Vedi POPULONIA dell'anno: 1965 - 1996
POPULONIA (v. vol. VI, p. 378)
Negli ultimi anni la ripresa degli scavi e delle ricerche a P. e nel suo territorio, assieme a un rinnovato interesse degli studi, hanno ampliato considerevolmente il quadro della vicenda storica della città.
Nuovi e importanti dati relativi alla Preistoria e Protostoria consentono di delineare un territorio densamente frequentato già in queste epoche.
Se le testimonianze del Paleolitico Inferiore risultano ancora piuttosto scarse (alcuni choppers e manufatti litici rinvenuti presso Riotorto e un bifacciale amigdalare acheuleano raccolto all'interno, lungo la strada che collega S. Vincenzo e S. Carlo), assai più numerosi sono i giacimenti riferibili al Paleolitico Medio: oltre ad alcune limitate presenze rilevate nella parte settentrionale del golfo di Baratti (loc. Villa del Barone) e a Riotorto, due giacimenti con industrie litiche del filone gravettiano-epigravettiano sono stati individuati presso Botoro ai Marmi e a Pappasole. A fronte di queste testimonianze, più consistente appare la documentazione relativa al Neolitico, localizzata soprattutto nella parte orientale del promontorio di Piombino e nella bassa Val di Cornia. I numerosi rinvenimenti (loc. Villa del Barone, podere Affitti e Casa Rossa presso Riotorto, I Fornelli e bassa Val di Cornia) sembrano inserirsi compiutamente nelle culture neolitiche della Toscana nord-occidentale, mentre un frammento ceramico con decorazione impressa proveniente da una zona adiacente la costa immediatamente a Ν di P., sembra appartenere alla cultura di Fiorano, finora documentata solo raramente nell'Etruria settentrionale.
A questi ritrovamenti, frutto di ricerche di superficie, è venuta ad aggiungersi recentemente l'individuazione e lo scavo di alcuni focolari riferibili alla fine del Neolitico nella zona a Ν di P., a S. Vincenzo presso Villa Biserno.
Il quadro delle attestazioni riferibili all'Eneolitico è stato ampliato dal rinvenimento di una sepoltura entro un riparo sotto roccia (Riparo Biseno) a S. Carlo (comune di S. Vincenzo), e soprattutto dalla scoperta di un insediamento, sempre a S. Carlo, con tracce evidenti dell'attività di lavorazione del rame. Per quanto riguarda l'Età del Bronzo, alcuni ritrovamenti ottocenteschi (ripostigli di S. Michele presso Campiglia e loc. Cavalleggeri presso S. Vincenzo della facies Montemerano-Scoglietto-Palidoro) sembrano attestare già nel corso del Bronzo Antico un'attività di sfruttamento delle risorse minerarie e di lavorazione del rame, iniziata con ogni probabilità già nell'Eneolitico. Il periodo del Bronzo Medio non risulta finora documentato, se si esclude un frammento di ceramica con decorazione incisa e impressa rinvenuto negli strati inferiori di un insediamento del Bronzo Finale sito nella parte centrale del golfo di Baratti, lungo le dune antistanti la pineta del podere Casone.
Nel corso del Bronzo Finale si assiste in tutta l'area, che in età storica costituirà il territorio populoniese, a un forte incremento demografico e a un intensificarsi degli insediamenti che, se da una parte andrà verosimilmente connesso allo sfruttamento delle miniere del Campigliese, non sembra dall'altro disgiunto dalla favorevole posizione dell'approdo naturale del golfo di Baratti, fornito dall'entroterra lagunare di Rimigliano e che rappresentava una tappa obbligata nella navigazione sia verso le isole dell'arcipelago toscano sia verso la Sardegna e la Corsica. Scoperte recenti hanno individuato per quest'epoca un sistema di insediamenti costieri lungo le dune di sabbia che caratterizzano il litorale da S. Vincenzo fino a Torre Mozza, all'inizio del golfo di Follonica. Gli stanziamenti di Riva degli Etruschi e del golfo di Baratti, confrontabili per quanto riguarda la cultura materiale con quelli della Valle del Pecora, sono stati attribuiti a una fase di passaggio tra il Bronzo Recente e quello Finale, se non già a un momento iniziale di quest'ultimo; tuttavia alla fine di questa età i nuclei insediativi sembrano concentrarsi nei pressi dell'area che sarà poi quella della futura città di età storica, come sembrano indicare l'abitato di Poggio del Molino e la necropoli di Villa del Barone, delineando così un quadro nettamente diverso da quello dell'Etruria meridionale, dove nel corso del Bronzo Finale gli insediamenti abbandonano le zone costiere frequentate nel Bronzo Medio per concentrarsi in aree più interne.
Nella prima Età del Ferro i sepolcreti di Poggio del Molino o del Telegrafo, del Poggio della Porcareccia, di San Cerbone e di Piano e Poggio delle Granate sembrano documentare la presenza di villaggi variamente dislocati, di cui, per il momento, in mancanza di ricerche specifiche, non abbiamo alcuna testimonianza. Uno di questi insediamenti, tuttavia, doveva con ogni probabilità trovarsi sul Poggio del Molino o del Telegrafo dove, nell'area del santuario ellenistico recentemente scoperto, sono venuti alla luce, in giacitura secondaria, alcuni frammenti di epoca villanoviana.
Tra la fine del IX e la prima metà dell'VIII sec. a.C. P. si presenta come uno dei centri più importanti dell'Etruria tirrenica, inserito, come documentano i materiali dei corredi funerari, in una fitta rete di traffici e di relazioni con i centri dell'Etruria meridionale tirrenica (Vulci, Tarquinia e Caere), con Bologna, con l'area umbra (Terni), con la Corsica e soprattutto con la Sardegna, a cui andrà con ogni verosimiglianza imputata la trasmissione della tipologia della tomba a camera con volta a pseudocupola, tipo che ha conosciuto a P. la più antica manifestazione dell'intera Etruria (Tomba del Rasoio Lunato del Poggio delle Granate: fine IX-inizî VIII sec. a.C.).
Se per quanto riguarda i rituali funerarî la cultura populoniese appare caratterizzata dalla coesistenza dell'incinerazione entro ossuari deposti in pozzetti o in tombe a camera e dell'inumazione in tombe (necropoli delle pendici occidentali del Poggio del Molino o del Telegrafo, tomba scavata nel 1972 dall'Università di Pisa), dati di notevole interesse sembrano venire dall'analisi della cronologia dei varî nuclei sepolcrali. Le necropoli di Piano delle Granate, nella zona settentrionale del golfo di Baratti, e quella di San Cerbone, nell'area meridionale, sembrano utilizzate in un momento seriore rispetto a quanto non sia documentato per i sepolcreti di Poggio delle Granate e di Poggio del Molino o del Telegrafo. Tuttavia solo in queste due ultime aree cimiteriali sono attestate strutture monumentali con camera con volta a pseudocupola, documentando con ogni probabilità l'emergere di alcuni gruppi all'interno delle comunità che controllavano l'accesso ai giacimenti minerari e l'organizzazione degli scambi e del trasporto dei minerali.
I corredi funerarî di quest'epoca, che appaiono più compositi nelle tombe a fossa piuttosto che in quelle a incinerazione, sono caratterizzati dalla scarsità di materiali ceramici, fenomeno che contrasta con la notevole abbondanza di oggetti metallici, molti dei quali prodotti in officine locali. In questo quadro, è tuttavia possibile cogliere i segni di una certa stratificazione della compagine sociale delle varie comunità, con alcuni individui caratterizzati come guerrieri per la presenza sia di armi sia di elmi fittili utilizzati come copertura di ossuari. Non trova finora conferma nel riscontro effettuato sui materiali del Museo Topografico di Firenze la notizia, fornita da A. Minto, relativa al rinvenimento di alcuni frammenti di un'urna a capanna.
Assai forti appaiono i legami di P. con Bologna da un lato e con la Sardegna dall'altro, tanto che appare quasi certo che i pochi materiali sardi rinvenuti a Bologna debbano essere imputati alla mediazione populoniese. Tuttavia se i rapporti con la Sardegna, soprattutto nel campo della metallotecnica, risultano così evidenti e palesi da ipotizzare una sorta di koinè culturale tra le due aree, non trascurabili devono essere stati quelli con la Corsica, che sembrano, per altro, adombrati dalla tradizione serviana sulla fondazione di P. a opera di genti provenienti dalla Corsica. Tali contatti sembrano infatti avvalorati, più che dalla tipologia di alcuni oggetti di ornamento, come le fibule con arco serpeggiante a gomito con uno o due occhielli, diffuse in tutta l'Etruria settentrionale costiera e in Corsica, dal rituale di alcune sepolture entro grotte naturali, riferibili alla fine del IX-inizî dell'VIII sec. a.C., rinvenute sul Monte Calamita nell'isola d'Elba, nel Campigliese, alle pendici settentrionali della Valle del Manienti e all'interno del Riparo Biserno, rituale che presenta strette analogie con usi abbastanza frequenti in Corsica.
Di contro alla ricchezza che caratterizza P. nel corso delle prime fasi villanoviane, a partire dalla metà dell'VIII sec. a.C. i corredi funerari sembrano documentare un periodo di recessione, che, per quanto non ancora sufficientemente indagato, potrebbe essere, almeno in parte, collegato all'emergere, nell'ambito del distretto minerario dell'Etruria settentrionale, di Vetulonia, che sembra ora subentrare a P. nel controllo dei collegamenti e degli scambi con Bologna e con la bassa valle tiberina.
La mancanza di documentazione non consente di cogliere in modo adeguato il rapporto tra P. e il suo entroterra, né le modalità del popolamento del territorio nel corso dell'Età del Ferro, anche se è certo che nel distretto minerario di Campi- glia devono localizzarsi alcuni insediamenti connessi allo sfruttamento dei giacimenti metalliferi, come testimoniano i corredi, ancora inediti, rinvenuti alla fine dell'Ottocento a Monte Pitti. Il panorama offerto da questi materiali appare abbastanza povero e caratterizzato da manifestazioni di spiccata individualità, come indicano gli ossuari, in genere disadorni e di forme abbastanza peculiari.
Nel corso della prima età orientalizzante sembra continuare a P. la situazione di apparente recessione riscontrata per la tarda età villanoviana, anche se studi recenti fanno risalire proprio a quest'epoca la comparsa, nella necropoli di S. Cerbone, di un nuovo tipo tombale, quello della tomba a camera a pseudocupola con avancorpo e crepidine cilindrica. Si tratta, comunque, di una fase non particolarmente ricca in confronto a quanto avviene nel resto dell'Etruria e che trova significativi riscontri, per alcuni tipi di materiale, nell'area volterrana e nel distretto minerario di Massa Marittima (necropoli dell'Accesa). La città risulta tuttavia inserita in una vasta rete di traffici, come documenta la presenza, per quanto numericamente limitata, di materiale protocorinzio di importazione, p.es. tra gli oggetti del corredo della tomba a camera 2 (scavi 1921 del Poggio della Porcareccia).
L'adozione della nuova tipologia tombale, se da un lato sembra confermare la posizione di spicco, anche sul piano culturale, di P. nell'ambito dell'Etruria settentrionale, dall'altro documenta l'esistenza di profonde trasformazioni in seno alle strutture economiche e sociali del distretto populoniese. Non sembra infatti un caso che il tipo della tomba a camera a pseudocupola con crepidine sia presente per quest'età solo nella necropoli di S. Cerbone e non in quelle di Piano e Poggio delle Granate, che pur continuando a essere utilizzate anche nella prima metà del VII sec. a.C., sembrano subire una progressiva flessione: tale situazione riflette con ogni verosimiglianza alcune delle complesse dinamiche che portarono alla formazione della città, testimoniando, forse, l'avvicendarsi di varî gruppi, che, posti in località diverse all'interno del golfo di Baratti, dovevano controllare l'accesso alle zone minerarie e i traffici legati al trasporto dei minerali e della manodopera. In questa prospettiva sembra trovare una sua collocazione anche l'impianto, negli anni attorno alla metà del VII sec. a.C., dei nuclei sepolcrali del Felciaieto e del Costone della Fredda, disposti lungo le pendici orientali e meridionali del Poggio della Guardiola. Non a caso, infatti, le prime tracce di un abitato riferibile allo scorcio dell'VIII-inizî del VII sec. a.C. sono venute alla luce sul Poggio del Molino o del Telegrafo nel corso degli scavi che hanno portato alla scoperta di un santuario ellenistico dell'acropoli di Populonia.
A partire dal secondo quarto del VII sec. a.C. la città, al pari dei principali centri dell'Etruria meridionale, offre un panorama di straordinaria ricchezza, che si evidenzia sia nell'ampia diffusione di strutture sepolcrali di respiro monumentale nelle necropoli del Poggio della Porcareccia, del Felciaieto e del Costone della Fredda, nonché in quelle di San Cerbone e del Casone, che si configurano sempre più come la principale area cimiteriale di P., sia nella qualità che nella natura dei materiali dei corredi funerarî.
I contatti con l'area bolognese, documentati fin dall'epoca villanoviana, sembrano continuare anche nel corso dell'Orientalizzante, mentre assai stretti dovevano essere i contatti con Vetulonia, da dove vengono importati alcuni oggetti di particolare prestigio, nonché con le città dell'Etruria meridionale, come indicano, p.es., le ceramiche a decorazione geometrica di produzione vulcente e tarquiniese o i vasi di impasto, forse riconducibili a Cerveteri, restituiti da alcune tombe principesche. Di grande interesse appare, in questo contesto, la presenza di elmi e schinieri corinzi, fra cui almeno due attribuibili alla metà del VII sec. a.C., nel corredo della Tomba dei Flabelli, che, configurandosi come oggetti di prestigio connessi verosimilmente alla pratica del dono, sembrano confermare gli stretti contatti, non necessariamente dovuti alla mediazione dell'area etrusca meridionale, fra la classe gentilizia locale e il mondo greco. Né sembra casuale la presenza in quantità non trascurabili di ceramiche dell'area greco-orientale e di raffinati prodotti corinzi, che P. ridistribuisce, forse tramite centri della bassa valle del Cecina (Casalmarittimo), verso l'interno almeno fino a Volterra.
Già nell'Orientalizzante Antico e Medio, P. annovera una produzione locale di vasi di impasto (ciotole, ollette carenate, ecc.), nonché di vasi di bucchero (kỳathoi, kàntharoi, oinochòai, ecc.), parte dei quali modellati su esemplari forse ceretani. Questa produzione, che attende ancora uno studio sistematico, soprattutto in relazione con quella delle altre officine attive nell'Etruria settentrionale (Vetulonia, Roselle, Pisa e Volterra), continua con manifestazioni di notevole vitalità nel corso dell'Orientalizzante Recente e conosce una discreta diffusione, in quanto viene esportata, oltre che nell'agro volterrano, a Vetulonia, a Pisa, nella Versilia e nell'Emilia occidentale.
Rispetto all'età precedente, il territorio offre un numero maggiore di documenti. Tracce di almeno due insediamenti di una certa entità riferibili all'Orientalizzante Medio sono state individuate nelle immediate vicinanze di Campiglia Marittima, mentre aree sepolcrali con le tombe a tumulo di tipo populoniese sono note a Monte Pitti e alle pendici di Monte Rombolo nelle estreme propaggini della Valle del Manienti. Materiali della prima metà del VII sec. a.C. sono inoltre noti dall'area di Val Fucinala, ove A. Minto scavò alcuni forni fusori.
Nel corso dell'Orientalizzante Recente il processo di formazione della città è ormai portato a compimento. Si continua a seppellire nelle tombe a camera della necropoli di San Cerbone, del Casone, del Costone della Fredda e del Felciaieto; anche la necropoli di Poggio delle Granate viene riutilizzata con notevole intensità in quest'epoca, lasciando intravedere una serie di eventi legati ai rapporti interni alla comunità che per il momento non è ancora possibile definire in dettaglio. Sul Poggio del Molino o del Telegrafo, la scoperta fra i materiali di riempimento per la costruzione di un grande muro di terrazzamento di età ellenistica, di un frammento pertinente alla copertura di un edificio con decorazione «white on red» rappresenta una delle poche testimonianze riferibili all'abitato dell'epoca.
Ricerche di superficie e scoperte fortuite consentono di individuare un'occupazione abbastanza intensa del territorio, mediante una serie di piccoli insediamenti a carattere verosimilmente rurale con agglomerati di capanne (poderi S. Antonio, Franciana, Affitti) che sembrano continuare fino alla seconda metà del VI sec. a.C.
Nel corso delle ultime fasi orientalizzanti e del primo arcaismo la cultura populoniese, quale traspare dai resti dei corredi tombali, presenta caratteri di straordinaria ricchezza, con il concentrarsi di numerosi oggetti di importazione. Tra questi particolare rilevanza assumono, a partire dai primi decenni del VI sec. a.C., i materiali greco- orientali, che testimoniano gli stretti legami che P. sembra avere avuto, anche a seguito della mutata situazione dell'alto Tirreno dopo la fondazione di Massalia, con l'area greco-orientale e che tanta parte avranno nello sviluppo della cultura locale per tutto il secolo.
Tra le produzioni locali, si segnala per caratteri di notevole individualità e vitalità quella dei bronzi laminati lavorati a rilievo e a traforo, di cui i monumentali flabelli dalla tomba omonima costituiscono gli esempî più prestigiosi.
Se alcune delle tombe a camera a pseudocupola continuano a essere utilizzate per tutto il secolo (Tomba dei Colatoi, Tomba delle Oreficerie, Tomba 1/1931 del Casone), negli anni attorno al 560/550 a.C. fa la sua comparsa a P. la nuova tipologia delle tombe a edicola, che risultano attestate, al momento, in numero piuttosto esiguo solo nelle necropoli di San Cerbone, in quella del Casone e alla Sughera della Capra. Verosimilmente alle stesse maestranze populoniesi andrà riferita anche quella, isolata nel panorama della città, scoperta agli inizi del secolo a Vetulonia in località Scala Santa.
Il nuovo tipo monumentale, talora provvisto, come nel caso della c.d. Tomba del Bronzetto d'Offerente, di un ricco apparato scultoreo sul fastigio del tetto, trova confronti sia per l'aspetto architettonico sia per la decorazione, nel mondo greco-orientale, in particolare dell'area samio-milesia, mentre non del tutto sicura appare la pertinenza a queste architetture delle antefisse fittili policrome, a testa femminile e di Acheloo, che sono, al contrario, da riferirsi a modelli tarquiniesi del tardo arcaismo. Contemporaneamente alle tombe a edicola, compaiono nelle necropoli populoniesi le tombe a cassone o a sarcofago.
Parallelamente all'affermarsi delle nuove tipologie tombali, indubbiamente connesse all'emergere di una nuova situazione dell'assetto sociale, si assiste, almeno nell'area del Casone, al manifestarsi di una sorta di pianificazione urbanistica dello spazio della necropoli con tombe, la cui disposizione rispetta forzatamente alcune strutture a tumulo di età orientalizzante ma ancora in uso, accuratamente collocate lungo vere e proprie strade sepolcrali.
La comparsa dei nuovi tipi tombali, l'organizzazione e la distribuzione delle tombe all'interno delle varie necropoli riflette certamente avvenimenti che mutarono in profondità la struttura sociale della città e la cui portata ancora sfugge in tutti i suoi aspetti, ma che andranno verosimilmente connessi all'inizio dell'attività di sfruttamento e di lavorazione in loco del ferro sotto il controllo della pòlis.
Le ricerche condotte a partire dal 1977 fino al 1980 nella zona del Poggio della Porcareccia, già definita «industriale» da A. Minto, hanno rivelato la fase più antica di questa attività, che risale almeno agli anni attorno alla metà del VI sec. a.C. e che appare caratterizzata dalla presenza di rudimentali forni scavati nel bancone d'argilla naturale, su cui poi tra il 540 e il 520 a.C. si impiantarono gli edifici che verranno utilizzati fino agli inizi del III sec. a.C., sia come sede dell'attività manifatturiera, sia come abitazioni. Gli edifici scavati e quelli, assai numerosi, di cui si intravedono solo i muri perimetrali, sono posti lungo le pendici del Poggio della Guardiola, in un'area non compresa all'interno della cerchia muraria di età ellenistica, in cui continuavano a essere utilizzate, almeno fino al terzo quarto del VI sec. a.C., le tombe orientalizzanti, contemporaneamente all'impianto del primi edifici «industriali». Restano, tuttavia, ancora da chiarire molti problemi sia riguardo all'organizzazione dell'attività della lavorazione del minerale all'esterno degli edifici e il rapporto con l'area abitativa degli stessi, sia in relazione alla tecnica di raffinamento del ferro e alla tipologia dei forni utilizzati. Gli scavi in località Campo Sei hanno rilevato la presenza a monte del Poggio della Guardiola di un grosso muro di contenimento che corre parallelo alla cinta muraria ellenistica e che doveva separare tutta quest'area dall'abitato, che presumibilmente occupava la sommità del rilievo.
È stato supposto da G. Colonna che in questa fase le miniere elbane e l'attività di lavorazione del ferro fossero sotto una sorta di controllo panetrusco facente capo a Caere, a cui dovette seguire, nella prima metà del V sec., prima del vero e proprio monopolio populoniese, una breve fase siracusana, adombrata dalle testimonianze dello Pseudo-Aristotele e di Diodoro. L'ipotesi appare suggestiva, anche se devono essere indagati il ruolo svolto comunque dalla città e le modalità della sua partecipazione. Le profonde trasformazioni evidenziate per quest'epoca, unitamente alla ricchezza dei corredi, che rivelano una complessa e vivace realtà di scambi e commerci molto vicina a quella riscontrabile nell'Etruria padana, con una grande abbondanza di bronzi, ambre figurate e ceramiche di importazione, sembrano indicare comunque una fase di grande prosperità per la città.
La costruzione della cinta muraria dell'acropoli potrebbe essere collegata a una situazione di particolare difficoltà venutasi a creare nella pòlis a seguito dell'occupazione siracusana dell'Elba. I saggi stratigrafici, condotti a partire dal 1982 alla base di un tratto delle mura sul Poggio del Castello, hanno rilevato, al di sotto di un lastricato largo m 1,45 che corre alla base delle mura e che forse deve essere riconnesso a un riutilizzo della struttura nella prima età ellenistica, tracce dell'impianto originario delle mura, databili attorno alla metà del V sec. a.C. Per quanto si tratti di un'ipotesi di lavoro, che solo il proseguimento delle indagini consentirà di approfondire, sembra abbastanza evidente che, almeno nel tratto oggetto dell'indagine, la città abbia ristretto il proprio perimetro, dal momento che le mura poggiano in parte su alcune strutture murarie, rasate, pertinenti a edifici di età tardo- arcaica.
Resti di un settore dell'abitato tardo-arcaico sono stati scoperti nella sella tra il Poggio del Molino o del Telegrafo e quello del Castello, al di sotto delle strutture pertinenti a un complesso sacrale tardo-ellenistico. La destinazione dell'area in epoca anteriore all'età ellenistica è ancora incerta, anche se il rinvenimento, in giacitura secondaria tra il materiale di riempimento delle sostruzioni del tempio ellenistico, di un frammento architettonico fittile raffigurante un mostro marino realizzato a tutto tondo, lascerebbe ipotizzare la presenza in quest'area già in età tardo- arcaica di un edificio monumentale, forse di natura sacrale.
L'artigianato artistico locale presenta una forte influenza del mondo greco-orientale, testimoniata sia dalla produzione fittile sia dalla piccola plastica votiva in bronzo.
Quest'ultima, in particolare, appare caratterizzata da una produzione di notevole qualità, come documenta, p.es., una statuetta frammentaria, permeata di modelli formali di origine fócese, recuperata in una stipe votiva dentro un pozzo a Verucchio e attribuita a una bottega populoniese, la cui presenza in questo centro contribuisce a gettare luce sui rapporti che legano P. con l'Etruria padana, la Romagna e il Piceno, rapporti già indiziati fin dall'epoca orientalizzante.
Alla produzione bronzistica sviluppatasi localmente dalla fine del VI sec. fino alla metà del successivo è possibile riferire opere di grande impegno stilistico come il Tinta di Malibu, la kòre dalla stipe di Casa Ricci, il Capro della stipe di Bibbona, oltre ad alcuni arredi, fra cui gli elementi decorativi di un carro, rinvenuti nel 1955 nella necropoli di San Cerbone nei pressi di una tomba a edicola, rappresentano gli esempî più prestigiosi.
Accanto alle influenze del mondo greco-orientale, riscontrabili, per altro, in tutta la produzione bronzistica coeva dell'Etruria settentrionale, assai stretti appaiono i legami dell'ambiente populoniese con l'Attica e il mondo peloponnesiaco. A questo proposito un esempio significativo è offerto dalla statuetta dell’Aiace suicida che, soprattutto per la particolare versione del mito prescelto, presuppone l'operato di un artigiano formatosi in un ambiente fortemente permeato di cultura greca.
Per quanto manchino al momento ceramiche attiche anteriori al 540 a.C., a partire dall'ultimo quarto del VI sec. l'ambiente populoniese si caratterizza per la presenza ininterrotta, fino all'inizio del IV sec. a.C., di raffinati prodotti del Ceramico ateniese, tra cui si segnala un frammento di cratere a calice a fondo bianco con scena legata al mito di Kallistò, attribuito da E. Paribeni al Pittore di Villa Giulia.
L'acquisizione recente di numerosi manufatti marmorei decontestualizzati e reimpiegati in parte in edifici moderni, che vanno ad aggiungersi a quelli noti da tempo e conservati nella Collezione Gasparri, impone di riesaminare il ruolo svolto da P. nell'ambito di una produzione artigianale, documentata a Volterra, a Pisa e nell'area versiliese nonché nell'Etruria padana e che la letteratura più recente tende ad attribuire all'insediamento alla foce dell'Arno, che avrebbe avuto il controllo per tutta l'epoca preromana delle cave dei Monti Apuani. Già R. Bianchi Bandinelli aveva ipotizzato per i due monumenti più prestigiosi della serie dei «Marmora Etruriae» l'utilizzazione di marmi provenienti da cave minori del territorio volterrano e populoniese, come quelle di Montecalvi e di Botro ai Marmi presso Campiglia Marittima. Alcune scoperte recenti sembrano confermare che le cave di Montevalerio, p.es., sono state utilizzate almeno fin dalla prima età ellenistica.
Non disponiamo fino a oggi di alcuna testimonianza relativa al popolamento del territorio in età tardo-arcaica e classica, se si esclude il recupero, sulla base dei dati d'archivio, di una piccola stipe votiva scoperta negli anni Cinquanta in località Casa Ricci presso Riotorto, che conteneva materiali, in gran parte dispersi attraverso il mercato antiquario, databili dall'inizio del V sec. fino alla prima età ellenistica. Sebbene manchino dati più precisi sulle modalità del recupero, appare altamente probabile il riferimento del piccolo deposito a un luogo di culto, forse un santuario rurale, che doveva segnare probabilmente il confine del territorio populoniese con quello di Vetulonia.
Nella seconda metà del V e nella prima metà del IV sec. a.C. P. non appare toccata dalla recessione che caratterizza le città dell'Etruria meridionale, ma al contrario mostra segni di una eccezionale fioritura. A una relativa austerità nei corredi rinvenuti nelle tombe a edicola e nelle tombe a cassone, dovuta verosimilmente a una più generale riorganizzazione della società in senso oligarchico, si accompagna una notevolissima presenza di ceramica attica a figure rosse. Alla seconda metà del V sec. a.C. è stato proposto di riferire l'inizio di una monetazione regolare in argento e forse anche in oro. Le coniazioni in argento finora conosciute mostrano due sistemi diversi di valore, forse collegabili a due fasi distinte nella coniazione. L'inizio della monetazione è stato messo in relazione soprattutto con la necessità di provvedere al pagamento di truppe mercenarie e con le particolari condizioni in cui si venne a trovare P., assieme a tutto il distretto minerario, essendo divenuti oggetto di un attacco serrato da parte dei Siracusani. È chiaro inoltre che sia l'attività imprenditoriale legata alla lavorazione e alla distribuzione del minerale del ferro, che raggiungeva sicuramente Pisa, Murlo nell'Etruria interna e Marzabotto nell'Etruria padana, sia la necessaria presenza di gente di varia origine e di varia condizione sociale, dovettero influire sull'opportunità di predisporre un nuovo sistema per gli scambi, il cui valore fosse garantito dalla pòlis. Il ritrovamento di un didramma d'argento di P. a Prestino, presso Como, in uno strato del terzo quarto del V sec. a.C., che fino a oggi sembra essere l'unica moneta etrusca attestata a Ν degli Appennini, depone a favore di questa ipotesi.
Tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. P. conobbe uno sviluppo eccezionale, in relazione soprattutto all'attività di lavorazione del ferro, documentato in primo luogo dallo straordinario incremento demografico, rivelato dal numero delle sepolture, dall'estensione e dall'ampiezza delle necropoli, dalla grande varietà nella tipologia tombale e dalla quantità di materiali ceramici riferibili a questo periodo. Si impiantano adesso le necropoli delle Grotte e del Poggio Malassarto, mentre continuano a essere utilizzate le necropoli di San Cerbone e del Casone. Il fenomeno interessa ora anche le necropoli villanoviane di Poggio e Piano delle Granate, abbandonate dall'Orientalizzante Recente, dove sono documentate numerose tombe a fossa e a cassone.
Nella necropoli del Casone sono testimoniate anche alcune sepolture all'interno delle tombe a tumulo orientalizzanti e di quelle a edicola, evidentemente ancora non ricoperte completamente dalle scorie di ferro, come in quella dei Colatoi e del Bronzetto di Offerente. Nella necropoli delle Grotte, sul declivio del Poggio della Guardiola, verso N, sono documentate tombe a camera a ipogeo scavate nella roccia utilizzando i fronti della cava di panchina usati nei secoli precedenti e ormai abbandonati. Particolarmente degne di nota sono due tombe dipinte, esplorate nel 1967, con schemi decorativi (onde correnti, prospetti di letti funebri, delfini, un ariete con la testa di prospetto) abbastanza poveri che si rifanno a tipi diffusi nell'Etruria meridionale nell'ambito della decorazione secondaria. Le tombe hanno una camera unica con banchina funebre lungo le pareti, sulla quale a volte sono scolpiti alti cuscini di forma rettangolare che individuano i letti funebri. Alla camera si accede mediante un dròmos in discesa in cui sono intagliati numerosi gradini. Scavi recenti hanno rivelato la presenza di statue funerarie (leoni e demoni), di stele e cippi e l'uso di sarcofagi con il coperchio antropomorfo, già documentato anche nella necropoli del Malassarto. Intorno alle tombe a ipogeo sono venute alla luce numerosissime tombe a fossa a inumazione e a incinerazione, con corredi più modesti, che si sono impiantate sul terreno di riempimento di un fronte della cava utilizzato in epoca orientalizzante e arcaica, e hanno impiegato come copertura lastroni e schegge irregolari di panchina, residui della lavorazione della cava.
Nella necropoli del Malassarto, finora mai indagata scientificamente, le tombe scavate nel galestro, cui si accedeva tramite un breve dròmos, avevano una piccola camera irregolare di forma quadrangolare. Nella necropoli delle Grotte sono testimoniate anche alcune tombe a camera interamente scavate nei banconi d'argilla che caratterizzano geologicamente la zona.
Sull'acropoli, nella sella fra il Poggio del Molino o del Telegrafo e il Poggio del Castello, un grosso muro di terrazzamento, orientato N-S e costruito a blocchi regolari, conservato solo per un breve tratto, è attribuibile a una ristrutturazione dell'area avvenuta nel primo ellenismo. Agli anni tra la fine del IV-inizî del III sec. a.C. sembra risalire, anche se mancano prove desunte dall'evidenza archeologica, la costruzione della cinta muraria che partendo da Cala S. Quirico, lungo il crinale del Poggio dalla Guardiola arrivava a Baratti, nella zona denominata Campo Sei. La cinta costruita a blocchi isodomi era munita di torrioni ad avancorpo. Secondo A. De Agostino un tratto di raccordo collegava questa cinta a quella dell'acropoli, ma l'ipotesi rimane ancora da verificare.
Il centro urbano comprendeva l'abitato sul Poggio del Molino o del Telegrafo, sul Poggio del Castello, eccetto la sommità su cui insiste il paese attuale, dove i saggi effettuati dal Minto dettero risultati negativi, compreso il versante orientale verso Baratti fuori dalla cinta dell'acropoli e il versante occidentale del Poggio della Guardiola. Al di fuori delle mura l'abitato si estendeva anche sul Poggio della Porcareccia.
La presenza di individui di varia condizione sociale provenienti dalla Grecia, dalla penisola iberica, da ogni parte dell'Etruria, dall'Umbria, dalla Campania, nonché dalla Sardegna e dalla Corsica, è attestata dalle iscrizioni. Per quanto riguarda la penisola iberica, oltre alla testimonianza di un graffito su un frammento del piede di un kàntharos, è da sottolineare la presenza di un'urna punica di forma Cintas 267 bis, ampiamente diffusa a Cartagine, in Sardegna e sulla costa iberica, usata in tutte queste zone sempre come urna cineraria e rinvenuta assieme a un'oinochòe del Gruppo Torcop in una tomba a fossa, scavata nel 1925 presso la Tomba dei Carri, che potrebbe indicare anch'essa Ja presenza di individui di origine punica.
È molto probabile che P., proprio per il fatto di essere situata sulla rotta che collegava Roma a Marsiglia e per il monopolio che esercitava in quest'epoca sul distretto minerario di Campiglia e dell'Elba, avesse legami specifici con la città latina che nella prima metà del III sec. a.C. aveva già sottomesso la maggior parte delle città etrusche. Un elemento a favore di questa ipotesi potrebbe essere fornito dall'individuazione a P. di una sorta di «filiale» dell'Atelier des Petites Estampilles. A P. infatti è stata rinvenuta una quantità eccezionale di vasi tipici di questa fabbrica oltre a numerosi frammenti di pocola, a un gruppo di skỳphoi sovradipinti di produzione romana e a numerose coppe del Gruppo 96. Oltre a fabbriche di ceramiche a vernice nera, i cui prodotti raggiunsero fra l'altro l'insediamento di Ameglia in territorio ligure, a P. sono state individuate anche un'officina di ceramica a figure rosse e sovradipinta nonché una produzione di vasellame e manufatti in bronzo e in piombo risalenti alla prima età ellenistica. I rapporti con Volterra sono testimoniati, fra l'altro, da una grande quantità di prodotti delle officine ceramiche della città rinvenuti a P. sia negli strati dell'abitato sia nei corredi funerari, mentre i legami con il Nord e con il territorio ligure sono comprovati, p.es., dalla fibula Certosa tipo Ticinese, identificata recentemente fra i materiali del corredo della Tomba delle Oreficerie, tipo documentato anche nella necropoli di Ameglia.
P. ebbe pure un ruolo importante nella distribuzione dei prodotti delle officine romane, falische, etrusco-meridionali e anche, attraverso la Campania, della tarda produzione attica a vernice nera, verso la Corsica, la Sardegna, la Gallia meridionale e la Penisola Iberica.
Alla fine del IV sec. a.C. deve essere riferito l'inizio della monetazione in bronzo che comprende tre serie con Atena, Eracle, Hermes e i loro attributi, mentre continuano le serie in argento. Monete di P. sono state rinvenute oltre che nell'isola d'Elba, a Tarquinia, a Roselle, a Vetulonia, nel Pistoiese, a Vicarello e in Umbria, nella stipe votiva di Valle Fuino di Cascia. Agli inizi del III sec. a.C. risale l'occultamento dei tesoretti di monete populoniesi trovati a Montalcino nella Val d'Orcia, a Sovana e nella stessa Populonia.
Agli anni intorno alla metà del III sec. a.C. sembra risalire l'impianto della necropoli di Buche delle Fate, in una zona situata all'interno della cinta muraria ellenistica, che probabilmente in questo periodo aveva già perso la sua funzione difensiva. Intorno a quest'epoca si assiste a P. a un breve periodo di crisi, testimoniato fra l'altro da una contrazione nel numero delle sepolture, dal minor numero di materiali ceramici rinvenuti e dalla quantità esigua di iscrizioni riferibili a quest'epoca. Anche l'attività di lavorazione del ferro negli «edifici industriali» sul Poggio della Porcareccia sembra cessare ora quasi improvvisamente. A seguito di eventi forse traumatici, che non conosciamo ma che dovettero mutare bruscamente i rapporti fra le due città, P. entra ora definitivamente sotto il dominio romano. Contemporaneamente, sull'isola d'Elba si assiste alla rovina del sistema degli insediamenti fortificati d'altura e la loro distruzione sicuramente è da connettersi con la conquista di P. e con le spedizioni romane che portarono alla presa d'Aleria e al saccheggio delle coste della Sardegna nel 259 a.C. Certamente la crisi non ebbe lunga durata se alla fine del III sec. a.C. P., come è testimoniato da Livio, fornisce il ferro per l'impresa di Scipione. Nella prima metà del II sec. a.C. la città usufruisce di quel benessere economico e sociale che si diffonde in tutta l'Etruria e che porta alla ristrutturazione di vaste aree urbane e alla costruzione di nuovi edifici. A quest'epoca risale la costruzione di un nuovo tempio sull'acropoli, il primo venuto alla luce finora, nella sella tra il Poggio del Molino o del Telegrafo e il Poggio del Castello, in un'area a Ν di un complesso santuariale di poco più antico. Il tempio, di cui si conservano solo le fondazioni e alcuni tratti del primo filare dell'alzato riferibile al podio, è orientato S-SE e misura m 18 x 13. La pianta, di forma allungata, con una cella quadrata di 5 m di lato e un pronao stretto, è molto vicina a quella del tempio A dell'acropoli di Volterra. Alla decorazione architettonica dei templi di questa città e alle terrecotte del santuario della Catona di Arezzo rimandano sia le due teste virili a tutto tondo pertinenti forse alla decorazione frontonale, sia il frammento di lastra figurata rinvenuti nel corso degli scavi. L'attività di lavorazione del ferro si espande ora, oltre che nell'area della necropoli del Casone, anche nelle immediate vicinanze del litorale, talora sovrapponendosi ai resti degli insediamenti del Bronzo Finale scoperti al centro del golfo. Al II sec. a.C. avanzato risalgono anche le tracce della lavorazione del ferro e i resti di alcuni edifici recentemente scoperti sopra gli strati di abbandono di un vasto abitato del Bronzo Finale a S. Vincenzo, a Ν di Populonia.
Nella prima metà del II sec. a.C. infatti le trasformazioni nella compagine sociale che si verificarono in gran parte dell'Etruria settentrionale dovettero forse arrecare alcuni mutamenti anche nel sistema di organizzazione dell'attività di lavorazione del ferro. Un'eco di questi rivolgimenti è da vedere nell'iscrizione aule cae puia, scolpita sull'architrave di una tomba nella necropoli delle Buche delle Fate, in cui è attestato un praenomen in funzione di gentilizio, che individua l'origine servile del personaggio.
Fin dall'ultimo quarto del III sec. a.C. assai stretti sembrano i legami della città con l'area campana, di cui è indizio, tra l'altro, la presenza della ceramica Campana A arcaica con decorazione a rilievo sul fondo esterno, tipo che sappiamo aver avuto una diffusione assai limitata al di fuori della Campania e che forse per il tramite di P. raggiunse anche Ampurias. Per tutto il II sec. fino agli inizî del I sec. a.C. la Campana A dominerà incontrastata il mercato locale, come rivela la quantità davvero straordinaria di vasi di questa produzione restituita dagli scavi dell'acropoli.
Alla fine del II sec. a.C. la città era ancora un approdo marittimo di una certa importanza, dove, grazie anche al collegamento con l'area puteolana, affluivano merci pregiate dai mercati orientali. Una chiara testimonianza della situazione populoniese del momento è offerta dal carico del relitto Β o del Pozzino, recentemente recuperato nel golfo di Baratti. Accanto ad anfore tipo Dressel I provenienti dalla Campania e alla ceramica Campana A, di grande interesse è la presenza di coppe megaresi, di ceramica orientale con decorazione a rilievo, di vasi tipo west slope ware di produzione pergamena, nonché di quattro coppe di vetro dell'area siro-palestinese, oggetti questi ultimi, che verosimilmente grazie a P. giunsero anche all'interno, nel territorio volterrano. Alcuni frammenti di làgynoi orientali, rinvenuti anch'essi nel relitto, permettono di inquadrare più compiutamente la presenza di due làgynoi cipriote, rinvenute una all'Elba e l'altra a Val Fucinala, nel distretto campigliese, che trovano un significativo riscontro in alcune attestazioni della costa iberica (Cartagena), e documentano, tra l'altro, l'inserimento della città in una vasta rete di traffici verosimilmente connessa con le attività legate alla metallurgia e con lo sfruttamento delle miniere.
Alla fine del ΙΙΙ-inizî del II sec. a.C. fino all'età imperiale, tutto il territorio della Val di Cornia appare densamente popolato, segnato da un gran numero di ville rustiche e da numerosissimi insediamenti di modesta entità a carattere rurale. Degna di nota è la recente scoperta di un complesso di edifici pubblici di natura termale, per lo sfruttamento delle sorgenti di acqua calda, posto lungo la valle del Cornia, in un'area di confine tra il territorio di P. e quello di Volterra, dove è forse possibile riconoscere le Aquae Populoniae menzionate nella Tabula Peutingerìana.
Alla fine della guerra civile, anche P., al pari di numerose altre città etrusche, dovette subire pesanti contraccolpi a causa della sua / posizione filo-mariana; a quest'epoca risale infatti, tra l'altro, la distruzione del tempio tardo-ellenistico dell'acropoli. Divenuta municipium, P. venne ascritta, con Pisa, alla tribù Galería come documenta inequivocabilmente un'epigrafe che ricorda L. Vesonius, un quattuorviro appartenente a quella tribù.
Alla metà del I sec. a.C. risale con ogni probabilità la costruzione della villa marittima in località Le Logge, che ha restituito preziosi mosaici con raffigurazioni marine. Alcuni grossi frammenti di trabeazione di marmo, venuti alla luce sull'acropoli, costituiscono le uniche testimonianze degli edifici verosimilmente pubblici del municipio.
Più ampio è il quadro restituito dalle necropoli. La necropoli ellenistica di Buche delle Fate continua a essere utilizzata fino all'età augustea, mentre ancora nella seconda metà del I sec. d.C. si seppellisce al Poggio della Porcareccia, a San Cerbone e al Casone entro gli strati di scorie che nel tempo hanno obliterato la necropoli, nonché lungo tutta la linea di costa. Nell'immediato retroterra del golfo e sul Poggio all'Agnello sono state rinvenute alcune sepolture, una stele e un rilievo probabilmente collegabili a una villa rustica. I corredi sono abbastanza modesti e comprendono unguentari vitrei, lucerne, ceramiche acrome e a pareti sottili. I materiali testimoniano la predominanza sul mercato della città delle produzioni centro-italiche, mentre i rapporti con la Campania, ancora presenti, sono documentati, p.es., da una tegola relativa a una tomba della Porcareccia, con il bollo di M. Arrius Maximus, personaggio che operava nella Campania settentrionale tra l'epoca di Augusto e quella tiberiana.
Nella seconda metà del I sec. d.C. anche a P. ha inizio un progressivo impoverimento dovuto alla più generale crisi dell'economia italica, da cui la città sembra risollevarsi solo dopo un secolo, come indicano le tracce di una profonda ristrutturazione avvenuta in questa età di alcuni settori della villa romana di Poggio del Molino recentemente messi in luce. All'età antonina è riferibile con ogni probabilità la statua iconica femminile, priva della testa ma riconducibile al tipo «Formia», recuperata in mare nel 1990 a pochi metri dalla riva nel golfo di Baratti.
Con la seconda metà del III sec. d.C. cessa la documentazione dei corredi funerari al momento noti, anche se il recupero, avvenuto nei primi anni del secolo scorso, di una bottiglia di vetro decorata con una scena portuale ambientata nella città di Baia, databile al passaggio tra III e IV sec. d.C., lascia intravedere la presenza di una comunità tuttora agiata, in grado di assicurarsi prodotti di lusso e ancora pienamente inserita in un'importante rete di traffici, mentre il ruolo nodale dell'approdo di P. nell'ambito delle rotte del Mediterraneo centro-occidentale è documentato, almeno fino alla fine del IV sec. d.C., dal rinvenimento in mare di una monumentale anfora d'argento, forse fabbricata ad Antiochia e destinata a contenere acque lustrali per riti di abluzione di culti greco-orientali.
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(a. Romualdi)