Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con l’insediamento della dinastia aragonese Napoli diventa sede di uno dei principali centri dell’umanesimo italiano. A corte sono ospitati prestigiosi umanisti quali Lorenzo Valla e Bartolomeo Facio; la rinascita delle lettere è favorita dall’opera del Panormita e soprattutto di Giovanni Pontano, tra i massimi scrittori latini dell’epoca. Da lui prende il nome l’Accademia Pontaniana, vivace polo culturale della città. Contemporaneamente fiorisce anche la poesia in volgare, sul modello petrarchistico.
Giovanni Pontano
Prima nenia: per far venire il sonno
De amori coniugali II
Naenia prima ad somnium provocandum.
Somne, veni; tibi Luciolus blanditur ocellis;
somne, veni, venias, blandule somne, veni.
Luciolus tibi dulce canit, somne, optime somne;
somne, veni, venias, blandule somne, veni.
Luciolus vocat in thalamos te, blandule somne,
somnule dulcicule, blandule somnicule.
Ad cunas te Luciolus vocat; huc, age, somne,
somne, veni ad cunas, somne, age, somne, veni.
Accubitum te Luciolus vocat, eia age, somne,
eia age, somne, veni, noctis amice, veni.
Luciolus te ad pulvinum vocat, instat ocellis;
somne, veni, venias, eia age, somne, veni.
Luciolus te in complexum vocat, innuit ipse,
innuit; en venias, en modo, somne, veni.
Venisti, bone somne, boni pater alme soporis,
qui curas hominum corporaque aegra levas.
Prima nenia: per far venire il sonno
Sonno, vieni, ché t’invita Lucietto con gli occhiuzzi,
vieni, sonno, vieni, vieni; sonnellino bello, vieni.
Dolcemente Lucietto per te canta, ottimo sonno;
vieni, sonno, vieni, vieni; sonnellino bello, vieni.
Lucietto nel suo letto già ti chiama, sonno bello,
sonnerello zuccherino, tenerello sonnellino.
Nella culla sua ti chiama Lucietto; presto, sonno,
sonno, vieni nella culla; sonno, presto, sonno, vieni.
Lucietto a far la nanna chiama te; su, presto, sonno,
presto, sonno, vieni, vieni; vieni amico della notte.
Te Lucietto al suo cuscino chiama chiama con gli occhiuzzi;
vieni, sonno, vieni, vieni; vieni, dunque, sonno, vieni.
Vuole stringerti Lucietto tra le braccia, ti fa cenno,
ti fa cenno, dunque vieni; ecco, adesso, sonno, vieni.
Sei venuto, dolce sonno, padre buono del riposo,
che gli umani affanni plachi, che ristori i corpi stanchi!
in Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. Arnaldi, L. Gualdo Rosa, L. Monti Sabia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964
Liliana Monti Sabia
Su Giovanni Pontano
Un canzoniere per una moglie
Ma l’originalità assoluta, svincolata da ogni rapporto con gli auctores, il Pontano la raggiunge, inventando un nuovo filone poetico (che avrà un suo influsso sulla poesia successiva) nelle Naeniae per il suo Luciolus, quei dodici carmi che, come dicevo, costituiscono un miracoloso unicum nella poesia latina di tutti i tempi per la rappresentazione realistica, e insieme tenera e gentile, del mondo che ruota intorno alla culla del piccolo Lucio e per la duttile armonia e la felicissima espressività del latino che sa farsi linguaggio infantile o trasformarsi, a volte, in puro suono, per indurre il sonno con il suo ritmo cullante da ninna-nanna. Essi sono la gemma più preziosa di questo originale canzoniere per una moglie, che tanta parte esprime della vita del Pontano e in cui così variamente e profondamente confluiscono la sua cultura umanistica e il suo amore per i classici e che, per quanto di vivo, poetico e personale c’è in esso, ben a ragione si può collegare all’antica elegia latina, quasi suo ultimo frutto, scaturito a distanza di secoli e secoli dalla mente e dal cuore di un umanista che forse giustamente si potrebbe definire “l’ultimo dei classici”.
in Atti del Convegno internazionale “Poesia umanistica latina in distici elegiaci”, Assisi, 1999
L’umanesimo a Napoli si sviluppa grazie all’impulso dato alla cultura da Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo, il principe spagnolo che riesce a ottenere il trono di Napoli nel 1443 dopo la vittoria sugli Angioini. Tale successo, ricordato nell’arco trionfale di Castel Nuovo a Napoli, dà inizio alla dinastia aragonese nel Regno di Sicilia, che dura fino alla temporanea occupazione di Carlo VIII nel 1495 e alla successiva conquista francese nel 1501. Il successore di Alfonso, Ferrante I, fatica ad affermarsi quale erede perché figlio illegittimo, ma contribuisce anch’egli al progresso della cultura soprattutto grazie all’istituzione, presso lo Studio da lui riaperto nel 1465, di ben quattro cattedre umanistiche tra cui una di greco, assegnata a Costantino Lascaris. Vi insegnano lettori come Giuniano Maio, autore del De priscorum proprietate verborum, il primo dizionario di latino stampato in Italia nel 1475, e Francesco Puppi, discepolo di Poliziano. Dei figli di Ferrante un ruolo chiave nello sviluppo della letteratura in volgare gioca Federico, ultimo della dinastia: è lui il destinatario della famosa Raccolta Aragonese (1477), la silloge di poesia toscana fatta approntare da Lorenzo il Magnifico con la prefatoria attribuita a Poliziano.
Alfonso V, nonostante le continue guerre che è costretto ad affrontare nei suoi 16 anni di regno, è un vero mecenate, ben consapevole della funzione rilevante delle lettere nella vita del nuovo Stato. Per i suoi meriti nei confronti della cultura, nonché per l’atteggiamento munifico verso i suoi sudditi e la città, ottiene il soprannome di Magnanimo. Il re promuove la raccolta di codici latini e greci, primo nucleo della ricchissima biblioteca dei re aragonesi e commissiona traduzioni in latino di testi greci tanto da ricompensare generosamente Poggio Bracciolini (1380-1459) per la versione della Ciropedia di Senofonte, modello fondamentale nella trattatistica sull’educazione dei principi.
Umanisti provenienti da varie parti d’Italia sono ospiti per periodi più o meno lunghi presso la corte di Alfonso, favorendo l’affermazione del rinnovamento culturale: Lorenzo Valla dal 1435 al 1448, Bartolomeo Facio dal 1445 alla morte, Flavio Biondo negli anni 1451-1452, Giannozzo Manetti dal 1455 alla morte, oppure, stabilmente inseriti nell’entourage del re come principali animatori della rinascita delle lettere e precettori dei futuri sovrani, e al contempo insigniti di incarichi politici e diplomatici, Antonio Beccadelli detto il Panormita e Giovanni Pontano.
È a Napoli che, in questo periodo, vengono alla luce alcune tra le più importanti opere dell’umanesimo italiano: il De dignitate et excellentia hominis del Manetti (1452) dedicato ad Alfonso V, e, del Valla, il De falso credita et ementita Constantini donatione (1440), le Elegantiae linguae latinae (1444) e le Emendationes in Titum Livium (1446-47). Queste ultime, testimonianza diretta della fioritura umanistica sotto il primo re aragonese, nascono in seguito ai tentativi di emendamento da parte dei diversi letterati che, attorno a lui, si incontrano quotidianamente nella biblioteca della reggia di Castelnuovo, per la cosiddetta “ora del libro”: oggetto di discussione è, tra gli altri, il testo dello storico latino, particolarmente apprezzato dal Magnanimo.
Dalla consuetudine del circolo di umanisti della corte (Accademia Alfonsina) deriva la famosa istituzione che inizialmente dal Panormita prende il nome di Accademia Antoniana per poi trasformarsi, quando alla morte di Beccadelli la guida passa a Pontano, estensore degli statuti, nella celebre Accademia Pontaniana. Sono Beccadelli prima e Pontano poi a imprimervi la linea di un dibattito concreto e aperto ai diversi ambiti culturali, non solamente letterari e filologici o filosofici e scientifici. La vivace attività di questa istituzione napoletana è efficacemente rappresentata nei coloriti dialoghi di Pontano, in particolare nell’Antonius (1471 ca.). Gli incontri degli accademici pontaniani prendono spesso spunto da avvenimenti della vita cittadina, evitando disquisizioni astratte o le pedanterie dei grammatici che riducono lo studio della lingua a rigida precettistica. Il sarcasmo con cui Pontano colpisce i grammatici nei dialoghi Charon (1470 ca.) e Asinus (post 1486) evidenzia la portata di questa sua polemica.
I pontaniani, tra i quali si distinguono, oltre a Jacopo Sannazaro (1455-1530), i poeti latini Gabriele Altilio, Girolamo Carbone, l’editore Pietro Summonte, letterati in entrambe le lingue come il nobile Pietro Iacopo De Jennaro e il medico Antonio De Ferrariis detto il Galateo, e anche Greci di passaggio, come Teodoro Gaza e Michele Marullo, perseguono l’ideale dell’integrazione tra eloquenza e sapienza, tra la lingua classica e i valori che essa comunica: questo spiega sia l’importanza attribuita dagli umanisti napoletani alla parola nella sua aderenza alla realtà, nella concretezza della vita, dimostrata in modo eccezionale dalla variegata produzione latina dello stesso Pontano, sia la loro predilezione, tra i filosofi, per Aristotele e Tommaso d’Aquino
Anche la storiografia e la trattatistica etico-politica per lo più in latino risentono di questa tendenza, anche se più spesso prevale l’orientamento encomiastico, volto a celebrare la dinastia aragonese: l’opera che maggiormente rispecchia tale indirizzo è il De rebus gestis ab Alphonso primo dello storiografo regio Bartolomeo Facio che, in dieci libri, composti tra il 1448 e il 1455, copre l’arco cronologico dal 1420 al 1454, mostrando un’attenzione particolare agli eventi militari e politici, con una forte idealizzazione del sovrano. Anche il Panormita si misura con la storia aragonese, sia con l’aneddotica nel De dictis et de factis Alfonsi regis (1455), sia con il Liber rerum gestarum Ferdinandi regis (1469 ca.) sulla formazione del secondo sovrano aragonese. Prima di loro ricopre l’incarico di storiografo regio il Valla, che con originalità fa dei suoi Gesta Ferdinandi regis Aragoniae (1445-1446) un banco di prova per una diversa concezione storiografica, maggiormente attenta alla ricerca del vero e all’obiettività. Lo stesso Pontano pratica questo genere letterario con il De bello neapolitano – sulla guerra, a cui prende parte, tra Ferrante e Giovanni d’Angiò negli anni 1458-1465 –, composto, secondo Liliana Monti Sabia, “a caldo” e rivisto in seguito, dopo il 1494.
Nel filone della trattatistica etico-politica si inseriscono il De principe (1464) di Pontano, sull’educazione del principe, trattato in cui egli illustra sotto forma di lettera indirizzata all’allievo, Alfonso duca di Calabria, la formazione e il comportamento del principe. Perfettamente a metà strada tra le trattazioni medievali degli specula principum e Il principe di Niccolò Machiavelli, il De principe pontaniano evidenzia la necessità non solo del possesso della virtù, ma anche dell’immagine virtuosa che il sovrano deve saper offrire di sé, per suscitare l’ammirazione e il rispetto dei propri sudditi. In volgare invece rimane il De maiestate (1492) di Giuniano Maio dedicato a Ferrante. Sempre in volgare sono i Memoriali di Diomede Carafa, e, in particolare, I doveri del principe ad Eleonora duchessa di Ferrara (post 1467), nei quali è l’esperienza a suggerire i modi alla prassi politica.
Tra i prosatori in volgare meritano menzione anche il tipografo Francesco Del Tuppo, volgarizzatore delle favole di Esopo (Esopo volgare, 1485) e Masuccio Salernitano (Tommaso Guardati), autore del Novellino, pubblicato postumo nel 1476, una raccolta di 50 novelle spicciolate composte a partire dagli anni Cinquanta, riunite in una struttura unitaria dedicata a Ippolita Sforza, moglie di Alfonso di Calabria.
Infine anche la produzione poetica in volgare dei principali letterati del regno (napoletani, regnicoli e spagnoli) ruota attorno alla corte aragonese: l’invio nel 1477 della Raccolta Aragonese a Federico d’Aragona dimostra l’interesse per la tradizione letteraria toscana dell’ultimo sovrano, protettore di poeti. Tra i rimatori più famosi di età aragonese forte è l’influenza del petrarchismo, anche se alcuni di loro non sono esenti dalla tentazione popolareggiante, come nel caso dell’accademico Pietro Jacopo De Jennaro, autore di un canzoniere per una madonna Bianca catalana oltre che della Pastorale, e soprattutto di Francesco Galeota, compositore di rime d’occasione, legate all’ambiente cortigiano ma non auliche né petrarcheggianti, nel volgare della koinè meridionale. Interessante è anche l’opera di Giovanni Antonio de Petruciis: il giovane conte di Policastro coinvolto nella congiura dei baroni (1486) scrisse un’ottantina di componimenti, soprattutto sonetti sul tema del destino e della speranza, nei quattro mesi di prigionia a Castel Nuovo in attesa della decapitazione. Maggiore è l’aderenza al petrarchismo di Giovan Francesco Caracciolo e del Sannazaro autore di sonetti e canzoni per Cassandra Marchese, ma soprattutto del catalano Benedetto Gareth detto il Cariteo, umanista impregnato di ideali classici, che con il canzoniere Endimion (composto intorno al 1493-1494 ma stampato nel 1509 in una redazione ampliata), petrarcheggiante e stilnovistico, offre un testo esemplare per eleganza e musicalità.
Principale esponente dell’umanesimo napoletano e tra i massimi della sua epoca, ingegno estremamente versatile ed emulo degli autori latini, Giovanni Pontano nasce a Cerreto, in Umbria, il 7 maggio 1429. Dal 1447 al seguito di Alfonso il Magnanimo, segue le vicende della dinastia aragonese percorrendo una brillante carriera politica: da segretario nella cancelleria reale a consigliere, precettore e infine Secretario Maiore (primo ministro) fino al 1495; inoltre accompagna prima Alfonso V e poi Alfonso il duca di Calabria, erede del re Ferrante I, nelle diverse guerre; non mancano le missioni diplomatiche, alcune insieme al Panormita, presso le più importanti corti della penisola: è lui inoltre il negoziatore di alcuni famosi accordi come la pace di Bagnolo del 1484 al termine della guerra di Ferrara e quelli tra Ferrante d’Aragona e Innocenzo VIII nel 1486 e nel 1492. Parallelamente a questa sua attività di funzionario regio Pontano sviluppa una copiosissima produzione esclusivamente in latino, tanto di trattati e di dialoghi che spaziano in ambiti culturali diversi, dalla politica alla morale, alla vita sociale, alla letteratura, quanto di opere poetiche, che ne fanno uno tra i massimi poeti latini dopo l’età classica. In volgare restano le sue lettere a principi e ad amici. Criticata è la posizione che agli assume al momento dell’ingresso a Napoli di Carlo VIII, a cui consegna le chiavi di Castel Nuovo. Dopo il 1495 pertanto si ritira a vita privata e si dedica alla revisione della sua imponente produzione latina. Muore nel 1503; l’edizione completa delle sue opere viene curata dagli amici Summonte e Sannazaro tra il 1505 e il 1512.
Poeta proteiforme e originale manipolatore del latino, Pontano appare già nel giudizio dei contemporanei un audace sperimentatore delle possibilità della lingua classica che piega alle sue esigenze espressive fino ad arricchirla con prestiti dal volgare e con esperimenti ritmici e ripetitivi propri dell’italiano. L’esempio più celebre è fornito dalle Naeniae, le 12 ninnananne in distici elegiaci per il figlio Lucio (“Lucietto”, Luciolus) che rappresentano con realismo il mondo degli affetti più cari del poeta. Esse sono inserite nel “canzoniere per la moglie”, il De amore coniugali, raccolta di elegie divisa in tre libri, la cui cronologia copre un arco di circa 25 anni a partire dall’anno del matrimonio (1461).
La principale novità della silloge è che Pontano, discostandosi in modo originale dai suoi auctores, gli elegiaci Tibullo, Properzio e Ovidio, canta l’amore non per un’amante ma per la moglie, Adriana Sassone, morta nel 1490. Come in gran parte della produzione pontaniana, in questa poesia di matrice autobiografica il latino diventa la lingua dell’espressione quotidiana, grazie alla trasposizione di sentimenti e oggetti moderni e vivi nel linguaggio antico. I modelli latini non sono semplicemente imitati, la poesia pontaniana scaturisce da un’intima appropriazione dell’essenza della poesia classica che, amalgamando le reminiscenze letterarie con la realtà del suo vissuto, conduce alla creazione di forme originali. Ulteriore esempio di ciò è la sua capacità mitopoietica, che si estrinseca nella felice invenzione di miti nuovi, ambientati nella Napoli dell’umanista: si ricordi a tal proposito la prima delle sue sei Eclogae, la Lepidina (1496), nella quale sono rappresentate le nozze tra il dio Sebeto e la ninfa Partenope. La felicità creativa del Pontano è testimoniata dalle numerose raccolte poetiche che costellano la vita dell’umanista, nella volontà di tentare tutti i possibili generi tramandati dalla classicità, dalle elegie del Parthenopeus sive amorum libri (dal 1455) alla Lyra, le 16 saffiche composte tra il 1480 e il 1494, fino agli Hendecasyllabi sive Baiae, due libri di faleci, alla poesia didascalica (De hortis Hesperidum, 1500) o al poema astronomico (Urania). Altrettanto originale reinventore di un genere, Pontano si rivela con i due libri De tumulis: rielaborando le diverse forme delle poesia funeraria classica egli dà vita a quella che può considerarsi una Spoon River del Quattrocento.
Se stretto risulta nel Pontano il rapporto tra la prassi e la riflessione etica, sociale e politica espressa nei diversi dialoghi e trattati, il dialogo Actius (1499), non a caso intitolato ad Azio Sincero (nome accademico del Sannazaro), permette una migliore comprensione della poetica dell’umanista: in quest’opera si riconosce nella possibilità di provocare admiratio la finalità della poesia. All’ideale di un’arte elegante, che mira ad una perfezione non solo formale, ma tale da permettere di attingere alle radici della sapienza umana, corrisponde l’elogio della poesia e della sua funzione etica e civilizzatrice espresso nel finale dell’Actius, sintesi delle convinzioni più ferme dell’autore. Un motivo che torna più volte nelle opere in prosa di Pontano: in particolare nei trattati e dialoghi degli ultimi anni (1501-1503), De immanitate, De sermone ed Aegidius, spicca il valore della parola, degli studi letterari, quale baluardo di humanitas, in un momento storico di grave crisi politica.