PONZIO, Francesco,
in religione Dionisio. – Nacque nel 1567 (o 1568) a Nicastro, in una famiglia dell’élite locale, da Iacopo Ponzio e da Lisabetta Monizza.
Battezzato con il nome di Francesco, entrò in convento in tenera età e assunse quello di Dionisio (o Dionigi) indossando il saio domenicano. Trascorsi almeno quattro mesi da novizio a Catanzaro, tornò a Nicastro, iniziando gli studi in classe con Tommaso Campanella (Amabile, 1882, II, p. 14, III, pp. 199, 226, 233, 344) con il quale sbocciò un’«amicizia profonda»: con «vaghi discorsi sulla rinnovazione imminente del secolo» e «speranze di una veniente età libera» (Firpo, 1974, p. 374). Campanella svelerà nel 1599 che erano «tridici anni ch’havea questi pensieri [di «ribellione»] nelo stomaco, et l’havea comunicato dal’hora con fra’ Dionisio Ponsio» (Amabile, 1882, III, p. 393).
A Nicastro Campanella maturò il distacco dall’aristotelismo appreso a scuola con «febbrili letture» e osservando la natura (Firpo, 1974, pp. 373-374). Trasferitosi a Cosenza, lesse la prima edizione del De rerum natura di Bernardino Telesio e ne fu folgorato. Pur a distanza, Tommaso coltivò i rapporti con Dionisio («tanto quando sono stati insieme come quando sono stati separati hanno per sempre continuato l’amicizia», Amabile, 1882, III, p. 226). A Cosenza legò con un ebreo «negromante et astrologo» (Abramo) con il quale pure Ponzio fu visto «parlare più volte», «et di più: fra’ Dionisio Pontio havea stretta amicitia col sodetto ebreo» (ibid., pp. 281-282).
Nel 1589 Dionisio andò a studiare a Napoli e lo zio Pietro Ponzio – leader dei domenicani calabresi – gli scrisse di non aver più «prattica con il Campanella, il quale se ne era fuggito di Calabria con un certo hebreo di mal nome» suscitando «gran scandalo» (ibid., p. 286). Ma Tommaso alla fine del 1589 giunse proprio a Napoli, e Dionisio poté rivederlo negli ambienti domenicani e condividerne i rapporti con nobili e scienziati. Al tempo i domenicani erano divisi in riformati – che reclamavano rigore – e conventuali, difensori delle tradizionali libertà, con i quali si schierarono Campanella e Ponzio. I riformati fecero revocare alcuni diritti agli studenti (filoconventuali). Così, Dionisio fu «eletto da tutti suoi compagni per procuratore» e nell’autunno 1591 giunse a Roma, per esporre le ragioni degli studenti al papa (ibid., p. 354). Nell’ottobre del 1592, poi, si trasferì a Bologna, come 'studente formale' nello Studio domenicano (Creytens, 1976, p. 56).
Nel frattempo, Campanella fu condannato per l’adesione alle «doctrinas Telesii» (V. Spampanato, Vita di Giordano Bruno, 1921, p. 572) e fuggì a Firenze, donde nell’ottobre 1592 passò a Bologna – sostando un paio di mesi nello stesso convento di Ponzio – e di qui a Padova.
Dionisio nel 1593-94 forse tornò a Napoli, completandovi gli studi, e poi in Calabria. Ma nel 1595-96 fu di nuovo a Roma, con il vecchio compagno Vincenzo Rodinò, che nel giugno 1596 rivide Campanella (Amabile, 1882, III, p. 217), estradato a Roma dal 1594 per esser processato (e condannato) dal S. Uffizio. Anche allora, quindi, Tommaso poté riabbracciare quel che chiamava il «mio Dionigi» (T. Campanella, Le poesie, a cura di F. Giancotti, Torino 1998, p. 521). Rientrato a Nicastro, Ponzio fu eletto priore e Campanella lo raggiunse nell’estate del 1598. I due furono coinvolti in uno scontro giurisdizionale, e Dionisio partì per affrontare la questione con il papa.
Campanella invece andò nella sua Stilo e, dal febbraio 1599, profetò imminenti «rivoluzioni et mutationi di Stati, et particolarmente in Calavria e nel Regno», suscitando – disse – entusiastiche reazioni: «Conobbi con ogn’un che parlavo che tutti erano disposti a mutatione, et per strada ogni villano sentiva lamentarsi. Per questo io più andava credendo questo havere da essere» (Amabile, 1882, III, pp. 30, 133). Dalle profezie si passò presto all’azione.
Tornato in Calabria, Ponzio raggiunse Campanella che svelerà: «Con fra Dionigio Pontio e con fra Giovan Battista de Pizzone spesso ne parlavamo, ed essi mostravano haver a caro questo». Tra maggio e giugno impresse un’accelerata l’incontro con il nobile e bandito Maurizio de’ Rinaldis. Campanella suggerì di «pigliare l’armi» e Maurizio garantì 200 banditi, accordandosi poi con i turchi per l’intervento di un’armata. Dionisio, allora, avviò un’intensa propaganda, «seducendo la gente a pigliar l’arme contro il re», per «far la provintia di Calavria republica e ponerla in libertà». L’idea era di abbattere il governo nel capoluogo provinciale: Ponzio «cominciò in Catanzaro a predicare rebellione secondo la prophetia mia», confesserà Campanella. Il 10 settembre, in strada, si sarebbe preso a «gridare […] viva la libertà et mora il re» e sarebbe entrata in città una truppa di banditi, per uccidere il governatore e altri ufficiali. Al contempo, con l’appoggio delle galere turche, a Stilo e altrove si sarebbe proclamata la Repubblica, nominato Campanella «legislatore» e sancita la «libertà naturale» (ibid., pp. 28-33, 135, 129-143, 151-160, 241, 249).
Una libertà con tinte ereticali e libertine: Ponzio (con Campanella) sviliva i «sacramenti» a «ragione di Stato». Diceva che Gesù «non è niente et sono tutte coglionerie»; «che Christo non fusse vero Iddio et che era un pezzente; et che se bene Christo morì non resuscitò, ma il corpo suo fu robato et fece come altri che davano lege alli popoli, che non lasciavano trovar gli corpi loro». Dionisio descriveva la madonna «nigra […] sed formosa», «negando la sua verginità». Aggiungeva «che non fusse paradiso né inferno», «et che morendo noi non c’è più niente, perché l’anima era un spirito, o sia cosa fugace, et che restamo come pietra». Insomma: «Non ci era altro Dio che la natura». Il tutto era condito da blasfemie e fanfaronate: Ponzio raccontava che Campanella «non potea essere ferito, et che potea resuscitar morti et far altre cose stupende» (ibid., pp. 204-205, 238-241, 248, 256).
La propaganda portò alla scoperta del complotto, denunciato il 10 agosto, e a molti arresti. Dopo la cattura Campanella ne confessò l’esistenza, ma sminuendo il proprio ruolo e scaricando le maggiori responsabilità su de’ Rinaldis e, soprattutto, Ponzio (ancora contumaci): «Il resto di questo negotio presente toca a fra’ Dionigi dire como è stato, il quale l’ha trattato con fatti, ch’io non altro che con parole» (ibid., p. 32). Il 28 settembre Ponzio fu preso a Monopoli (ibid., p. 287) e, tradotto in Calabria, fu poi imbarcato con gli altri prigionieri per esser condotto (e processato) a Napoli. Torturato più volte, Dionisio negò ogni cosa con una forza che Campanella celebrò in tre sonetti a lui dedicati (Le poesie, cit., pp. 519-527).
Nell’ottobre 1602 Ponzio evase (Amabile, 1887, I, p. 2): si rifugiò a Costantinopoli convertendosi all’islam. L’anno dopo si seppe che predicava «in italiano» a dei «giovini rinegati, facendo pessimi offitii con la sua lingua». Sosteneva di «conoscer forse 300 in Calavria – et fra questi alcuni di conto – li quali tengono la setta maumetana». Diceva «che presto uscirà anco di prigione […] Campanella», annunziandone l’arrivo a Costantinopoli: «Se riuscirà […], risulterà a grandissimo preiudicio della religione christiana» (Amabile, 1882, III, pp. 99-100). In effetti, era in atto un tentativo di far evadere il filosofo, ma fu sventato, costandogli un’ancor più dura prigionia.
Nel marzo 1604 Ponzio chiese al S. Uffizio di consegnarsi a Roma, senza passare dal Regno di Napoli: il 15 luglio ebbe il placet (Spruit, 2008, p. 93) ma il 2 settembre si seppe che Dionisio «es muerto» (Amabile, 1887, II, p. 6). Anni dopo Campanella lo disse «occisum» (Astrologicorum libri, Francofurti 1630, p. 191), e Giulio Cesare Capaccio – non si sa su quali basi – precisò che «questionando con un giannizzero fu ucciso» (Il forastiero, Napoli 1634, p. 505), narrando la «ribellione» di «Tomaso Campanella e Dionisio Pontio».
Fonti e Bibl.: L. Amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, I-III, Napoli 1882, passim; Id., Fra Tommaso Campanella ne’ castelli di Napoli in Roma ed in Parigi, I-II, Napoli 1887, passim; L. Firpo, Campanella, Tommaso, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, Roma 1974, pp. 372-401; R. Creytens, Il registro dei maestri degli studenti dello Studio domenicano di Bologna, in Archivum fratrum praedicatorum, XLVI (1976), pp. 25-114; G. Ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, Roma-Bari 2002; L. Spruit, Tommaso Campanella e l’Inquisizione. Note sulla nuova documentazione dell’Archivio del Sant’Uffizio, in Laboratorio Campanella, a cura di G. Ernst - C. Fiorani, Roma 2008, pp. 85-104.