Vedi PONTECAGNANO dell'anno: 1973 - 1996
PONTECAGNANO
Cittadina moderna sita 10 km a S di Salerno, tra il fiume Picentino e il torrente Asa, a 3 km dal Tirreno.
Non è noto il nome del centro antico al quale si riferiscono le ingenti necropoli che si vanno esplorando soprattutto dal 1954. Per il periodo preromano, unica testimonianza utile è quella di Plinio (Nat. hist., iii, 70): A Surrentino ad Silarum amnem ager Picentinus fuit Tuscorum. Ipotetica è l'identificazione, suggerita da J. Bérard, della piana con la Aminaia, dal nome di un celebre vino e di una popolazione, sulla base di correzioni ad Esichio (s. v.) e Macrobio (iii, 20, 7). Rimane solo il dubbio che già Ecateo chiamasse i Picentini con un nome non molto diverso da quello che si suole riferire loro dopo il 268 a. C.: egli chiamava, infatti Peuketiantes il popolo col quale confinavano a N gli Enotri, e almeno una delle tradizioni antiche, seguita da Erodoto e probabilmente dallo stesso Ecateo (Herod., 1, 162) poneva il limite N dell'Enotria al golfo di Poseidonia (Strabo, v, 1, 1).
Nel 268 a. C., nella piana venne deportata una parte dei Picentini, che ebbero la loro metropoli in Picentia (Fasti ad An., 268; Strabo, v, 4, 13, C 251); in un primo momento fedele a Roma (Sil. Ital., Punica, viii, vv. 577-9) questa, nel corso della seconda guerra punica passò ad Annibale (Strabo, loc. cit.); a seguito di ciò i suoi abitanti furono dispersi in villaggi ed esclusi dall'esercito. Nel 90 a. C., dopo la conquista di Salernum ad opera di Papio Mutilo, i Picentini si uniscono alla causa italica (Flor., ii, 6, 11); Picentia è di frequente menzionata nelle fonti (Pomp. Mela, ii, 69; Plin., Nat. hist., iii, 70; Steph. Byz., ed. E. Meinecke, 523, 9-10; Tabula Peut.; Anonym. Rav., iv, 34).
L'abitato antico al quale si riferiscono almeno le necropoli orientali, è stato localizzato nel 1967 in un'area attigua alla città moderna, a monte della strada statale n. 18 per le Calabrie: al di sotto di modesti avanzi di abitazioni del I-II sec. d. C. si è rinvenuto uno strato di abitazioni del IV sec. a. C. Gli strati più antichi non si sono potuti attingere, si è tuttavia rinvenuto un pozzo riempito con frammenti ceramici del VII sec. a. C. Avanzi di quella che sembrava la stipe votiva di un santuario databile almeno al IV sec. a. C. si raccolsero non lontano dal Picentino, durante la costruzione dell'autostrada Napoli-Reggio Calabria.
Avanzi di pavimenti a mosaico si scorsero nel 1880 a qualche centinaio di metri dal mare in località Magazzeno, lì dove potrebbe situarsi il porto antico. In prossimità si scopersero i resti di una imponente necropoli d'età imperiale, che restituì tra l'altro l'iscrizione di un classarius della flotta misenate (C.I.L., x, 8119).
Le testimonianze più antiche della zona risalgono alla fine del periodo eneolitico; tre tombe con deposizione di rannicchiati e due depositi hanno restituito alcuni vasi della cultura di Gioia del Colle-Andria, rivelando la presenza di stretti contatti con la Puglia, ora confermati dai trovamenti di Laterza. Questo aspetto culturale è con ogni probabilità posteriore alla cultura del Gaudo, documentata a Paestum.
La situazione appare sostanzialmente mutata agli inizî dell'Età del Ferro, quando gli antichi rapporti trasversali, che congiungevano il versante tirrenico a quello adriatico, appaiono limitati al retroterra, mentre la zona costiera è interessata da una corrente culturale che procede in senso longitudinale, e conduce con sé il rito dell'incinerazione, l'ossuario biconico col suo coperchio ad elmo, e il rasoio lunato. Si notano in questo periodo sostanziali affinità con la cultura villanoviana dell'Etruria marittima, i cui elementi si compenetrano con quelli della cultura a fossa documentata, ad esempio, a Cuma. Le tombe sono ad incinerazione, dei tipi a pozzo o a ricettacolo, o ad inumazione, del tipo a fossa con copertura di ciottoli. Nella fase I a il corredo si compone di un ossuario biconico, del tipo canonico o anche con ansa verticale, un coperchio ad elmo apicato o a scodellone, ed alcuni vasi di accompagno: la capeduncola del tipo frequente anche a Cuma, la brocca e la scodella.
Le fibule, ad arco serpeggiante con grossa molla, o ad arco ingrossato, hanno il disco intagliato. Significativa è la tipologia dei rasoi: accanto al tipo lunato comune nel Villanoviano, ma presente del resto anche a Cuma e a Torre del Mordillo, si incontra il tipo a paletta con varianti che ricordano esemplari siciliani più antichi, ed il tipo largo rettangolare più usuale nella cultura a fossa. Al periodo I b sembra di poter ascrivere l'apparizione dell'anfora biconica, e delle fibule ad arco rivestito o a ponte, con disco. Unici oggetti di importazione sono alcuni vasi "piumati" della classe comune in Sicilia dalla fase di Cassibile, ma finora non documentata fuori dall'isola. Durante tutta la fase I non si avvertono sostanziali mutamenti; piuttosto, di fronte all'arricchimento del patrimonio formale si nota, per contrapposto un graduale impoverimento del repertorio decorativo; gli ossuarî e gli elmi, che nella fase I a recano quasi costantemente una ricca decorazione incisa, nella fase I b sono generalmente privi di decorazione. Non molto frequenti sono le armi, sempre di bronzo: la spada a lingua di presa lunata, che in un caso reca incisa una muta di cani che insegue un cervo, le cuspidi di lancia e di giavellotto, gli schinieri del tipo di Torre Galli. Nel corso della fase II si assiste invece alla introduzione di alcune forme nuove come l'anfora globosa con basso colletto e la capeduncola globosa, contrassegnate da una decorazione per lo più a cuppelle o a rotella che spesso appare sovraccarica: le forme e la decorazione trovano riscontro nell'Etruria meridionale e soprattutto nel territorio falisco. Appaiono le fibule a sanguisuga piena con staffa simmetrica o breve, e le fibule ad arco ingrossato e staffa simmetrica o breve. La ceramica d'importazione è assente, s'incontrano però imitazioni di coppe medio e tardo geometriche (cosiddetti skỳphoi cumani), qualche raro vaso "italo-geometrico" e qualche rara olla con decorazione a tenda, nel tipico stile che da Taranto giunge fino al Vallo di Diano. Le tombe sono ora quasi esclusivamente a fossa.
Nel periodo orientalizzante le tombe sono a fossa con copertura di ciottoli, o a cassa di travertino. I vasi d'impasto, di forme profondamente diverse da quelle in uso nella prima Età del Ferro, e la ceramica italo-geometrica ormai frequente, mostrano sostanziali analogie con quanto si rinviene nello stesso periodo in Etruria meridionale, nel Lazio e nell'agro falisco. La ceramica greca d'importazione e d'imitazione è presente dall'ultimo venticinquennio dell'VIII sec., anche se, fino alle soglie del sec. VII, essa si limita sostanzialmente alle coppe del tipo di Thapsos senza pannello ed a qualche oinochòe o kotỳle di tipo primo protocorinzio-antico. Essa diviene molto più frequente dal primo venticinquennio del VII sec.: accanto ai vasi protocorinzî d'importazione o d'imitazione, e agli arỳballoi di tipo rodio-cretese, è largamente rappresentata una classe imitante la Streifenware di Rodi, Samo e della Ionia meridionale. Frequenti, soprattutto nelle tombe di bambino, sono gli scarabei di faÿence. Alla prima metà del VII sec. si riferiscono due tombe simili per struttura alla Tomba Bernardini, con ricco corredo di vasi d'argento e di bronzo, tra cui spicca un'oinochòe d'argento del tipo delle tombe principesche di Palestrina.
Il bucchero sottile è raro a P., mentre è frequente quello di transizione e soprattutto il bucchero pesante: non mancano vasi di pregio, come oinochòai con protomi umane e figure di leoni sul labbro, o anche calici con sostegni figurati. Rappresentativo per l'orientalizzante recente è il corredo della Tomba 590, con un cratere ed una oinochòe figurati del corinzio medio, alcuni calici con sostegni figurati di bucchero, kotỳlai, arỳballoi e pissidi corinzie, ecc.
Dalla metà del VI sec. la necropoli presenta corredi poveri: non manca tuttavia la ceramica attica figurata, che appare nel secondo venticinquennio del secolo.
La zona ritroverà la sua floridezza nel IV sec., come mostrano le tombe ricche di vasi figurati, soprattutto di fabbrica pestana, tra cui sono numerose le opere delle officine di Assteas e di Pithon; va ricordata la scoperta di una tomba a cassa dipinta del tipo frequente a Paestum; la Città ora gravita verso S, verso la piana del Sele e Velia, come mostrano le monete di questa città che si rinvengono nelle tombe.
Delle 1500 tombe scavate dal 1962 a oggi, solo quattro o cinque sono di età romana: di queste, tre si rinvennero nel saggio in area urbana.
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