De Subtil. ad Card. Exercitatio, CXII), se i vasi murrini degli antichi fossero di porcellana (Nic. Guibertus, Assertio de murrhinis, Francoforte s. M. 1597; Fed. Ehr. Saxius, De Murrinis veterum, Lipsia 1743). Ma il prodotto era già noto e pregiato almeno fino dal sec. IX nel mondo musulmano, di dove assai presto penetrò in Occidente. Venezia, col Cairo e Bisanzio, ne è una delle porte. Il Tesoro di S. Marco possiede ancora un vaso cinese del 1250 circa; la celebre collezione di porcellane di Dresda, il New College di Oxford, i musei di Kassel, di Londra (Victoria and Albert Museum), di Berlino, ecc., conservano altri importanti cimelî in artistiche montature di metallo nobile dei secoli XV e XVI.
Le grandi case europee tennero preziose le porcellane dell'Estremo Oriente anche per un certo senso superstizioso che vi si riconnetteva. Lorenzo il Magnifico ne ebbe in dono dal soldano di Egitto; esse furono invano ricercate da Carlo VIII nel suo passaggio per Firenze; essendo state occultate, il re francese se ne rivalse su quelle trovate nel Castel Capuano, appartenenti al re di Napoli. Si ha menzione anche di altre andate perdute nel sacco di Roma. Anche Rabelais cita fra i recipienti rari i nappi e le bottiglie di porcellana.
La loro rarità diminuì soltanto quando gli Olandesi, che successero ai Portoghesi nei vasti traffici fra l'Oceano Indiano e l'Europa, dopo la metà del secolo decimosesto cominciarono a caricarne interi vascelli e Delft divenne il loro maggiore emporio europeo.
La Cina è il paese classico della porcellana (cfr. cina, X, p. 310 segg.). Però non è provata l'opinione che l'invenzione di questo prodotto risalga ai tempi della dinastia Han (206 a. C.-220 d. C.); è già dubbia l'assegnazione sua, intesa come una ceramica translucida e non piuttosto un impasto duro a coperte feldspatiche, cotte sia pure ad alto fuoco, al periodo dei T'ang (620-907). In tutti i casi deve trattarsi d'una conquista dovuta a un lento processo evolutivo. L'epoca della dinastia Sung (960-1280) ce ne mostra tipi eccellenti, alcuni dei quali ebbero larga diffusione in Asia e in Europa.
Fra altro, specialmente a Lung-Ch'un yao nella provincia di Che-kiang, fu fabbricato un genere di porcellana pesante a decorazione leggermente graffita o a stampo, d'un delicato colore glauco, indefinibile, nella scala dei verdi grigiastri, che in Oriente si disse ghuri e martabani; in Europa si chiamò kansai ed ebbe anche il nome di céladon, datogli in Francia per analogia di colore con i nastri verdi di Céladon, languido e timido eroe del romanzo pastorale di Onorato d'Urfé, L'Astrée (1610).
L'età d'oro vera e propria della porcellana cinese comincia con la dinastia dei Ming; Ching-te chên, nel Kiang-si, divenne il centro più notevole d'una produzione dalle forme semplici, atte a ricevere una sontuosa ornamentazione dipinta, nella quale ha predominio il turchino. Col sec. XVI il gusto della policromia si sviluppa e s'intensifica, la tecnica si complica nei prodotti chiamati dei "cinque colori", decorati con smalti applicati sopra coperta, che risultano in leggiero rilievo.
Anche durante la dinastia manciù dei Ts'ing (1644-1912) la porcellana mantiene una grande importanza; le cosiddette "famiglia verde", "famiglia nera" e "famiglia rosa", e i pezzi colorati in "blu spruzzato" sono oggetto di estese importazioni in Occidente. Le grandi manifatture di ceramica in Olanda e in Francia (Delft, Nevers, Rouen) ne copiano i motivi, mentre gli artigiani cinesi, a richiesta dei gesuiti introdottisi nella Cina, producono enormi quantità di articoli a soggetto religioso (porcellana dei gesuiti); essi decorano anche i loro oggetti con motivi occidentali che da Canton raggiungono l'Europa (stile di Canton). È il momento in cui la tecnica raggiunge una perfezione eccezionale (p. es. nelle coppe "a guscio d'uovo" e a "grani di riso"); ma il manierismo dell'ornamento denota la decadenza.
I forni che il padre D'Entrecolles, missionario gesuita, stimava alla fine del regno di K'ang-hi (morto nel 1722) a circa 3000 nella sola Ching-te chên, un secolo dopo discesero a 500; oggi l'attività vi si può dire finita.
Durante il sec. XVIII si usò anche esportare dalla Cina porcellane non decorate; l'ornato veniva dipinto da pittori specialisti nelle officine europee (p. es., Delft, Sèvres, Chelsea, ecc.) su imitazioni di modelli cinesi e giapponesi, oppure secondo motivi decorativi europei.
Nel '600 e nel '700 la Persia maomettana subì grandemente l'influenza cinese. A Tabriz fu fondata una manifattura la quale non solo con i motivi decorativi, ma con la materia cotta ad alto fuoco, cercò d'imitare le porcellane Ming e K'ang-hi.
La stessa Cina, attraverso la Corea (ch'ebbe essa pure una buona produzione) fu l'iniziatrice del Giappone, dove, adottatisi i riti della "cerimonia del tè", si diffuse anche l'uso di dati recipienti prescritti dalle esigenze liturgiche. La maggior parte delle officine giapponesi ebbe il potente patronato di un principe. La prima porcellana si attribuisce all'opera del vasaio Shonzui, il quale, di ritorno dalla Cina dove era stato a imparare l'arte, nel 1510 si sarebbe stabilito ad Arita (prov. di Hizen) a produrre porcellane turchine e bianche. Nel sec. XVII sotto la guida di Sakaida Kakiemon la fabbrica d'Arita emulò la porcellana cinese e cominciò a disputarle il mercato europeo (Dresda con i primi del Settecento ne divenne l'importatrice per eccellenza). L'ornato caratteristico a crisantemi, peonie, rami di prugno, di ciliegio, di bambù, a tigri, a draghi, fenici, "cani di Fo", ecc., venne imitato dalle faenze di Delft e dalle prime officine europee di porcellana (con successo speciale a Meissen e a Chantilly). Accanto ad Arita e a Imari (è noto il tipo d'ornato a pannelli riservati detto kakiemon, apprezzatissimo dall'Europa del '700) si ebbero molte altre fabbriche: p. es., a Mikochi nell'isola di Hirado, a Kyōto, a Kutani (prov. di Kaga), a Seto (prov. di Owari), a Sanda (prov. di Settsu), ecc.
Non è sempre facile la distinzione fra il prodotto cinese e quello giapponese per i reciproci scambî e i continui contatti fra i due paesi. (I Cinesi chiamano indifferentemente yao la porcellana e ogni altro genere di ceramica; i Giapponesi hanno il nome generico di yaki e, di recente introduzime, la voce toki, speciale a designare la porcellana). In generale si può dire che la porcellana di Cina ha un impasto più sottile, più compatto e piu̇ fine, con colorazione leggermente tendente al verdognolo e mai presenta le tracce dei "pironi" di cottura; i colori del suo ornato sono luminosi e puri; la porcellana giapponese è più grossolana, tende al color grigio e i suoi colori hanno una tonalità più cupa e opaca.
La porcellana tenera. - In Europa grande fu l'avidità con la quale si ricercarono e accolsero le porcellane dell'Estremo Oriente; alchimisti e vasai sin dal sec. XV tentarono d'imitarla; Venezia col suo "vetro di latte" (porcellana contraffatta) ne simulò il candore e la lucentezza; nel tempo stesso i maiolicari impiegavano un ornamento turchino detto "alla porcellana", d'ispirazione estremo-orientale. I principi italiani (Urbino, Ferrara, Piemonte) all'uopo tentarono più vie. Un risultato concreto, però dissimile dal prototipo per diversità d'ingredienti, si ottenne da Francesco Maria de' Medici, che, ancora prima d'essere granduca di Toscana (1574-87), aveva iniziato una serie di tentativi che condussero alla produzione d'una "porcellana tenera" composta di una "fritta" cristallina impastata con terra argillosa bianca, variamente foggiata in coppe, bacili, bottiglie, decorata in turchino e con parti anche in rilievo (porcellane De' Medici), della quale si conoscono soltanto 42 preziosi pezzi superstiti. L'opera, a cui accudirono vasai urbinati e faentini sotto la direzione di Bernardo Buontalenti, si trasferì a Pisa, dove sin verso il 1620 vi lavorò Nicolò Sisti.
Alquanto posteriore (circa 1664) è il ricordo del "segreto" della porcellana scoperto dal milanese Manfredo Settala e di poco più tardi quello di un'abbondante produzione eseguita per la corte di Vittorio Amedeo II di Savoia dal savonese Bartolomeo Guidobono (1685-1691); ma né dell'una né dell'altra si hanno esemplari identificati. Un secolo dopo la porcellana medicea, Claudio Réverend, vasaio di Parigi lungamente vissuto in Olanda (Delft è divenuta allora il maggiore centro dell'impiego dei canoni cinesi) afferma di poter eseguire porcellane; nel 1673 Luigi Poterat vasaio di Rouen ne ottiene un privilegio reale. Si tratta sempre di "porcellana tenera", fragile, di difficile lavorazione e d' uso non pratico, come quella della fabbrica di P. Chicaneau (morto nel 1696) a Saint-Cloud presso Parigi, di cui prese la protezione il duca d'Orléans. Tale produzione si imita nel 1711 a Lilla, poi a Parigi, a Chantilly, a Mennecy, e finalmente a Vincennes, donde la lavorazione nel 1756 fu trasferita a Sèvres, presso Parigi, che nel 1760 divenne "manifattura reale". Nonostante la diffusione dei metodi di lavorazione della vera porcellana, Sèvres continuò a produrre "porcellana tenera", in omaggio alla tradizione, fino al 1804. Anche le altre regioni europee tentarono inutilmente la conquista del segreto, ma ottennero porcellane artificiali. Così l'Olanda a Delft, la Germania a Mannheim, l'Inghilterra a Fulham (Londra) con G. Dwight, e poi a Bow, a Chelsea, a Derby, a Bristol, a Worchester, a Lowestoft, a Caughley, con un suo tipo speciale (porcellana calcarea o a ceneri di ossa, bone china).
La porcellana dura. - Mancava a tutta questa produzione artificiale l'elemento di base: un'idonea argilla bianca infusibile (alla quale, una volta trovata in Europa, si mantenne il suo nome cinese di caolino), i cui giacimenti europei non erano ancora stati utilizzati. Il merito di questa scoperta, che doveva portare così grandi frutti tanto nel campo artistico quanto in quello industriale, si deve all'alchimista tedesco Giovanni Federico Böttger (1682-1719). Tentando egli inutilmente la ricerca della pietra filosofale nei castelli d'Augusto il Forte, elettore di Sassonia e re di Polonia, dove era trattenuto per produrre oro, con il concorso del fisico Tschirnhaus ottenne dapprima un gres rosso durissimo, di cui fece stoviglie lavorate in rilievo; poi, col caolino sassone di Colditz, una vera e propria porcellana (1709).
Rapidamente la manifattura di Meissen, dove il lavoro era stato trasferito, divenne celebre. Perfezionata la tecnica, intervenuti insigni modellatori e pittori a dirigere la parte artistica della lavorazione (J. G. Herold, J. J. Kändler, C. Marcolini, ecc.), la produzione di Sassonia, nonostante le vicende politiche, diede per tutto il Settecento il tono alla porcellana europea, prima con l'imitazione di modelli cinesi e giapponesi (celebri i grandi vasi detti di Augustus Rex, su modello del Giappone), poi con la creazione d'una ricchissima serie di servizî, statuette di genere, oggetti d'ornamento, di squisito gusto barocco e poi "impero".
Nonostante il gelosissimo segreto e le severe disposizioni date a mantenerlo, dopo dieci anni Vienna aveva una fabbrica di porcellana, dapprima (1718) dell'olandese C. du Paquier, che v'impiegò due transfughi di Meissen, poi (1744) imperiale, nella quale, dopo il Luck e il Niedermeyer, l'italiano A. Grassi modellò squisiti biscuits ispirandosi, sul finire del secolo, all'arte del Canova. L'Italia viene subito dopo: a Venezia (dal 1720 al 1780 circa) con i fratelli F. e G. Vezzi che si servirono dell'opera dell'"arcanista" Chr. K. Hunger che già aveva lavorato a Meissen, e con Geminiano Cozzi, il quale riattivò le antiche cave caoliniche del Tretto; a Doccia presso Firenze (1735) per merito del marchese Carlo Ginori, e la gloriosa fabbrica vi è tuttora attiva ad onore d'Italia; a Capodimonte presso Napoli nell'opificio sorto nel 1740 per ordine di Carlo III, distrutto nel 1759 alla partenza del sovrano per la corona di Spagna (e colà diede origine con uomini e cose napoletane all'officina del Buen Retiro presso Madrid), riattivato a Portici (1772), poi a Napoli stessa (1773) dal nuovo re Ferdinando IV, e vi lavorò il celebre modellatore Filippo Tagliolini; a Nove per opera degli Antonibon (1750); a Vinovo (1765) col Brodel e col Gioannetti (1780), che inventò un genere di porcellana magnesiaca (porcellana italiana), utilizzando i silicati di magnesia piemontesi; ad Angarano, a Treviso, a Roma dove G. Volpato eseguì statuette e gruppi neoclassici in biscuit duro.
Ormai il segreto era incontenibile. Ogni nazione voleva la sua fabbrica: i regnanti e i potenti a gara con gl'imprenditori privati. Così a Pietroburgo (1744?), e più diffusamente in Germania: a Höchst presso Magonza (1746), donde a Berlino (1752); e subito dopo (1753) a Fürstenberg nel Brunswick, a Nymphenburg in Baviera dove eccelse il modellatore italiano F. A. Bustelli, a Frankenthal nell'Elettorato Palatino, a Ludwigsburg nel Württemberg (1758), in più luoghi di Turingia, ecc. E poi a Sèvres presso la fabbrica di porcellana tenera, che nel 1760 da privata diviene la Manufacture Royale de porcelaine de France e nel 1768 inizia la lavorazione delle paste dure; e in Francia ancora, per dire dei luoghi più noti, a Sceaux, a Strasburgo, a Niederviller, a Limoges, a Marsiglia, a Parigi; in Danimarca a Copenaghen e in Svezia a Marieberg; in Svizzera a Zurigo e a Nyon; in Olanda a Weesp, presso Amsterdam, a Loosdrecht, all'Aia; in Belgio a Schaerbeek, a Bruxelles, ecc. Così in Inghilterra a Plymouth (1768), poi a Shelton, senza accennare qui al citato genere di porcellana calcarea in continuo perfezionamento, che, specie nello Staffordshire, fece celebre il nome di alcune ditte, fra le quali va notata anche quella di J. Wedgwood, già rinomata per altri squisiti prodotti ceramici; in Portogallo, a Vista Alegre (Oporto) e a Lisbona.
Fenomeno, dunque, largamente europeo, dapprima stimolato dall'amore dell'esotico per l'irresistibile moda delle chinoiseries, poi dallo spirito d'emulazione fra i varî stati, infine da riflessi d'ordine economico e pratico che assunsero un'enorme portata.
La scoperta del Böttger al principio del '700 aveva iniziato un nuovo clima nella produzione ceramica dell'Occidente; in mezzo secolo esso aveva già raggiunto il suo acme. Dagl'influssi estremo-orientali di cui troviamo larga traccia nella prima porcellana di Meissen presto si passa a nuove fogge ornamentali. Così le forme tardo-barocche a Meissen stessa per opera di Höroldt e di Kändler e le plastiche secondo il gusto del nuovo rococò col Bustelli a Nymphenburg; così Grassi a Vienna, Tagliolini a Napoli, Volpato a Roma introducono nella porcellana gli elementi del neoclassico. D'altra parte a Berlino si crea un modo floreale naturalistico (teutsche Blumen) che si sostituisce alla vegetazione fantastica venutaci con i prodotti di Cina o "fiori indiani", e che con le ricchezze della tavolozza a piccolo fuoco verranno dipinti non solo sulla porcellana, ma anche sulla maiolica che le necessità commerciali costringono ormai a imitare con varî espedienti la sua fortunata consorella. Egualmente i trovamenti di caolino in Cornovaglia (circa 1755) e in Francia (1765) diedero luogo a produzioni concorrenti alla tedesca. Anche tenendo presente la sola produzione del '700, essa ci si manifesta come esponente d'una forma di civiltà. I sottili "arcani" tecnici (impasti, cotture, colorazioni) che richiedono continui studî e perfezionamenti; i molteplici problemi di arte che vi si accoppiano (modelli, reciproci influssi fra le officine, forme, ornamenti, rinnovamento dei prodotti, servizî e galanterie); la moda che ne sorge e ne fa una vera e propria "malattia"; le basi di organizzazione delle grandi industrie che si creano in un sorprendente numero di centri per appagare questi nuovi bisogni, come avevano costituito uno degli aspetti della civiltà dell'Estremo Oriente, fanno della porcellana una vera e propria espressinne del Settecento europeo, in un quadro quanto mai vario e complesso.
In Italia la produzione fu ancora più meritoria per le conoscenze allora scarse del patrimonio geologico nazionale. L'attiva campagna a pro delle materie prime italiane rende certa una sempre maggiore utilizzazione delle cave di caolino che qua e là esistono nella penisola.
V. tavv. CCXV-CCXX.
Bibl.: A. Brüning, Porzellan, a cura di L. Schnorr von Carolsfeld, Berlino 1914; O. Du Sartel, La porcelaine de Chine, Parigi 1881; A. Funghini, Sulle porcellane medicee, Arezzo 1886; F. Gärtner, Kön. Porzellanmanufaktur, Monaco s. a.; F. Hermanin, Gli artisti italiani in Germania, in L'opera del genio italiano all'estero, VI, Roma 1935; A. B. Meyer, Lung-ch'üan yao, oder altes Seladon Porzellan, Berlino 1899; Porcelain through the Ages, Loan Exhibition, Londra 1934; L. Balet, Ludwigsburger Porzellan, Stoccarda 1911; E. A. Barber, The pottery and porcelain of the United States, Londra 1902; id., Artificial soft paste porcelain: France, Italy, Spain and England, Filadelfia 1907; K. Berling, Das Meissner Porzellan und seine Geschichte, Lipsia 1900; W. M. Binns, The first century of english porcelain, Londra 1906; W. Bondy, Kang-hsi, eine Blüte-Epoche der chinesischen Porzellankunst, Monaco 1923; W. Burton, A general history of porcelain, Londra 1921; S. W Bushell, Description of chinese pottery and porcelain; translation of the T'ao Shuo, Oxford 1910; G. Campori, Memorie istoriche e artistiche della... porcellana di Ferrara, Pesaro 1879; W. Chaffers, Marks and monograms on european and oriental pottery and porcelain, 13ª ed. curata da F. Litchfield, Londra 1912; X. de Chavagnac e De Grollier, Histoire des manufactures françaises de porcelaine, Parigi 1906; Ch. Davillier, Les origines de la porcelaine en Europe, ivi 1882; F. Dillon, Porcelain, Londra 1908; W. Doenges, Meissner Porzellan, Dresda 1921; A. de Eisner Einsehof, Le porcellane di Capodimonte, Milano s. a.; id., L'influenza dell'arte italiana sull'antica fabbrica di porcellane di Vienna, Napoli 1931; R. Ernst, Wiener Porzellan des Klassizismus, Vienna 1925; J. Folnesics, Geschichte der K. K. wiener Porzellanmanufaktur (1718-1864), ivi 1907; A. Foresi, Sulle porcellane Medicee, Firenze 1869; A. W. Franks, Japanese Pottery, V. and A. Museum, Londra 1906; E. Garnier, La porcelaine tender de Sèvres, Parigi 1890; L. Gonse, L'art japonais (La céramique par S. Bing), ivi 1883; E. Grandidier, La céramique chinoise, ivi 1894; R. Graul, Altthüringer Porzelan, Lipsia 1909; Ch. de Grollier, Manuel de l'amateur de porcelaines, Parigi 1914; id., Manuel de l'amateur de porcelaines: Manufactures européennes (France exceptuée), ivi 1914; E. Hannover, Pottery and Porcelain, trad. di B. Rackham, Londra 1925; H. Hayden, Royal Copenhagen Porcelain London, Lipsia 1911; A. L. Hetheringthon, The pottery and porcelain factories of China, Londra 1921: id., The early ceramic wares of China, ivi 1922; E. Heuser, Porzellan von Strassburg und Frankenthal in XVIII. Jahrh., Neustadt 1922; R. L. Hobson, Porcelain, oriental, continental and british, Londra 1906; id., Chinese pottery and porcelain, ivi 1915: id., A guide to the English pottery and porcelain, British Museum, ivi 1923; id., The wares of the Ming Dinasty, ivi 1923; id., The later ceramic wares of Cina, ivi 1925; id. e A. L. Hetheringhton, The art of the chinese potter, ivi 1924; F. H. Hofmann, Altes bayerisches Porzellan, Monaco 1909; id., Geschichte der bayerischen Porzellan-Manufaktur Nymphenburg, Lipsia 1923: id., Das Porzellan, Berlino [1934]; H. Holzhey, Alt-Meissen, ecc., Lipsia 1923; W. B. Honey, Dresden China, Londra 1935; W. King, Chelsea Porcelain, ivi 1922; id., English Porcelain figures of the XVIIIth century, ivi 1934; id., Sèvres Porcelain of the XVIIIth century, ivi 1934; P. Knowles, Dutch pottery and porcelain, ivi 1908; A. Jacquemart, La porcelaine des Médicis, Parigi 1887; id., e Edm. Le Blant, Histoire artistique, industrielle et comemrciale de la porcelaine, ivi 1862; St. Julien, Histoire et fabrication de la porcelaine chinoise, ivi 1856; La manifattura di Doccia della Società ceramica Richard-Ginori, Firenze 1925; B. Lauffer, The beginnings of porcelain in China, Chicago 1917; G. Lechevallier-Chevignard, La manufacture de Porcelaine de Sèvres, Parigi 1908; G. Lehnert, Das Porzellan, Berlino 1902; G. Lenz, Berliner Porzellan ivi 1913; G. Lukomsky, Russisches Porzellan, ivi 1924; L. de Mauri, Vinovo e le sue porcellane, Milano 1923; H. Meyer, Böhmisches Porzellan und Steingut, Lipsia 1927; C. Minieri Riccio, Gli artefici e i miniatori della Real Fabbrica della Porcellana di Napoli, Napoli 1880; L. Mosca, Napoli e l'arte ceramica, ivi 1908; G. Novi, La fabbricazione della porcellana in Napoli, ivi 1879; G. Pazaurek, Deutsche Fayence und Porzellanhausmaler, Lipsia 1925; id., Meissner Porzellanmalerei des XVIII. Jahrh., ivi 1929; H. Pfeiffer, Beitrage zur Quellengeschichte des europäischen Porzellans, ivi 1924; B. Rackham, A Book of porcelain, Londra 1910; A. Ravà, Le porcellane di Venezia, Venezia 1924; H. Rivière, La céramique dans l'art d'extrême Orient, Parigi 1921; M. Sauerlandt, Deutsche Porzellanfiguren des XVIII. Jahrhunderts, Colonia 1923; Ch. Scherer, Das Fürstenberger Porzellan, Berlino 1909; R. Schmidt, Das Porzellan als Kunstwerke und Kultursspiegel, Monaco 1925; id., Sechs Jahrtausende Täpferkunst, Berlino 1934; L. Schnorr von Carolsfeld, Porzellan der europäischen Fabriken des 18. Jahrhunderts, ivi 1919; A. V. Selivanov, Porcellana e faenza dell'impero russo (in russo), Vladimir 1903; L. M. Solon, A history of old english porcelain and its manufactories, s. a.; R. Stettiner, Die Porzellanmanufaktur zu Vincenne und Sèvres, Berlino 1893; G. H. Strale, Rörstrands Samling of Fajans och Porslin, Stoccolma 1880; O. Tokounosouke, La céramique japonaise: les principaux centres, Parigi 1895; Ch. E. de Ujfalvy, Les bicuits de porcelaine, ivi 1893; J.-J. Vasselot e J. Ballot, La céramique chinoise, ivi 1922; G. Vignola, Sulle maioliche e porcellane del Piemonte, Roma 1878; G. Vogt, La porcelane, Parigi 1893; E. Zimmermann, Die Erfindung und Frühzeit des Meissner-Porzellans, Berlino 1908; id., Chinesisches Porzellan, Lipsia 1913.