VENTURI, Pompeo
VENTURI, Pompeo. – Nacque a Siena il 21 settembre 1693 «da nobili genitori» (Zaccaria, 1754, p. 713), dei quali non si conoscono i nomi.
Di Venturi non si hanno notizie fino all’11 aprile 1711, quando, non ancora diciottenne, entrò nella Compagnia di Gesù, dove prese i voti soltanto nel 1728 e dove si dedicò all’approfondimento degli studi di filosofia e di retorica. «Uomo d’acre ingegno, d’assiduo studio, e di molta ritiratezza» (ibid.), per tutta la vita svolse con grande impegno intellettuale i diversi incarichi d’insegnamento affidatigli dall’Ordine. Fu infatti professore prima di filosofia, a Firenze (1730-31), quindi di retorica, dal 1732 al 1749, in vari collegi della Toscana (Siena, Prato, Firenze). Durante l’attività culturale di questi anni, in linea con la tradizione aristotelica, riservò innanzitutto una particolare attenzione ai problemi della tragedia e della poetica, oggetto rispettivamente di due distinti trattati. Alle diatribe linguistiche seguite alla pubblicazione della quarta edizione del Vocabolario della Crusca (Firenze 1729-1738) devono probabilmente essere collegate invece alcune osservazioni sulla lingua toscana, rimaste inedite.
Il suo prolifico impegno creativo si espresse in numerosi componimenti in latino e in italiano. Compose inoltre molte orazioni, delle quali l’unica a essere data alle stampe fu l’Orazione funebre detta nelle solenni esequie dell’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Luigi Maria Strozzi... (Lucca 1736).
La sua fama restò però legata al commento alla Commedia, alla realizzazione del quale fu spinto da pratiche ragioni didattiche e non da specifiche esigenze critico-letterarie o filologiche. Esso ci è pervenuto in tre diverse edizioni, la prima delle quali, Dante con una breve e sufficiente dichiarazione del senso letterale... (Lucca 1732), fu pubblicata senza il nome dell’autore e con dedica al pontefice Clemente XII.
Di quest’opera occorre riconoscere innanzitutto il rilevante merito storico di aver riproposto, a distanza di oltre un secolo e mezzo dalle edizioni di Alessandro Vellutello (1544) e di Ludovico Dolce (1555), il testo integrale e commentato del poema dantesco (riprodotto nella lezione fissata dalla Crusca nel 1595), segnando di fatto l’inizio della moderna critica dantesca. L’attendibilità testuale della stampa fu però seriamente inficiata dagli arbitrari interventi del curatore, il gesuita Giovan Battista Placidi, che non si fece scrupolo di procedere a eliminazioni, riduzioni e riscritture. Benché menomata, l’iniziativa ebbe un tale successo, che a distanza di pochi anni impose una seconda edizione: La Commedia di Dante Alighieri tratta da quella, che pubblicarono gli Accademici della Crusca l’Anno MDXCV (Venezia 1739). In essa fu ristampato il commento già pubblicato nel 1732 senza alcuna variazione sostanziale, ma con l’aggiunta, a piè di pagina, di alcune ‘contronote’ anonime, contenenti in massima parte censure linguistiche nei confronti del commentatore, reo di aver usato parole assenti nel Vocabolario della Crusca.
Profondamente contrariato dal trattamento riservato al proprio lavoro, stravolto e deturpato dalle pesanti manomissioni dei curatori, non meno che dalle irridenti accuse di impurità linguistica che da ultimo gli erano state rivolte, Venturi decise di reagire, procedendo a una lunga e sistematica opera di restauro, ma in molti casi anche di aggiornamento, della redazione originaria del commento. Al termine di questa complessa operazione, intervenne Francesco Antonio Zaccaria, amico di Venturi, che si preoccupò di affidare il testo cosí ricostruito e rielaborato a Scipione Maffei, affinché ne favorisse la pubblicazione in maniera finalmente completa e fedele. La terza edizione, intitolata La Divina Commedia di Dante Alighieri con una breve, e sufficiente dichiarazione del senso letterale..., pubblicata per la prima volta con il nome dell’autore, vide la luce a Verona nel 1749, nella città e nel momento storico in cui, per merito di alcuni studiosi (Bartolomeo Perazzini, Giovanni Iacopo Dionisi, Giuseppe Torelli, Filippo Rosa Morando), si era riacceso l’interesse per Dante. Anche in questo caso però non mancarono le manipolazioni del curatore della stampa, Valerio Baggi, che qualche anno più tardi, in una lettera al nipote Camillo del 24 giugno 1762 (Melandri, 1871, pp. 17 s.), ammise di essere intervenuto, tra l’altro, per aggiungere le note ritenute mancanti e per modificare quelle giudicate prive di senso compiuto, cercando di imitare al meglio lo stile dell’autore.
Espressione del cambiamento in atto nella cultura e nel gusto della società italiana della prima metà del Settecento, il commento di Venturi è anche il punto d’arrivo del lungo e travagliato cammino compiuto dai gesuiti nella ridefinizione del loro rapporto con Dante. Maturata all’interno di questa nuova strategia gesuitica, finalizzata alla ‘riappropriazione’ del poeta (sia pure opportunamente ‘purgato’), fu l’esigenza di fornire agli studenti dei collegi della Compagnia di Gesù uno strumento che agevolasse la lettura e la comprensione del poema dantesco, che trovò un primo concreto, benché ancora incerto e contraddittorio, riscontro proprio nel commento di Venturi.
Coerentemente con questi obiettivi, il lavoro fu condotto con i criteri della semplificazione ermeneutica e della manipolazione ideologica. Esso, infatti, da un lato si attiene strettamente al proposito dichiarato di spiegare il solo senso letterale, e non quello allegorico o morale; dall’altro, poiché la Commedia rimaneva un’opera pericolosa, la cui fruizione, specialmente da parte dei giovani, doveva avvenire in condizioni di massima sicurezza, non tralascia di biasimare le violente invettive contro i papi e il clero e di emendare i presunti errori dottrinali. Come attestano le numerose edizioni succedutesi nel corso del XVIII e XIX secolo, il commento venturiano ebbe grande fortuna, spingendo in maniera significativa allo studio e all’esegesi del poema, ma suscitò anche accese polemiche e discussioni, alle quali diedero inizio le acute obiezioni di Filippo Rosa Morando affidate alle Osservazioni e alla Lettera al padre Giuseppe Bianchini, che proseguirono almeno fino a Ugo Foscolo. Numerose e gravi sono del resto le incomprensioni e le interpretazioni errate, dovute alla sopravvivenza degli antichi pregiudizi antidanteschi e alla mancanza di una preparazione indispensabile per affrontare la complessa poesia della Commedia.
Non mancano, tuttavia, osservazioni interessanti e innovative, poi confermate e definite anche dai moderni studi danteschi. Notevole, per esempio, è la nota a Inferno XIV, 79-80, in cui Venturi per primo suggerí l’ipotesi che le acque sulfuree del «Bulicame» servissero non alle meretrici per lavare, ma alle cardatrici per macerare la canapa e il lino: intuizione che è alla base della recente proposta di emendare congetturalmente «peccatrici» in «pettatrici». Suo è inoltre il merito di aver colto in Inferno XXVI, 9 («di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna») un’allusione non alla città, ma al cardinale Niccolò da Prato (su entrambe le questioni si veda Malato, 2011).
Nel 1740 fu destinato al Collegio Romano, dove rimase fino al 1746. Dovendo portare a termine alcune opere già avviate, ottenne una riduzione dell’impegno didattico, passando al Seminario Romano con il ruolo di ripetitore di retorica. Ai meno gravosi compiti del nuovo incarico si dedicò fino a quando le precarie condizioni di salute ne consigliarono il trasferimento ad Ancona.
Morì il giorno dopo il suo arrivo nella suddetta città, il 12 aprile 1752.
Fonti e Bibl.: F. Rosa Morando, Osservazioni sopra il comento alla Divina Commedia di Dante Alighieri stampato in Verona l’anno 1749, Verona 1751; F.A. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia, II, Venezia 1751, pp. 454-458, VI, Modena 1754, pp. 713-715; F. Rosa Morando, Lettera al padre Giuseppe Bianchini intorno a quanto fu scritto nella Storia letteraria d’Italia contro le Osservazioni sopra il comento del p. V., Verona 1754; A. Vannucci, V., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, VI, Venezia 1838, pp. 442-444; I. Ferrazzi, Manuale dantesco, II, Bassano 1865, pp. 12-20, 142 s., 456 s.; G. Melandri, Intorno allo studio dei padri della Compagnia di Gesù nelle opere di Dante Alighieri, Modena 1871, pp. 17 s., 116-119; A. Torre, Il commento del padre P. V. alla Divina Commedia, in Giornale dantesco, V (1898), 3, pp. 97-106; Id., Su le tre edizioni del commento alla Divina Commedia del p. P. V., ibid., IX (1902), 1-2, pp. 1-4; A. Vallone, La critica dantesca nel Settecento, Firenze 1961, pp. 47-49; D. Mondrone, Gesuiti studiosi di Dante, in Civiltà cattolica, CXVI (1965), pp. 119-132; L. Curti, Dante e il canone letterario da Bellarmino a Bettinelli, in I gesuiti e la ratio studiorum, a cura di M. Hinz - R. Righi - D. Zardin, Roma 2004, pp. 357-378; E. Malato, Nuove note sul testo della Divina Commedia, in Rivista di studi danteschi, XI (2011), 2, pp. 264-269; A. Marzo, P. V., in Censimento dei commenti danteschi. 2. I commenti di tradizione a stampa (dal 1477 al 2000) e altri di tradizione manoscritta posteriori al 1480, a cura di E. Malato - A. Mazzucchi, Roma 2014, pp. 103-108; Id., Le tre edizioni del commento alla Commedia del p. P. V., in Per beneficio e concordia di studio. Studi danteschi offerti a Enrico Malato per i suoi ottant’anni, a cura di A. Mazzucchi, Cittadella 2015, pp. 529-541; Id., Le varianti del commento alla Commedia del p. P. V., in Avventure, itinerari e viaggi letterari. Studi per Roberto Fedi, a cura di G. Capecchi - T. Marino - F. Vitelli, Firenze 2018, pp. 231-236.