popolo (populo)
La forma latineggiante ‛ populo ' è preferita dagli editori in alcuni luoghi del Convivio.
Designa solitamente, secondo la sua accezione più propria, l'insieme dei cittadini di uno stato: Cv II I 6 ne l'uscita del popolo d'Israel d'Egitto (cfr. anche V 1, IV XXVII 6 e If XXIII 117); III V 12 li Garamanti... a li quali venne Catone col popolo di Roma; IV IV 10 quello popolo santo nel quale l'alto sangue troiano era mischiato, cioè Roma (e cfr. IV 11, V 4 e 8); VI 18 si scrive in quello di Sapienza [Sap. 6, 23]: " Amate lo lume de la sapienza, voi tutti che siete dinanzi a' populi " (la citazione è ripetuta in XVI 1); If XV 61 quello ingrato popolo maligno / che discese di Fiesole ab antico, cioè i Fiorentini, cui si allude anche in X 83, Pg VI 129, 132 e 134, Pd XVI 152; Pd VIII 74 li popoli suggetti. E ancora: Cv IV XXVII 17 (due volte), 18 e 19, If XXIX 59, Pd XV 143, Fiore CXII 7.
Nel senso più specifico di " popolo minuto ", ovvero " partito popolare ", in Pd XVI 131 avvegna che con popol si rauni, detto di Giano della Bella, che, con gli Ordinamenti di Giustizia del 1293, aveva determinato un predominio delle Arti minori nei confronti dei Magnati.
Più ampio, invece, il valore semantico del termine in Pd XII 45 lo popol disviato, " la cristianità... errante fuori dalla retta via " (Mattalia), e XXVII 48 popol cristiano.
Il sostantivo è usato anche per designare i dannati del basso inferno (If XI 69 questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede), o i beati, il Paradiso stesso (Pd XXXI 39 popol giusto e sano, contrapposto alla scelleratissima Fiorenza), o ancora un gruppo, una schiera di anime (Pg III 67).