Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Lo sviluppo della popular music in Europa è connesso ai processi di modernizzazione e di sviluppo delle forme d’intrattenimento di massa. I repertori da cui ha attinto sono quelli della tradizione orale locale, dell’intrattenimento borghese e della popular music statunitense. Vista l’eterogeneità delle aree culturali europee e delle loro vicende storiche, e visto che i vari generi musicali compresi nella popular music europea sono nati e si sono sviluppati in epoche e situazioni diverse, questa si presenta come un mosaico assai complesso ed eterogeneo.
L’origine della popular music va ritrovata, da un lato, nei processi di urbanizzazione delle musiche di tradizione orale, ovvero dei repertori regionali diffusi nelle zone rurali e tra le minoranze (per esempio ebrei e zingari), e, dall’altro, nella diffusione della musica d’intrattenimento del ceto aristocratico e borghese a un pubblico più vasto. Questo processo, avviatosi nell’Ottocento con Francia, Germania e Gran Bretagna all’avanguardia, nel Novecento vede l’ingresso di una terza fonte: la popular music statunitense, la cui presenza pervasiva in Europa, connessa a importanti processi economici e politici, è presto diventata oggetto di considerazioni opposte: per i fautori della modernità, essa rappresenta uno dei principali punti di riferimento su cui fondare l’innovazione delle pratiche musicali europee; per altri, coerentemente con le forti resistenze verso i processi di “americanizzazione” diffusi in Europa, è invece simbolo della decadenza del gusto, della corruzione morale e di tutti i possibili difetti che il Vecchio Continente vede nella società nordamericana. Considerando che la diffusione della popular music anglosassone è alla base dello sviluppo dell’attuale musica mainstream internazionale, in quest’ambivalenza è dunque possibile ritrovare la radice dell’attuale dialettica tra celebrazione della modernità e retorica dell’omologazione.
È solo verso la metà del Novecento che un po’ in tutt’Europa si stabilizzano repertori nazionali d’intrattenimento rivolti al pubblico ampio ed eterogeneo di massa. Tale processo si sviluppa lentamente, attraverso la circolazione delle canzoni dapprima tramite una sempre più fitta rete di locali e di teatri (vedi ad esempio il café chantant francese) e, in seguito, attraverso la loro diffusione tramite la radio e il cinema. La televisione sarà introdotta a partire dagli anni Cinquanta e avrà un ruolo rilevante solo nella seconda metà del secolo.
È significativo considerare l’atteggiamento assunto nei confronti di tali repertori in via di formazione dalle varie dittature che hanno caratterizzato il Novecento in Europa. Queste, attente all’uso dei mass media a fini di propaganda e di mantenimento del consenso, hanno colto immediatamente le potenzialità di quella nuova forma di musica popolare che è la canzone d’intrattenimento di massa e hanno cercato di controllarne i contenuti e, allo stesso tempo, attraverso una politica protezionistica, di allontanarla dai modelli anglosassoni, considerati dalle varie correnti politiche, con sfumature diverse, negativi. Tali controlli, di fatto solo relativamente efficaci, hanno comunque inciso profondamente nell’evoluzione della popular music europea avviando processi di lunga portata.
Nei Paesi soggetti all’influenza sovietica, ad esempio, i regimi hanno scelto di valorizzare le tradizioni regionali cercando di creare, in modo artificioso, una sorta di “folk nazionale”. Hanno così avuto origine vari repertori che, coltivati anche dopo la caduta dei regimi sovietici, fondano ora l’ossatura dei mainstream nazionali pop-folk diffusi nell’Europa dell’Est. Nell’Europa occidentale, invece, i repertori d’intrattenimento quali la canzone nell’Italia fascista, lo Schalger nella Germania nazista e la copla nella Spagna franchista, presto spogliati da connotazione folkloriche dirette, hanno assunto toni consolatori e d’evasione che oggi sono a volte oggetto di revival e che formano la base delle numerose trasformazioni che hanno generato i mainstream nazionali. Vi sono comunque repertori nazionali, come la musica laiki greca, emersi in contesti non caratterizzati da operazioni di controllo diretto.
I mainstream nazionali hanno profonde relazioni con il mainstream internazionale, entrato con prepotenza anche nelle zone sovietiche dopo la caduta del muro di Berlino, ma non si mescolano a esso. Infatti, anche se a volte capita che divi locali siano inseriti nei mercati internazionali (come nel caso degli italiani Nek e Laura Pausini, che fanno parte sia del mercato nazionale della canzone sia di quello internazionale latin pop, oppure il caso degli svedesi Abba, che negli anni Settanta hanno riscosso ampi consensi internazionali), più spesso i mainstream locali sono ben differenziati dal pop internazionale e mantengono nomi specifici (per esempio, musica arabersk turca e laiki greca). Al limite escono dai confini nazionali per diffondersi in una determinata area culturale, come è il caso del folk novokomponovana serbo, che si è diffuso nella seconda metà del secolo nell’area balcanica. Spesso rivendicano orgogliosamente il legame con una tradizione locale, come nel caso della Canzone italiana. Si noti però che si tratta di una tradizione ideale e idealizzata, visto che i mutamenti implicati nella nazionalizzazione del repertorio e nell’uniformarsi alla pratica dell’intrattenimento, uniti all’azione omologante del pop internazionale, rendono i legami con le pratiche musicali dei primi decenni del secolo assai labili. I mainstream nazionali, inoltre, sono sempre in movimento: spesso stimolati dalle innovazioni introdotte nel pop internazionale, evolvono anche frammentandosi in sottogeneri. Ad esempio, alla fine degli anni Ottanta, il folk novokomponovana serbo – che già in sé è un’evoluzione pop della musica di tradizione locale – da origine sotto la spinta della dance elettronica internazionale, al turbofolk, il cui messaggio edonistico e spregiudicato è funzionale al mantenimento del consenso verso il neonato regime sviluppatosi dopo la disgregazione della Jugoslavia. Con un movimento del tutto opposto, in Bulgaria, sempre nei Balcani, in questo stesso periodo si impone invece la chalga, la musica delle minoranze zingare e turche, i cui temi simili al turbofolk e le cui origini “basse” preoccupano intellettuali e benpensanti, dediti all’ascolto di musiche bulgare.
Se la tensione locale-globale a livello di mainstream ha la sua passerella nel Festival Europeo della Canzone, nato nel 1956, va sottolineato che la popular music europea non è soltanto mainstream, né l’influsso della popular music anglosassone può esaurirsi a quello relativo al suo mainstream. In Europa, i repertori particolari sono infatti assai numerosi. Nella prima parte del secolo, la loro formazione si basa sulle musiche di tradizione orale, le prime a dover fare i conti con le nuove pratiche musicali popolari urbane. Se, da un lato, ciò ha significato l’esaurirsi di alcune tradizioni locali e la nascita di nuovi repertori urbani (come il rebetiko in Grecia e il liscio in Italia), dall’altro si è assistito all’affermarsi di alcune di esse come patrimonio artistico nazionale (come il fado portoghese, il flamenco spagnolo o la musica corale bulgara) o al mutare di altre, che sono riuscite a ritrovare un ruolo all’interno del nuovo contesto socio-economico (come la musica dimiotiki greca). In ogni caso, l’inserimento di queste musiche nei circuiti concertistici e d’intrattenimento muta profondamente il loro statuto originario.
Nella seconda parte del Novecento i repertori particolari europei cominciano a prendere esplicita distanza dal mainstream, dapprima seguendo le rivendicazioni generazionali diffuse oltreoceano e, in seguito, accusandolo di essere troppo compromesso con le logiche massmediatiche ed economiche in nome di un impegno artistico che, a partire dagli anni Sessanta, entrerà nella popular music in modo sempre più diffuso. Si tratta di repertori legati alle culture giovanili che, rifacendosi perlopiù a modelli anglo-sassoni derivati dal rock e dalla musica dei neri nordamericani, non solo producono semplici emulazioni, ma promuovono anche filoni musicali “di nicchia” di rilievo internazionale dove l’Europa svolge ruoli di primo piano. In questo senso, se l’attuale movimento modellato sull’indie-alternative rock rappresenta forse una delle tante riprese poco incisive dei modelli internazionali, come ad esempio successe negli anni Sessanta con la British Invasion prima e con l’invasione del soul dopo, dobbiamo ricordare che l’Europa assume un ruolo da protagonista nell’ambito del progressive rock negli anni Settanta e, in seguito, nel metal, fortemente radicato nel Nord Europa, e nella moderna dance elettronica, settore in cui l’Italia gode di un ruolo importante e che nel Nord Europa ha avuto risvolti originali (ad esempio il caso della Love Parade di Berlino). Assai importante è poi l’appropriazione dello hip hop statunitense, ripreso in molte zone europee al fine di valorizzare identità locali regionali, come ad esempio è successo nell’Italia meridionale.
Infine, vale la pena ricordare alcuni repertori particolari che nascono sulla base di progetti più orientati alla ricerca artistica. Tra questi, primeggia certo la “canzone d’autore”, diffusa in tutt’Europa. Ma di altrettanto rilievo sono fenomeni, di matrice anglosassone, quali la ripresa e l’elaborazione delle musiche di tradizione, che ha preso il nome di folk revival, e, più di recente, l’emergere dell’approccio pan-etnico della world music.