PONZONI, (Ponzone) Ponzino
PONZONI, (Ponzone) Ponzino. – Nacque probabilmente a Cremona nell’ultimo quarto del XIII secolo, figlio di Federico Ponzoni e Ortensia Zaneboni.
Membri a pieno titolo dell’élite cittadina almeno dal tardo XII secolo, verso la fine del Duecento i Ponzoni vantavano saldi legami con le istituzioni ecclesiastiche cremonesi e detenevano un vasto patrimonio fondiario, concentrato attorno a Casanova del Morbasco e Piadena.
Presente a Milano all’incoronazione di Enrico VII a re d’Italia il 6 gennaio del 1311, Ponzino fu in quell’occasione creato cavaliere dal sovrano, unico esponente assieme a Giberto da Correggio di una famiglia gravitante nell’orbita della pars Ecclesie. Nelle settimane seguenti, in effetti, la tradizione politica del casato, corroborata da una doppia alleanza matrimoniale con i Cavalcabò, orientò l’azione politica di Ponzino in senso radicalmente anti-imperiale: egli figura infatti, assieme agli agnati Trinchino e Pietro, fra i cittadini cremonesi colpiti da bando il 10 maggio 1311 in seguito alla fallita ribellione di Cremona ad Enrico, condotta dall’ala oltranzista della pars Ecclesie cittadina sotto la guida di Guglielmo Cavalcabò. Il 6 dicembre dello stesso anno, Ponzino, assieme agli agnati Maxenerio, Baldassarre e Ghirone, partecipò a Casalmaggiore al consiglio dei fuoriusciti cremonesi, che nominarono Pino Vernazza e Albertino Schizzi procuratori della pars Ecclesie di Cremona per formalizzare l’adesione della fazione alla lega guelfa promossa da Firenze e Bologna contro l’imperatore.
Gli esuli (detti anche capelleti) riuscirono a rientrare a Cremona espellendo la fazione filo-imperiale (barbarasi o troncaciuffi) nel gennaio del 1312, ma dopo la morte in battaglia di Guglielmo Cavalcabò nel marzo successivo, crebbero all’interno della pars Ecclesie cremonese le tensioni che già si erano manifestate tra lo stesso Guglielmo e Ponzino. Il contrasto fra quest’ultimo e gli eredi di Guglielmo favorì l’assunzione da parte di Giberto da Correggio della signoria su Cremona: l’entrata nella città nell’edificio politico padano controllato dal signore di Parma, tuttavia, non sopì il conflitto per la leadership cittadina tra i due casati, ulteriormente esacerbato dal fallito tentativo di Ponzino di uccidere Giacomo e Ludovico Cavalcabò sulla piazza del Comune.
Nel turbolento quadro di guerra permanente che ormai caratterizzava l’Italia padana, Ponzino, «terribilis miles» (Bonincontri Morigiae Chronicon Modoetiense, 1728, col. 1108), fu protagonista nel bene e nel male di due episodi di rilievo alla testa dell’esercito cremonese: sconfitto a Ponte San Pietro da Lodrisio Visconti mentre tentava di attaccare Bergamo, si rifece nel maggio del 1313 espugnando Soncino con l’aiuto di Passarino della Torre. Nel frattempo, in febbraio, il capitolo della cattedrale aveva eletto vescovo Egidiolo Bonseri, che ottenne il sostegno dei canonici legati alla parte imperiale ma anche di alcuni esponenti “dissidenti” della pars Ecclesie, in particolare Maxinerio Ponzoni ed Ottone Amati, che votarono contro Egidio Madalberti, candidato dei Cavalcabò. La contesa che ne sortì fu risolta a favore del Madalberti da Giovanni XXII cinque anni dopo, ma la convergenza degli Amati e dei Ponzoni si rivelò tutt’altro che episodica, tanto più che l’assunzione della signoria su Cremona da parte di Roberto d’Angiò nel marzo 1313 si evolvette nel dominio esercitato di fatto da Giacomo Cavalcabò.
Nel corso del 1314 Ponzino esercitò l’ufficio di podestà a Padova, dove condusse la resistenza della città euganea a Cangrande della Scala, distinguendosi per le sue doti di comandante militare e leader politico di spicco nel coordinamento delle forze che nell’Italia settentrionale si opponevano ai progetti egemonici scaligeri e viscontei. Le ambizioni di Ponzino, tuttavia, restavano innanzi tutto ancorate a Cremona: rientratovi, ruppe gli indugi nella primavera del 1316, quando abbandonò la città assieme a Giacomino Amati e a numerosi seguaci, che si distribuirono nel contado occupando Soncino, Pizzighettone, Castelleone e Genivolta. La scissione all’interno della vecchia pars Ecclesie cremonese era consumata: i partigiani dei Cavalcabò rimasti in città continuarono a chiamarsi capelleti, mentre i fuoriusciti guidati da Ponzino assunsero il nome di maltraversi, restando ben distinti dai membri della fazione filo-imperiale, detti barbarasi. Questa configurazione fazionaria tripartita, fissatasi nei decenni successivi, avrebbe segnato gli assetti politici e istituzionali di Cremona fino alla fine del secolo XV.
La rottura con Ponzino indebolì la posizione di Giacomo Cavalcabò, che dovette a sua volta abbandonare la città nel giugno del 1316, mentre Giberto da Correggio ne assumeva per la seconda volta la signoria. La seconda esperienza signorile correggesca, tuttavia, durò poche settimane: nel mese di luglio Giberto fu cacciato da Parma, Giacomo Cavalcabò rientrò a Cremona e fu stipulata una pace che stabiliva il rientro di tutti i fuoriusciti e un condominio istituzionale tra le fazioni, che concordarono la spartizione delle magistrature cittadine. L’equilibrio così faticosamente stabilito durò poco, complicato dal riemergere dell’elemento popolare attorno alla magistratura dell’abbas populi, assunta da Egidio Puerari. Il conflitto esplose nuovamente nel maggio del 1317, quando Giacomo Cavalcabò, uscito vittorioso da uno scontro in cui rimase ucciso lo stesso Puerari, riuscì nuovamente ad espellere Ponzino e i suoi seguaci, che si fortificarono a Soncino. La comune opposizione all’egemonia dei Cavalcabò produsse la stabile saldatura degli interessi ghibellini e maltraversi: fallito un tentativo di mediazione da parte del pontefice Giovanni XXII, Ponzino incassò il sostegno dei Visconti, degli Scaligeri e dei Bonacolsi e, dopo un primo tentativo di assedio, rientrò vittorioso a Cremona nell’aprile del 1318 grazie all’apporto decisivo delle truppe viscontee. Proclamato «conservator iustitie et populi» (Codex Diplomaticus Cremonae, 1896, II, p. 45), Ponzino esercitò la signoria sotto la pesante tutela militare dei propri alleati, e dovette accettare un podestà milanese imposto da Matteo Visconti: nel novembre del 1319 fu nuovamente sconfitto dall’esercito della Lega guelfa, coordinato da Firenze e da Bologna e capitanato da Giberto da Correggio.
Il ritorno di Cremona sotto l’alta sovranità di Roberto d’Angiò non impedì a Giacomo Cavalcabò di esercitare di fatto la signoria sulla città fino a quando rimase ucciso in uno scontro presso Bardi, sull’Appennino piacentino, nell’autunno del 1321. Il 17 gennaio 1322 Cremona si arrese all’esercito di Galeazzo Visconti, che ne prese possesso saccheggiandola, infliggendo bandi e confische alla parte sconfitta e restituendo i beni sequestrati ai suoi sostenitori di parte imperiale e maltraversa.
Condannato dal tribunale dell’Inquisizione come fautore dei Visconti nel 1323, Ponzino restò una figura di riferimento imprescindibile nell’Italia padana durante gli anni della dipendenza diretta di Cremona dall’Impero, inaugurata da Federico d’Asburgo nel 1322 e proseguita sotto Ludovico di Baviera, che ancora il 26 gennaio 1329 gli scrisse, lodandone la fedeltà e la devozione, per esortarlo a collaborare con Azzone e Giovanni Visconti al fine di mantenere la città «sub imperii nomine et auctoritate» (Codex Diplomaticus Cremonae, 1896, II, pp. 50 s.). Tra la primavera e l’estate di quell’anno Ludovico risiedette a Pavia e a Cremona, alla quale il 21 giugno confermò tutti i privilegi concessi dai propri predecessori, cassando le disposizioni punitive di Enrico VII e reintegrando la città nel pacifico possesso dell’episcopato e del distretto. Cremona rimase fedele al Bàvaro anche dopo il suo ritorno in Germania, e nel marzo del 1330 una tregua stipulata dal Comune con Gregorio Sommi, capo dei fuoriusciti guelfi, testimonia ancora una volta dell’egemonia esercitata in città da Ponzino, che restò di fatto in sella anche dopo la dedizione a Giovanni di Lussemburgo nell’inverno del 1331.
La fragile dominazione del re di Boemia, i cui vicari agirono formalmente in accordo con gli organi cittadini cremonesi, dovette forzatamente appoggiarsi su Ponzino, tanto che, al momento di ripassare definitivamente le Alpi nel 1333, Giovanni «rex civitatem Cremone reliquid [sic] … domino Poncino de Ponzonibus gubernandam et custodiendam» (Alberti de Bezanis, Cronica, 1908, p. 98). Di fatto, la partenza del re di Boemia lasciava campo libero alle forze di Azzone Visconti, cui Ponzino aprì le porte di Cremona il 18 luglio 1334.
La pacificazione imposta dal signore di Milano questa volta ebbe successo, e Ponzino abbandonò definitivamente i progetti di dominio personale. Il suo prestigio politico era ancora sufficiente per indurre nel 1335 i Fiorentini a nominarlo podestà: Azzone stesso giustificò la mancata accettazione dell’incarico da parte di Ponzino, «cum permultis negotiis peragendis eius indigeatur persona» (Codex Diplomaticus Cremonae, 1896, II, p. 16). La formula impiegata dal Visconti lascia intravedere una qualche diffidenza nei confronti di Ponzino, le cui immunità furono tuttavia confermate nel 1338 da Azzone, che gli concedette inoltre di ricostruire e fortificare il castello de Brachis nel distretto cremonese.
Significativamente, i riferimenti a Ponzino nelle fonti cronachistiche dopo l’assunzione della signoria su Cremona da parte di Azzone scompaiono. Elencato indistintamente fra i membri del Consiglio generale nel 1341 (ASCr, Archivio Segreto, Pergamene del Comune, 325, 1341 agosto 7, Cremona), nel 1347 ne faceva ancora parte. In questa occasione tuttavia il suo nome è registrato in testa all’elenco con il titolo di nobilis miles, in una posizione di preminenza rispetto al resto dei cives condivisa coi soli Donnino Pallavicino e Guglielmo Cavalcabò (Ibid., 2141, 1347 marzo 14, Cremona): a testimonianza della definitiva istituzionalizzazione della divisione tra guelfi, ghibellini e maltraversi che a Cremona costituisce il lascito più duraturo dell’attività politica di Ponzino.
L’ultima notizia che lo riguarda è la conferma da parte dell’arcivescovo Giovanni Visconti dei privilegi sul castello de Brachis, il 17 luglio 1348: è lecito quindi presumere che Ponzino possa annoverarsi tra le vittime della peste, anche considerando l’età avanzata. La sua eredità patrimoniale e di capoparte fu raccolta dal figlio Giovanni.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cremona (ASCr), Archivio Segreto, Pergamene del Comune, 325 (1341 agosto 7, Cremona); ivi, 2141 (1347 marzo 14, Cremona); G. Gadio, Cronaca cremonese (Biblioteca Palatina di Parma, Parm. 1498), c. 22; L. Cavitelli, Annales, quibus res ubique gestas memorabiles a patriae suae origine usque ad annum 1583, Cremonae 1588, cc. 106r.-129r; G. Bresciani, Ponzino Ponzoni Signor di Cremona, Cremona 1649 (Cremona, Biblioteca Statale Ala Ponzone, AA I.89); Nicolai episcopi Botrontinensis Relatio de itinere italico Henrici VII imperatoris, in RIS, IX, a cura di L.A. Muratori, Milano 1726, col. 895; Albertini Mussati, De gestis Heinrici VII Caesaris, ibid., X, a cura di L.A. Muratori, Milano 1727, col. 520; Id., De gestis italicorum post mortem Henrici VII caesaris, ibid., X, a cura di L.A. Muratori, Milano 1727, passim; Bonincontri Morigiae Chronicon Modoetiense, ibid., XII, a cura di L.A. Muratori, Milano 1728, col. 1108; Chronicon placentinum ab anno MCCLXXXIX ad annum MCCCXXXII, in Chronica tria placentina a Joanne Codagnello, ab anonymo et a Guerino conscripta, Parma 1859, pp. 351-423; Codex Diplomaticus Cremonae 715-1334, a cura di L. Astegiano, II, Torino 1896, ad ind.; Repertorio diplomatico visconteo, in Archivio storico lombardo, 1899-1906 (edito in seguito in un'unica raccolta, I-II, Milano 1911-1918, Supplemento e Indice, ibid., 1937), ad ind.; Chronicon Parmense, in RIS2, IX/9, a cura di G. Bonazzi, Città di Castello 1902, ad ind.; Alberti de Bezanis, Cronica Pontificum et imperatorum, a cura di O. Holder-Egger, in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum in usum Scholarum, III, Hannover 1908, pp. 97 s.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, I, Torino 1978, pp. 643 s., 650 s., 662 s., 734.
F. Cognasso, Note e documenti sulla formazione dello stato visconteo, in Bollettino della Società pavese di storia patria, XXIII (1923), pp. 23-169 (in partic. p. 47); A. Cavalcabò, Le ultime lotte del comune di Cremona per l’autonomia (note di storia lombarda dal 1310 al 1322), Cremona 1937; U. Gualazzini, Il “populus” di Cremona e l’autonomia del Comune. Ricerche di storia del diritto pubblico medievale italiano con appendice di testi statutari, Bologna 1940, pp. 257-270, 276 s.; C. Soliani, Nelle terre dei Pallavicino, I, Busseto 1989, pp. 347 s.; F. Menant, La prima età comunale (1097-1183), in Storia di Cremona, IV, Dall’alto medioevo all’età comunale, a cura di G. Andenna, Azzano San Paolo (BG) 2004, pp. 261-265; Id., Un lungo Duecento (1183-1311): il comune fra maturità istituzionale e lotte di parte, ibid., pp. 325, 340; M. Gentile, Dal comune cittadino allo stato regionale: la vicenda politica (1311-1402), in Storia di Cremona, V, Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo), a cura di G. Andenna, Azzano San Paolo (BG) 2007, pp. 260-301; Id., From Commune to Regional State. Political Experiments in 14th Century Cremona, in Communes and Despots in Late Medieval and Renaissance Italy, a cura di J. E. Law - B. Paton, Farnham 2010, pp. 91-103.