POMPOSA (A. T., 24-25-26)
Frazione del comune di Codigoro (Ferrara) a 6 km. dal capoluogo, presso la Valle Giralda, sulla strada che conduce da Codigoro al porto di Volano. È a 3 m. s. m. Consta di un gruppo di case fra la strada Romea e la Valle, e su di esse domina la Badia col suo alto campanile. Pochi sono gli abitanti raccolti, appena 56 nel 1921; invece quelli sparsi raggiungevano, allo stesso censimento, la cifra di 1349. L'agricoltura e la pesca sono le attività principali.
L'abbazia di S. Maria di Pomposa. - Monastero benedettino, insigne nella storia medievale italiana, sorto sopra un'antica isola delle valli tra il Po di Volano e il Po di Goro. La notizia più antica è in una lettera di Giovanni VIII dell'878, che ce lo mostra direttamente sottoposto alla sede apostolica; ma, se non il monastero, la chiesa, per ciò che ne rimane, esisteva già nel sec. VI. Alla fine del sec. X fu concesso al monastero di S. Salvatore di Pavia, poi all'arcivescovo di Ravenna, al quale fu ritolto di lì a poco da Ottone III, che lo fece abbazia reale; al principio del sec. XII ritornò agli arcivescovi di Ravenna. Arricchito da numerosissimi privilegi papali e imperiali, ebbe vasti possedimenti e giurisdizione su molte chiese; e ospitò in varie epoche insigni personaggi. La malaria invadente determinò la sua decadenza e già alla fine del sec. XV Innocenzo VIII lo convertì in parrocchia secolare; i monaci passarono a S. Benedetto di Ferrara.
Fin dai, primi del sec. XI si disegna a Pomposa una notevole attività culturale, con il monaco Guido d'Arezzo (v.), il celebre riformatore dell'arte musicale; con S. Pier Damiani, che anche vi dimorò e ai monaci di Pomposa diresse una lettera e uno dei suoi opuscoli; e con l'abate Girolamo, che vi formò una cospicua biblioteca. Di essa ci rimane un catalogo, importante e minuzioso, redatto circa il 1093 dal monaco Enrico, il quale elenca il numero abbastanza grande di 68 manoscritti (esclusi i libri liturgici). Ma più ancora è notevole la cura appassionata che quell'abate ebbe per la biblioteca, della quale è indizio singolare la fiduciosa ricerca per rinvenire l'intera opera di Livio. Un inventario del 1459 attesta un numero maggiore di codici, ma anche la decadenza già iniziata. L'abbazia ebbe anche un ricchissimo archivio, ora disperso, in fortunose vicende, tra Montecassino, Ferrara, Modena, e parecchie altre biblioteche e archivî.
L'abbazia ebbe nella chiesa la struttura architettonica presente fra il 751 e l'874, derivata da quella delle basiliche ravennati del sec. V-VI, con un'abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno, con archeggiature decorative nei muri in cotto, divisa in tre navi da sette campate per lato con colonne, capitelli e pulvini di spoglio e preceduta da un atrio; una foggia cioè che è frutto di mimetismo artistico, testimoniato da altri esempi, dei secoli anteriori o intorno al mille, nelle campagne intorno a Ravenna.
La chiesa, allungata di due campate, che occuparono il posto dell'atrio, sul'finire del sec. X, e di nuovo consacrata nel 1026, si arricchì di più ornata suppellettile scultoria e di un nobile litostrato ad opera tessellata e alessandrina. Allora fu addossato alla sua facciata un secondo atrio a tre arcate, secondo un' iscrizione di un Mazulo, artefice forse ravennate che, con chiarezza distributiva su di un paramento a mattoni rossi ed ocracei, dispose fregi in cotto, aprì oculi con transenne, alternò gagliarde sculture e fulgenti maioliche in un'armonica fusione di motivi tradizionali e novatori, di plasticismo e di colore che rappresenta, agli albori dell'arte romanica, in modo insuperato, la civiltà ornamentale del bacino superiore dell'Adriatico.
A fianco dell'atrio sorse la torre campanaria (fond. 1063), alta come un faro dominante sulla pianura padana, di un Deusdedit, che nei fregi in cotto e nelle ceramiche s'ispirò a Mazulo, ma che nelle lesene, nelle colonne e nelle finestre, le cui aperture aumentano nei piani superiori, si attenne a modi lombardi.
Il sec. XI, certo il più fiorente per l'abbazia, vide anche sorgere presso il monastero (che segue la planimetria consueta) il palazzo della Ragione, dove l'abate rendeva giustizia, con un loggiato al piano terreno e uno al primo piano (questo, chiuso nel 1396, è stato ora ripristinato), che si apparenta, nella disposizione e nel pittoresco contrastare di pieni e di vuoti, con la più antica edilizia veneziana, frutto quindi della stessa civiltà che produce Mazulo e che possiamo definire "lagunare".
Altri lavori vennero nel sec. XII (l'aggiunta di due absidi laterali, oltre a interni abbellimenti alla chiesa, e un chiostrino romanico, di cui avanzano pilastri e capitelli erratici in rosso di Verona), ai quali forse si riferisce un'iscrizione del 1150. Nel secolo XIII poi furono largamente ricostruite le fabbriche monastiche (nel rifacimento scomparve una delle absidi di lato) specie nel capitolo, in un grande locale diviso da "stilate" di quercia e in uno spazioso dormitorio, secondo strutture e ornati comuni all'architettura gotica della Romagna. Del secolo successivo è il rinnovamento della decorazione pittorica dell'abbazia. Prima il capitolo (che già nel Duecento aveva avuto affreschi ornamentali a "vela") fu coperto di vigorose pitture (la Crocefissione, profeti e santi) di un arcaizzante maestro forse bolognese, che conobbe, in certe sue solenni figure monumentali, l'insegnamento di Giotto. Poi (1316-20 circa) il refettorio (già decorato anch'esso nel Duecento) accolse una scena di teofania, storie di Cristo e del santo abate pomposiano Guido degli Strambiati, dovute a Pietro da Rimini, che sintetizza in uno stile elevato raffinatezze formali e cromatiche bizantine e modi espressivi giotteschi. Finalmente la chiesa, dipinta in tempo romanico anche nelle pareti laterali, fu di nuovo affrescata nell'abside (Cristo in maestà, Santi, e storie di S. Eustachio) alla metà circa del Trecento, secondo lo stile di Vitale da Bologna; quindi nella nave maggiore (fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento, episodî dell'Apocalisse) e nella parete interna di facciata (Giudizio FiJiale) da vivaci, verbosi pittori popolareschi della scuola bolognese. Tralasciando di altri minori dipinti del tempio tutto riccamente affrescato, si può concludere che col sec. XIV la vita artistica di Pomposa finisce e il singolare complesso deturpato, manomesso e ridotto in abbandono, solo da poco è stato apprezzato nei suoi valori storico-artistici e a tale apprezzamento si debbono recenti, notevoli opere di conservazione e di restauro.
Bibl.: P. Federici, Rerum pomposianarum historia, I, Roma 1781 (il vol. II, completato da M. Campitelli, è inedito nell'Arch. dell'abb. di Montecassino); C. Morbio, Storie die municipi italiani, 2ª ed., I, Milano 1940, pp. 43-132; S. Busmanti, Pomposa, 3ª ed., Imola 1881; G. Agnelli, Ferrara e Pomposa, Bergamo 1902; M. Roberti, Pomposa, Ferrara 1906; P. F. Kehr, Italia pontificia, V, Berlino 1911, pp. 177-187; O. Montenovesi, L'abb. della Pomposa e una pagina di storia benedettina ecc., in Atti e mem. d. R. Dep. di st. patr. p. le prov. di Romagna, s. 4ª, XVIII (1928), pp. 1-57; G. Mercati, Il catalogo della biblioteca di Pomposa, in Studi e docum. di storia e diritto, XVII (1896), pp. 143-177; M. Inguanez, Inventario di Pomposa del 1459, in Bollettino del bibliofilo, II (1920), pp. 173-184; M. Salmi, l'Abbazia di Pomposa, Roma 1935.