POPPONE
– Nacque tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo.
Una perdurante tradizione storiografica vuole che Poppone fosse membro della famiglia comitale carinziana dei Treffen, un castello poco a nord di Villaco (Czoernig, 1873, p. 249; Schwartz, 1913, p. 31; Cammarosano, 1988, p. 84), ma già Pio Paschini aveva valutato con prudenza tale attribuzione e definiva Poppone «bavarese» (1913, pp. 14 s.). Heinz Dopsch (1997, pp. 16-18) ne ha ribadito l’origine bavarese, rampollo della famiglia degli Ottocari di Steyr, una città ora in Alta Austria.
Il padre di Poppone fu Oci (Ozi, Otger, Otakar, Otachar) citato in un documento del 994 come «comes et missus» del re Ottone III e «Waltpotus» (Gewaltbote, ovvero messo o rappresentante imperiale) in Carinzia (Monumenta historica ducatus Carinthiae, 1904, n. 186). La madre si chiamava Irenburg. Oci apparteneva all’alta aristocrazia imperiale ed esercitò le proprie mansioni in un’area geografica compresa tra la Baviera, la Stiria, la Carinzia, il Regno d’Italia. Si spiega così anche l’incertezza riguardo alla definizione territoriale di provenienza.
Poppone (chiamato in un caso anche Wolfgang) ebbe almeno un fratello, Ocino, che viene menzionato come conte di Cordenons, in Friuli, ma anche di Zeidl-ergau, in Baviera. Un ruolo molto importante per la famiglia ebbe il monastero di Ossiach, sull’omonimo lago in Carinzia, fondato dai genitori di Poppone e da lui riscattato nel 1028. Da quel momento fu tra le pertinenze dei patriarchi aquileiesi per circa due secoli.
Le tappe della formazione di Poppone non sono conosciute. Si può supporre che fosse il figlio minore di Oci e che divenisse patriarca d’Aquileia in età giovanile, presumibilmente negli ultimi mesi del 1019, per volere dell’imperatore Enrico II, con il quale forse vantava legami di parentela. È infatti noto che Meinwerk, vescovo di Paderborn (1009-36) e nipote dell’imperatore, era consanguineo di Poppone. Il neopatriarca non mancò di manifestare la sua lealtà verso il sovrano sassone. Nel 1020 fu a Bamberga insieme con papa Benedetto VIII e vi celebrò le festività pasquali, e in tale occasione Enrico confermò al presule le ampie immunità godute dalla chiesa aquileiese. Nel privilegio il patriarca fu equiparato a un messo regio nell’esercizio delle funzioni giudiziarie nei territori a lui soggetti.
Nel 1021-22 Poppone capeggiò uno dei contingenti militari imperiali della spedizione in Italia meridionale e di lui rimase singolare memoria in alcuni documenti falsi dell’abbazia di Montecassino (Paschini, 1913, p. 17). Morto Enrico II, il legame con il nuovo sovrano tedesco, Corrado II il Salico (1024-39), non fu meno robusto.
Quanto accadde nel 1024 è uno degli episodi più noti e controversi del patriarcato di Poppone. Approfittando della momentanea cacciata del duca veneziano Ottone Orseolo e del fratello Orso, patriarca di Grado, Poppone si presentò davanti a Grado alla guida di una spedizione militare e, con il pretesto di porsi come protettore della sede lagunare, entrò in città e, dimentico delle promesse, ne avrebbe saccheggiato le chiese, asportato le reliquie, trucidato i monaci e violato le monache. I fatti sono riassunti da alcune lettere papali, di Giovanni XIX e, retrospettivamente, di Benedetto IX, sfavorevoli a Poppone, che fu costretto nel dicembre 1024 ad abbandonare Grado. La questione si ripropose qualche anno dopo, quando Corrado II scese in Italia per le incoronazioni regia (1026) e imperiale (1027). Poppone, forte del consenso imperiale e accompagnato dai suoi suffraganei, intervenne al Concilio romano dell’aprile 1027 munito delle rivendicazioni e degli avalli circa la preminenza aquileiese ottenuti nel Concilio di Mantova, esattamente due secoli prima. In assenza del patriarca gradese, Giovanni XIX ribaltò la decisione del dicembre 1024, sottomise a Poppone la Gradensis plebs e ne riassorbì il titolo patriarcale in quello di Aquileia. In verità né Poppone né i suoi successori riuscirono a sottomettere Grado alla loro autorità. Nonostante un secondo assalto di Poppone verso la fine della sua vita (1042), Grado poté sopravvivere come patriarcato autonomo sostenuto da Venezia.
In ogni caso, il periodo a cavallo tra gli anni Venti e Trenta fu assai favorevole per Poppone. Nel maggio del 1027, a Verona, egli ebbe dall’imperatore la conferma delle immunità giudiziarie della Chiesa di Aquileia, già concesse a partire da Carlo Magno, ma minacciate dalle rivendicazioni di Adalberone duca di Carinzia e marchese di Verona. Nel 1028, fra settembre e ottobre, ottenne da Corrado II il privilegio di battere moneta e un’importante donazione, che gli conferiva l’esercizio dei diritti imperiali in un’ampia fascia comprendente l’intera bassa pianura friulana, al di sotto della linea delle risorgive, dall’Isonzo fino al fiume Livenza, ledendo anche interessi veneziani.
Quest’ultima donazione forse bilanciava la materiale impossibilità di Poppone di soddisfare le pretese di supremazia su Grado e costituiva l’anticipazione di un altro privilegio esplicitamente ostile a Venezia, che concedeva analoghi diritti pubblici tra il Livenza e il Piave (1034). Tali documenti, emessi a ricompensa di servizi prestati al sovrano, erano altrettante tappe del continuo accrescersi, tra i secoli X e XI, delle prerogative signorili dei patriarchi (Cammarosano, 1988, p. 86). Il processo fu favorito dalla continuità istituzionale, dalla ricchezza patrimoniale e dal prestigio della Chiesa di Aquileia, che si giovavano ulteriormente della stretta simbiosi con i sovrani e con i membri dell’alta aristocrazia imperiale avvicendatisi sulla cattedra di s. Ermacora, usandone le risorse per stringere vigorose reti di solidarietà e di reciproco vantaggio.
Tutti questi elementi sono evidenti anche nel governo di Poppone. La sua continua mobilità al seguito degli imperatori tra il Friuli, la Germania, il Regno d’Italia e il resto della penisola non era certo un dato eccezionale, ma ne rivelava il volitivo dinamismo indispensabile per mantenere alleanze e relazioni di largo raggio.
Talora queste erano solennizzate anche mediante traslazioni di reliquie, come quella intercorsa nel 1028 con il suo consanguineo Meinwerk di Paderborn (Paschini, 1913, p. 22) o, più tardi, quelle testimoniate dalle cronache del monastero bavarese di Benediktbeuren, a riprova «della larga fama che si acquistò Poppo e della sua risoluta e coraggiosa operosità» (Paschini, 1914, p. 95).
Il legame con Corrado II si coglie anche da fonti dal notevole valore propagandistico. Sul denaro coniato dal patriarca, per esempio, di cui si conosce un unico esemplare (Leicht, 1905; Saccocci, 1997), era rappresentato anche il volto dell’imperatore e negli affreschi che ornano l’abside della basilica di Aquileia, restaurata e consacrata nel 1031, furono raffigurati, oltre al patriarca riconoscibile con il nimbo quadrato dei fondatori, i membri della famiglia imperiale (Tavano, 2007, p. 214). Proprio la basilica patriarcale, insieme con il maestoso campanile, è l’altra grande testimonianza dell’«operosità» popponiana e resta tra i monumenti più insigni del Medioevo friulano. L’impresa è descritta anche da un diploma datato 1031 che, se pur rimaneggiato sul finire del XII secolo, è ritenuto genuino nei suoi caratteri storici (Härtel, 1984).
Per assicurare il servizio liturgico della basilica, Poppone volle un Capitolo di cinquanta canonici, che dotò riccamente, con il fine ideologico di suscitare a nuova vita la città di Aquileia, secondo un programma verosimilmente sinergico con la campagna contro il patriarcato gradese. Analoga sensibilità Poppone mostrò pochi anni dopo (1036) per il monastero femminile di S. Maria di Aquileia, che alcuni inclinano a riconoscere come una sua fondazione. Insieme con il cenobio di Ossiach, beneficiato nel 1028, esso costituisce l’evidenza della cura per la vita claustrale, concepita quale presidio di preghiera e decoro della chiesa.
Questo vescovo, che accresceva e difendeva – anche con le armi – il patrimonio della sua sede, che promuoveva e rifondava la vita claustrale, che riedificava la propria cattedrale e vi collocava un collegio di canonici, che usava arte e cultura come strumenti di affermazione ideologica, corrisponde all’immagine del vescovo riformatore così come poteva delinearsi all’inizio dell’XI secolo, prima che il Papato e la Curia romana acquisissero la guida e la responsabilità della restaurazione e della riforma della Chiesa, con le conseguenze anche drammatiche evidenti a partire dalle fasi della lotta per le investiture. Sicuramente sono questi i principali motivi per i quali Poppone è ricordato come uno dei più importanti patriarchi aquileiesi.
Gli ultimi anni del governo di Poppone sono meno documentati, e forse è possibile ipotizzare un rallentamento (o uno stabilizzarsi) delle sue capacità d’azione. Nell’inverno del 1037 si verificò un attrito, ben presto superato, tra Corrado II e Poppone, perché quest’ultimo aveva consentito la fuga all’arcivescovo di Milano, che era stato arrestato dall’imperatore e affidato alla custodia del patriarca e del duca di Carinzia. I rapporti con Enrico III, succeduto al padre nel 1039, sembrano improntati a un maggior distacco. Poppone, subito accorso come di consueto alla corte del re, ottenne la conferma dei diritti pubblici della sua Chiesa e una cospicua donazione territoriale in Carniola (1040). Non è escluso che anche l’ultimo assalto contro Grado (1042) sia avvenuto con l’assenso regio, ma dopo la repentina morte di Poppone, il 28 settembre 1042, la situazione volse a favore di Grado, gratificata dai papi Benedetto IX (1044), che tracciò un fosco profilo di Poppone, e Leone IX (1053), che assicurò a Grado il titolo di Nova Aquileia.
Enrico III predilesse una politica di conciliazione con Venezia, a scapito delle pretese aquileiesi.
Poppone fu sepolto nella ‘sua’ basilica e ne rimane la tomba e, benché solo in copia più tarda, un’epigrafe funebre a sua volta riscritta e ampliata, forse nel XVI secolo. I testi epigrafici dal tono altamente celebrativo testimoniano la perdurante memoria dei fasti popponiani, che tuttavia non appaiono privi di consistenza, giacché gli storici hanno provato un quasi completo riscontro fattuale rispetto alle azioni citate come opera del patriarca (Cuscito, 1997).
Fonti e Bibl.: C. Czoernig, Das Land Görz und Gradisca (mit Einschluss von Aquileia), Wien 1873, p. 249; Monumenta historica ducatus Carinthiae, I, 811-1202, a cura di A. von Jaksch, Klagenfurt 1904, n. 186.
P.S. Leicht, Il denaro del patriarca P. d’Aquileia. Note al diploma di Corrado II il Salico al patriarca P. (11 settembre 1028), in Memorie storiche cividalesi, I (1905), pp. 50-54; P. Paschini, Vicende del Friuli durante il dominio della casa imperiale di Franconia, in Memorie storiche forogiuliesi, IX (1913), pp. 14-39; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens unter den sächsischen und salischen Kaisern mit den Listen der Bischöfe 915-1122, Leipzig-Berlin 1913 (rist. anast. Spoleto 1993), pp. 31 s.; P. Paschini, Il patriarca Poppo ed il suo assalto contro Grado nel 1024 in un racconto bavarese, in Memorie storiche forogiuliesi, X (1914), pp. 93-95; E. Klebel, Zur Geschichte der Patriarchen von Aquileia, in Carinthia I, CXLIII (1953), pp. 326-352; H. Schmidinger, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz-Köln 1954, ad ind.; H. Dopsch, Salzburg und Aquileia, in Il Friuli dagli Ottoni agli Hohenstaufen. Atti del Convegno internazionale di studio, 1984, a cura di G. Fornasir, Udine 1984, pp. 529-531, 542 s.; R. Härtel, Die Urkunden des Patriarchen Poppo von Aquileja für das Nonnenkloster S. Maria und für Kapitel zu Aquileja, in Römische Historische Mitteilungen, XXVI (1984), pp. 107-180; P. Cammarosano, L’alto medioevo: verso la formazione regionale, in Storia della società friulana. Il medioevo, a cura di P. Cammarosano, Tavagnacco 1988, pp. 81-87, 89, 99, 103, 112-114; H. Dopsch, Il patriarca P. di Aquileia (1019-1042). L’origine, la famiglia e la posizione di principe della Chiesa, in P., l’età d’oro del patriarcato d’Aquileia, Mostra, Aquileia, Museo civico del Patriarcato (1996-1997), Roma 1997, pp. 15-40; A. Saccocci, Moneta in Friuli al tempo di P., ibid., pp. 71-73; G. Cuscito, Le epigrafi del patriarca P., ibid., in partic. pp. 148-152; H. Dopsch, Origine e posizione sociale dei patriarchi di Aquileia nel tardo medioevo, in Aquileia e il suo patriarcato. Atti del Convegno internazionale di studio (21-23 ottobre 1999), a cura di S. Tavano - G. Bergamini - S. Cavazza, Udine 2000, pp. 290-292; G. Cuscito, Ottocari (degli) P., patriarca di Aquileia, in Nuovo Liruti, I, Il Medioevo, a cura di C. Scalon, Udine 2006, pp. 617-625; S. Tavano, La basilica di Aquileia dopo il 1906, in K. von Lanckoroński, La basilica di Aquileia, a cura di S. Tavano, Gorizia 2007 (trad. it. dell’edizione Wien 1906), p. 214.